Come membri dell’assemblea regionale di Potere al Popolo Estero abbiamo deciso di creare uno spazio online per dare voce a formazioni politiche geograficamente lontane dall’Italia ma vicine in termini di ideali, lotte e aspirazioni. In quanto emigrati stiamo lavorando, con spirito internazionalista, a costruire legami con le altre organizzazioni socialiste e comuniste nel mondo.
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#6 Potere al Popolo! Intervista a Marta e Sandra, coordinatrici del Partito comunista spagnolo (PCE) a Bruxelles.
Abbiamo incontrato Marta e Sandra, coordinatrici della sezione estero del PCE. Abbiamo discusso dell’importanza di avere delle ramificazioni anche all’estero per le nostre organizzazioni.
Ciao Marta e Sandra, volevamo sapere se anche voi, come noi dell’assemblea estero di PaP, vi siete interrogate sul senso della vostra presenza e azione all’estero, rimanendo all’interno di un partito che opera principalmente nella patria di provenienza.
Partiamo da un dato: le problematiche che dobbiamo affrontare, voi come PaP e noi come PCE, sono simili: siamo immigrati in Belgio e non è detto che i compagni belgi ne abbiano piena coscienza, perché hanno una storia diversa. Non ci sono enormi comunità di belgi fuori dai confini nazionali che giustifichino una ramificazione all’estero.
Infatti, i nostri dirigenti e militanti, fin dal franchismo, dovettero organizzarsi anche in esilio per non essere assassinati in patria. Il partito era illegale e perseguitato, quindi la dirigenza ha lavorato fuori dai confini spagnoli per decenni. Al franchismo si aggiunse la crisi economica: quindi abbiamo una migrazione politica e economica. E’ così che il PCE mantenne le sue strutture anche all’estero: nelle fabbriche, nei comitati regionali e via discorrendo. Il tutto sotto il cappello della sezione “emigrazione” che poi, cambiò il nome in “esterno” (questo cambio semantico non ci soddisfa, e stiamo lavorando per ripristinare la dicitura precedente). La nostra struttura all’estero mantiene tuttora un’organizzazione territoriale identica a quella che si può trovare a Madrid, in Catalonia, in Galizia ecc.
Per troppi anni, noi spagnoli emigrati, siamo stati marginali: eravamo considerati, e ci siamo considerati a nostra volta, come un gruppo di persone che stavano all’estero e che non avevano una funzione importante per il partito. Poi, cinque anni fa, abbiamo fatto un bilancio e ci siamo decisi a lavorare per bene allo stesso titolo di una sezione che agisce in Spagna. Questa svolta diede un grande impulso alla nostra organizzazione, permettendoci di sistematizzare le pratiche e i contatti: purtroppo negli anni precedenti era stato qualcosa di più informale. Adesso invece c’è un Comitato centrale regionale che coordina le sezioni di ogni paese e/o di alcune macroaree (l’ampiezza di una sezione dipende dal numero di iscritti).
Ricevete mai la critica che sarebbe più opportuno impegnarsi in un partito locale piuttosto che in uno di emigrati come il vostro?
Sì, noi stessi ci siamo posti questa questione, cinque anni fa, quando abbiamo deciso di fare un bilancio e riorganizzarci. Dai lavori è emerso che i nostri membri ritenevano sensato continuare questo livello d’organizzazione perché ci sono delle problematiche che possono essere trattate in un modo particolare proprio dalle organizzazioni politiche che vivono nella stessa emigrazione. Inoltre, trattiamo cose specifiche, legate anche all’attualità spagnola. C’è un legame che tiene molte persone legate al proprio paese di origine e, come partito, possiamo solamente cercare di organizzarlo (non negarlo). Allo stesso tempo, diciamo, che è estremamente importante che non sia l’unica dimensione da coltivare: il migrante sta in un paese nuovo ed è importante che si inserisca nel tessuto associativo e partitico locale.
Pensate che il PCE all’estero possa rappresentare per la nuova emigrazione spagnola un primo passo per impegnarsi in strutture locali?
Per quanto riguarda la nuova migrazione, abbiamo tesserato qui all’estero alcune persone che in patria non avevano aderito al partito. Magari in Spagna militavano in altre strutture, ma una volta emigrate, decidono di coinvolgersi per mantenere un legame politico con la Spagna.
Il primo contatto spesso arriva con chi parla la tua stessa lingua. Noi ci teniamo molto a questo aspetto, anche perché fa parte della nostra tradizione. Durante il franchismo, l’obiettivo del PCE in Belgio, così come altrove, era quello di accogliere la gente che arrivava dalla Spagna. Si trattava di facilitare l’inserimento nella società, aiutare queste persone a cercare un appartamento, aprire un conto in banca e altre cose molto semplici. Questo è da sempre un obiettivo del nostro partito e noi continuiamo a perseguirlo.
Inoltre, per il nostro partito sono sempre state molto importanti le associazioni di spagnoli in qualsiasi paese dove si emigrava: associazioni culturali, sociali, associazioni che sono sempre state la base della vita attorno alla quale si è organizzata anche la nostra militanza. Erano i luoghi in cui gli spagnoli si incontravano e si ritrovavano. Quindi questa è stata una delle cose che abbiamo sempre avuto: in ogni città dove avevamo un nucleo di partito, era importante che ci fosse anche un’associazione plurale, più ampia, sempre promossa dal partito in qualche modo, ma comunque indipendente. E questo è molto importante quando si tratta di raggiungere un pubblico più ampio. Nei nostri anni di emigrazione questo è sempre stato fondamentale.
Al momento non abbiamo quella capacità che avevano i nostri compagni all’epoca, però abbiamo redatto un documento che si chiama “il PCE e l’immigrazione”che è un vademecum, adattato a ogni paese, con delle informazioni pratiche da sapere una volta arrivati all’estero (questo documento comprende anche una lista delle associazioni presenti sul territorio). Nel distribuire questo documento, noi ci presentiamo: comunichiamo le nostre riunioni, le nostre attività e via discorrendo. Inoltre, con la lista delle associazioni presenti sul territorio belga, il lettore magari non si attiva con noi, però si potrebbe impegnare in una delle strutture indicate: ed è comunque una cosa buona!
Come vi organizzate a livello interno?
Svolgiamo riunioni periodiche una volta al mese durante le quali trattiamo diversi temi. Facciamo riunioni corte, perché le persone sono stanche. Ci diamo degli obiettivi chiari e ogni persona deve avere un compito preciso: non basta partecipare come uditore, altrimenti è difficile coinvolgere. Crediamo sia fondamentale responsabilizzare tutti intorno a compiti chiari. Quindi le riunioni, idealmente, devono prevedere un punto di attualità politica, uno organizzativo e poi un terzo tempo per l’informalità. Infatti bisogna poter costruire anche delle relazioni di vicinanza con i compagni.
Inoltre, se una nostra iscritta milita all’interno di un movimento femminista o all’interno di un’associazione, garantiamo un momento per la condivisione. Noi chiediamo alle persone di impegnarsi negli altri spazi, nelle altre strutture, nel sindacato, nelle altre comunità. Poi dedichiamo momenti di queste riunioni alla formazione e lo facciamo anche invitando oratori esterni, oppure i nostri parlamentari. In quei casi possiamo fare anche iniziative pubbliche visto l’interesse della comunità.
Con gli altri partiti stranieri organizzati in Belgio fate attività insieme?
Occasionalmente sì. Ogni anno partecipiamo con i nostri militanti a Manifiesta (festival del PTB) e al Primo maggio (organizzato dall’FGTB). Sembrano sciocchezze, ma diventano punti di contatto con l’emigrazione e occasioni per fare cassa. Un’altra attività che facciamo è, una volta all’anno, d’incontrarci con le altre organizzazioni all’estero: i portoghesi, i ciprioti, i partiti amici. La prossima volta anche voi di Potere al Popolo! Non invitiamo solo i compagni dei partiti comunisti, anche associazioni legate alla coordinazione Latinoamericana o contatti individuali: penso che abbiamo molti contatti, non organizzati nel nostro partito, ma su cui possiamo contare. Nel quadro di questi eventi c’è sempre un momento di dibattito ma anche di socialità.
In ogni caso, con alcuni partiti, per quanto ci sia una vicinanza ideologica, non è facile lavorare perché, per esempio, fanno solo lavoro istituzionale al Parlamento europeo e rifiutano di occuparsi della propria comunità migrante per quanto ben presente. Poi ci sono altri partiti fratelli che sono qui e che non hanno una comunità su cui lavorare, e quindi si concentrano sul lavoro istituzionale e lo comprendiamo.
E con gli altri partiti spagnoli, in particolare con Podemos, qui in Belgio…che relazione c’è?
Partiamo dal livello spagnolo nazionale : il PCE negli anni ’80 ha creato Izquierda Unida e il PCE è sempre stato per molto tempo in maggioranza all’interno di Izquierda Unida. Poi Izquierda Unida è cresciuta tanto fino a quando il PCE ha cessato di rappresentare la maggioranza numerica. Poi di recente è nato Podemos.
All’inizio Podemos ha messo molta distanza tra sé e Izquierda Unida, anche se la maggior parte dei loro membri proveniva da Izquierda Unida, persino dal PCE. Ma poi, quando hanno visto che non riuscivano ad avere presa sul PSOE, si sono avvicinati sempre di più a Izquierda Unida. Al punto che ora c’è una coalizione elettorale che si chiama Unidos Podemos. All’interno di Unidos Podemos, ci sono anche molte persone del partito.
In effetti, il PCE stava cercando di portare avanti questa operazione da tempo ma c’è un problema: Podemos non ha struttura, non ha militanti; a livello di leadership esiste, ma non a livello di base. Quindi, alla fine, è stata la gente del PCE a dover organizzare il tutto. Forse qualcuno che si è iscritto su internet, ma poi se si vuole fare un’attività non ci sono persone che la fanno. Quindi, qui, quando è nata Unidos Podemos, o anche quando è nato Podemos, volevamo fare le cose insieme. Ebbene, ci siamo scontrati con il problema che ho indicato rispetto al piano nazionale. Fare le cose con loro significava fare le cose nel modo in cui le facevamo già: magari il poster dell’iniziativa sarebbe stato diverso, ma non cambiava davvero la dinamica. Quindi, diciamo che questa è stata la nostra esperienza qualche anno fa, quando è emerso questo problema e poi la relazione è diventata sempre più distante, cioè senza problemi: andavamo d’accordo, ma abbiamo smesso di fare attività comuni.
Oltre alle manifestazioni belghe (sindacali e politiche), dove si vede la vostra presenza ben organizzata, cos’altro fate?
Riceviamo proposte anche dalla dirigenza centrale che ci fornisce il supporto pratico e ideologico per portare avanti delle attività a cui non avevamo pensato: come il giorno della Repubblica, il 14 aprile. Ci sono impulsi provenienti sia dai compagni della propria o di altre sezioni, che dall’alto (ed è molto importante che ci siano!). Durante la pandemia, il 14 aprile, non potendo fare attività collettive abbiamo dato il compito a ciascuno di guardare un film sulla guerra civile e poi di commentarlo collettivamente. Questa attività, di facile realizzazione, riuscì molto bene in termini di contenuti espressi.
Recentemente siamo andati a depositare dei fiori presso il monumento dedicato alle Brigate internazionali al cimitero di Saint-Gilles e, durante questa iniziativa, abbiamo stretto dei contatti con persone che poi sarebbero diventate membri.
Grazie mille e ci vediamo a Manifiesta per continuare le nostre discussioni
Certamente!