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TARANTO OLTRE IL RICATTO OCCUPAZIONALE, VERSO UNA RICONVERSIONE ECOLOGICA: 4 TERMINI CHIAVE DELLE NOSTRA POSIZIONE

Questo comunicato vuole chiarire la posizione del nodo territoriale di Potere al Popolo Taranto sulla questione ex-Ilva, dileguando il più possibile dubbi e cercando di avviare una discussione produttiva e forte a livello nazionale su tutti i tavoli tematici.


Perché questo comunicato

L’esigenza di un’espressione unitaria e chiara da parte del nodo di Taranto nasce dalla troppa ambiguità che circonda la posizione di Potere al Popolo a livello nazionale sulla questione ex-Ilva. In un quadro cittadino come quello di Taranto, nel quale anni e anni di tradimenti delle lotte politiche e sociali hanno legittimamente fatto nascere un atteggiamento scettico, è necessario fuoriuscire il più possibile dall’ambiguità delle posizioni, mettendo in chiaro le nostre rivendicazioni a livello territoriale. Allo stesso tempo, bisogna modulare la nostra comunicazione a livello nazionale, in modo sensato e costruttivo. In questo momento storico e data la conformazione stessa della storia siderurgica tarantina, ad esempio, le necessarie e legittime rivendicazioni della popolazione genovese non possono essere assimilabili a quelle della popolazione tarantina. Bisogna, in questo senso, affermare e definire con forza la diversità che contraddistingue le lotte che i territori si trovano ad affrontare riguardo ai diversi siti produttivi dell’ex-Ilva.

Come nasce la nostra presa di posizione

Negli ultimi mesi ci siamo confrontati con operai/e e cittadin* nel tentativo di chiarire il più possibile la situazione che caratterizza lo stabilimento siderurgico. Abbiamo studiato molto e, nello stesso tempo, abbiamo riflettuto con sempre più insistenza sul nostro compito politico, sulle pretese che un movimento come Potere al Popolo dovrebbe portare avanti e, più in generale, su quale modello di società e di economia vogliamo per il nostro futuro. Il risultato di questo percorso non può essere una proposta esaustiva per il futuro di Taranto. Per questo servirebbe uno studio nazionale, che si confronti con diversi aspetti della questione, in modo tecnico, capace e in grado di dettare una visione propositiva. Ci sentiamo invece perfettamente in grado di denunciare con forza le esigenze del territorio, dalle quali nessuna retorica può più sfuggire e che pongono forze di sinistra come la nostra di fronte alla pretesa di una nuova visione lavorativa e ambientale.

4 TERMINI CHIAVE DELLA NOSTRA POSIZIONE

Chiusura: non si può più sfuggire a questa pretesa, che nasce in modo inequivocabile dalle condizioni dell’impianto, dalla sofferenza della città, dall’impatto economico della fabbrica. Questa chiusura non può essere parziale, della sola area a caldo. Non può comprendere vie di mezzo, come l’istallazione dei forni elettrici. Chiunque spinga verso una scelta simile non valuta correttamente quanto radicalmente quell’impianto abbia compromesso il territorio tarantino, e banalmente, sottovaluta le problematiche che affliggono l’intera città. Propugnare la salvaguardia dell’occupazione e della produttività nazionale, proteggendo la fabbrica dalla chiusura, significa sottomettersi ancora una volta a quelle logiche che, insieme al profitto, hanno determinato un modello di produzione che non può essere in linea con quanto una forza rivoluzionaria dovrebbe pensare. Se Potere al Popolo vuole definirsi una forza rivoluzionaria, capace di ripensare il rapporto tra ambiente e lavoro, non può sottrarsi dalla messa in discussione di una fabbrica siderurgica come quella di Taranto, che per posizione, grandezza, debito ambientale e sanitario, e fatiscenza, non può e non deve trovare posto in un modello che possa dirsi “popolare”.

Affrancamento: per salvaguardare l’occupazione dobbiamo ripensare radicalmente il modello lavorativo, spingerci oltre la pura lotta di posizione e ripensare, come nel caso di Taranto, alternative occupazionali non soggette al ricatto della produzione inquinante e monopolizzatrice. Taranto soffre di una grave crisi occupazionale, determinata in gran parte da un modello monoculturale fondato sull’acciaio. Bisogna tenere a mente che una tale condizione non è determinata contingentemente dall’immobilismo della progettazione industriale a livello nazionale. Il modello della città industriale – della grande industria – ha in sé l’inevitabile tendenza alla monocultura e alla conseguente distruzione di ogni capacità occupazionale del territorio. Il crescente tasso di disoccupazione è legato a doppia mandata alla distruzione di ogni diversificazione produttiva sul territorio. Salvaguardare l’occupazione, per noi, non può coincidere col tutelare un posto di lavoro all’interno di un impianto produttivo radicalmente in contraddizione con la nostra idea di sviluppo territoriale e nazionale. La folle corsa alla tutela dell’occupazione in un sito produttivo come quello di Taranto nasconde la maggior parte delle volte sotto un velo di inadeguato sindacalismo il ricatto occupazionale e il disastro ambientale e sociale di un intero territorio. Non prender consapevolezza di ciò, credere ancora nella necessità della grande fabbrica per la salvaguardia dei posti di lavoro significa abbandonare ogni idea di un mondo più giusto, fondato sulla dignità della vita umana, sia essa a livello lavorativo, abitativo, sanitario, etc.

Collettività: Non possiamo astenerci dalla definizione dei mezzi che devono guidare un ripensamento della città di Taranto a partire dallo scioglimento del nodo ex-Ilva. Bisogna rivendicare il controllo popolare non solo sul destino dell’impianto siderurgico più grande d’Europa, ma anche sul destino dell’intera città. Pretendiamo quindi la collettivizzazione del processo di chiusura, smantellamento e riprogettazione dell’economia del territorio di Taranto. Lo Stato dovrà certamente farsi carico delle bonifiche e della riconversione produttiva e differenziata del territorio, considerando però quest’ultimo un soggetto ineludibile, tanto nelle decisioni, quanto nel coinvolgimento pratico nei processi.

Progettualità: Le monoculture hanno mostrato tutta la loro inefficienza in ogni loro declinazione. A Taranto, tanto nell’impianto, quanto nel suo indotto. Sostituire l’acciaio con il turismo o con un’economia basata in modo unilaterale sul terzo settore non può essere la soluzione per Taranto. Bisogna rivendicare con forza una progettualità capace di diversificare la produzione del territorio, avviando processi virtuosi basati sulla prossimità e sulla sostenibilità. Bisogna, in poche parole, fare di Taranto il centro di una rivoluzione “ecologista”. Superare il modello della città industriale per affacciarsi a produzioni diverse, capaci di rappresentare fino in fondo il territorio e, allo stesso tempo, di assicurare un futuro stabile a livello occupazionale.

Questo comunicato non ha il senso di un’esposizione esaustiva sulla questione siderurgica a Taranto, ma è l’espressione della nostra rivendicazione politica, maturata e acquisita in anni di confronto con le realtà territoriali e con le problematiche insite nella fabbrica. Vogliamo chiedere, a chi continua a credere che quella fabbrica debba rimanere aperta, che la continuità produttiva sia l’unico modo per tutelare l’occupazione sul territorio: in anni di procrastinazione, di continuità produttiva, che cosa ne è stato della città di Taranto? In che modo la presenza della fabbrica ha contribuito al futuro della città? Davvero il ricatto occupazionale ha vinto sulla nostra volontà di cambiare il mondo?
Come Potere al Popolo vogliamo tenere alto lo scontro, ampliare la conflittualità ed essere nelle lotte. Per fare questo a Taranto non si può più eludere il termine “chiusura”. Solo penetrandolo, facendolo nostro e, allo stesso tempo, radicalizzandone le rivendicazioni, potremo pretendere collettivamente un cambio di paradigma forte per il destino di una città che vive ormai di alienazione, ma che, nonostante ciò, continua a resistere.

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