In queste settimane il Venezuela è un grande set. Giornalisti, agenzie di comunicazione, portavoce governativi, organizzazioni internazionali sono accorsi e stanno montando un grande set.
Molte delle telecamere sono arrivate alla frontiere tra il Venezuela e la Colombia. È da lì che l’autoproclamanto presidente Guaidó ha sostenuto che entreranno gli “aiuti umanitari” made in USA. È quella la porta d’accesso al Venezuela boliviariano che l’apparato mediatico internazionale non vede l’ora ceda. Nei telegiornali, nei programmi di approfondimento, sui social e sulle pagine della carta stampata, tutti i giorni descrivono questa frontiera come una specie di zona di guerra.
E ci si aspetterebbe di trovarsi davanti a filo spinato, barricate, migliaia di soldati, armi. E invece niente di tutto questo. La realtà è ben diversa. Lasciate stare quella dei media ufficiali e delle reti social che fanno rimbalzare fake news in tutto il mondo. La realtà è quella di una normalità per certi versi disarmante. 30.000 persone che ogni giorno fanno avanti e indietro per i propri commerci, più o meno leciti. Sì, perché è zona di frontiera e quindi zona in cui si vende e si acquista di tutto. Su questa quotidianità stanno costruendo la narrazione “umanitari”, quella degli “aiuti”, quella del possibile intervento, dell’invasione.
Gli “aiuti umanitari” per i golpisti sono una sorta di ariete da utilizzare per sfondare la porta d’accesso. “Aiuti” insignificanti: pochi container, poche tonnellate di beni, quando nello Stato di Táchira ogni giorno si distribuiscono ben 40 container di prodotti tramite i CLAP (i Comitati Locali di Approvvigionamento e Produzione), nati per contrastare la guerra economica e poter far arrivare beni di prima necessità alla popolazione venezuelana. Ma gli “aiuti umanitari” non sono pensati per davvero per aiutare la popolazione.
Servono a costruire lo scenario, la narrazione: vogliono mostrare che da un lato della frontiera (Colombia) ci sono gli “aiuti”, dall’altro (Venezuela) una popolazione che li chiede – e la destra venezuelana si sta impegnando per far emergere questa scena. In mezzo il cattivo governo venezuelano che si mette di traverso e blocca tutto. Questo è quello che vogliono si racconti. Per poi giustificare nuovi attacchi di maggiore forza.
In questa narrazione uniscono il fronte nazionale e quello internazionale. Per questo siamo chiamati in causa anche noi che non viviamo in Venezuela. Per questo sono chiamati in causa i popoli del mondo, per contrastare i raggiri degli USA e dei suoi satelliti (tra i quali va annoverata anche l’UE, altro che politica estera indipendente!).
Abbiamo sottotitolato il breve video che Marco Teruggi, sociologo argentino da tempo residente in Venezuela, ha girato qualche giorno fa alla frontiera tra i due paesi latinoamericani. Sarà anche una banalità, ma davvero in una guerra la prima vittima è la verità. Noi dobbiamo impegnarci affinché invece emerga, costruire coscienza sulla base di ciò che realmente accade e non sulla base della commozione internazionale che può nascere dalla fake news di cui veniamo quotidianamente inondati.
Dire la verità, soprattutto oggi, è un grande contributo alla pace e un’operazione nella quale dobbiamo impegnarci tutte e tutti. Fai girare questo video, diffondi queste parole. Noi non siamo complici del golpe contro il Venezuela!