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Venezuela: dopo il D-Day dei golpisti. Quali scenari all’orizzonte?

Terza puntata del reportage di Giuliano Granato dal titolo “la battaglia del Venezuela”. La prima e la seconda le trovate quihttps://poterealpopolo.org/la-battaglia-del-venezuela/:

Caracas, Venezuela, lunedì 25 febbraio. Giorno di bilanci.

Il D-Day dei golpisti è appena trascorso. Avevano gridato al mondo intero che il 23 febbraio avrebbero fatto entrare gli aiuti umanitari e invece niente. Il giorno dell’annunciato trionfo si è rivelato il giorno di una cocente sconfitta.

Qual è ora il prossimo passo della strategia golpista? Come pensano di riaversi dalla battuta d’arresto subita? Quali strumenti possono mettere in campo per raggiungere l’obiettivo che si sono dati da tempo? Come faranno, cioè, a farla finita con un chavismo che si rivela più forte di quanto potessero immaginare?

Sono alcune delle domande che qui a Caracas rimbalzano di bocca in bocca. Ci si ferma e si discute, si prospettano scenari. Ciò di cui tutti sono certi è che non finisce certo qui. Che la guerra contro il Venezuela bolivariano continuerà. Non a caso oggi è già un altro giorno chiave. A Bogotà si riunirà il “Gruppo di Lima”, agli ordini di Mike Pence. Da lui i paesi latinoamericani che hanno formato una sorta di “Santa Alleanza” contro il processo bolivariano, prenderanno ordini. L’aggressione armata, l’invasione, sono sempre sul tavolo, come ci ricordano di continuo gli esponenti dell’amministrazione statunitense, Trump in testa. Non c’è motivo di escludere queste ipotesi. Qui tutte e tutti lo sanno. Non sottovalutano le minacce. Almeno dal 1823, dalla dottrina Monroe, i sudamericani sono abituati a prenderle molto seriamente. Non si fermeranno, mettiamocelo in testa anche noi.

Per di più una sconfitta può esser raccontata in tanti modi diversi se hai i media dalla tua. Così anche oggi si rincorrevano le fake news. Maduro che brucia i camion che portavano gli “aiuti umanitari”? Falso. Sono stati gli stessi “guarimberos”, come si vede chiaramente da alcuni video che stanno girando in rete. Tra l’altro in piena sintonia con le forze armate colombiane. Anche in questo caso basta vedere le immagini. E crolla l’idea dello Stato come attore terzo nel conflitto in corso: “guarimberos” venezuelani e uomini in armi del governo di Duque si muovono in maniera coordinata, combattono la stessa guerra contro la rivoluzione bolivariana.

La coscienza di esser inondati da fake news non conduce molto lontano. Insinua il dubbio, ma non molto di più. C’è bisogno di costruire l’altra parte, una strategia comunicativa a trecentosessanta gradi. La controparte ha dalla sua pistole e news, potere militare e mediatico. Li usa per distruggere i sogni dei popoli. E noi? Come ci stiamo organizzando? Perché qui non è in gioco “soltanto” la difesa del Venezuela, ma la nostra stessa capacità di discernimento, il nostro diritto ad un’informazione completa, a non esser trattati come ignari soldati di una guerra che qualcuno negli USA e in Venezuela sembra volere a tutti i costi.

È un punto centrale. La battaglia per il senso comune, la battaglia delle idee. Perché l’obiettivo di una fake news non è semplicemente l’inganno, il voler ribaltare verità e menzogna. Lo scopo è creare confusione, rassegnazione e, di conseguenza, la smobilitazione. Vogliono il popolo rinchiuso in casa. A noi serve invece una strategia che promuova l’esatto opposto: popoli informati e coscienti, la produzione di processi di partecipazione e protagonismo popolare.

Ciò che viene fuori dal Venezuela di queste ore è la consapevolezza che ognuna e ognuno di noi gioca un ruolo. Che nessuno può tirarsi fuori. Che o si diventa agenti della trasformazione sociale, economica e politica, o si diventa puntelli della reazione. Tertium non datur.

“El socialismo se conquista peleando”, diceva Jorge Rodriguez, vigliaccamente ucciso dalle forze della IV Repubblica venezuelana. Uno dei terreni di lotta è per l’appunto la comunicazione. Guerra di quarta generazione la chiamano. Una guerra che nell’elemento psicologico un punto di caduta chiave. E dalla quale non possiamo sottrarci, perché i titoli e i servizi de “El Mundo”, della BBC, della CNN o della nostra La Repubblica ci arrivano anche se non vogliamo. E mirano a produrre le condizioni che legittimino agli occhi del mondo un attacco militare contro il Venezuela. Non lo possiamo permettere. Non solo perché vogliamo bene al popolo venezuelano, ma perché vogliamo bene a noi stessi, al nostro presente, alla nostra dignità, al nostro futuro.

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