Poco dopo la manifestazione di sabato 19 gennaio scorso, diversi manifestanti hanno cominciato a lamentare sui social la gestione dell’ordine pubblico da parte della polizia. Quest’ultima avrebbe più volte cambiato il luogo della medesima e gestito la cosa in modo tale da far perdere vigore all’iniziativa. “Non sarebbe stato il caso di reagire prima e pretendere condizioni diverse?” hanno subito risposto altri.
Il lunedì successivo il quotidiano Magyar Hirlap, una volta liberale, ora nazionalista e sostenitore del governo Orbán ha pubblicato l’intervista a un politologo che definiva la dimostrazione immotivata politicamente, priva di qualsivoglia significato politico. Questo è tipico dell’attuale esecutivo, impegnato dal 2010 a delegittimare l’opposizione partitica, sociale e le iniziative dei settori progressisti della società civile che si richiamano a valori diametralmente opposti a quelli governativi. Un esempio di tale situazione è il fatto che il primo ministro ungherese non partecipa a confronti pubblici, televisivi ad esempio, con membri dell’opposizione, in quanto non li considera interlocutori di cui tenere conto. Iniziate alla fine dell’anno scorso, le manifestazioni di protesta contro la cosiddetta “legge schiavitù” o “schiavista” che dir si voglia, contro un sistema che tende a soffocare la libertà accademica e fa approvare leggi che istituiscono tribunali speciali con giudici ben visti da Orbán, vengono bollate dal governo come prodotto di vandali e sobillatori foraggiati da George Soros, tale la reazione soprattutto dopo le tensioni tra manifestanti e forze di polizia.
Nel complesso le proteste di chi si oppone alla politica dell’esecutivo sono descritte da quest’ultimo come cose prive di valore. Questo sminuire, mostrare la più totale assenza di rispetto nei confronti degli avversari politici, questo invitare all’indifferenza nei confronti dei critici e degli oppositori di qualunque colore politico, purché non allineati col governo, è tipico dell’attuale potere. Esso raccomanda alla “brava gente” di ignorare le proteste “da poco” e di continuare a sostenere un governo che dal 2010 “si prende cura degli ungheresi” e migliora le loro condizioni di vita. Su questo c’è da obiettare come ben sanno coloro i quali sono scesi per strada sabato scorso recando uno striscione con su scritto “Ne abbiamo abbastanza”.
Ne ha abbastanza chi non ha mai votato per il Fidesz di Viktor Orbán e anche un po’ di gente che nel recente passato gli ha dato il suo consenso per poi provare delusione e pentirsi della scelta fatta alle urne. Sabato sono riapparsi i dimostranti, si diceva, ma la loro protesta, passata per il Ponte delle Catene, infilata nel lungofiume di Buda, ha avuto qualcosa di periferico per quanto si sia svolta sotto la collina dove risiede attualmente il primo ministro, anche perché non si è svolta di fronte a un palazzo del potere. Un po’ per questo, un po’ per chissà che altro, la sensazione è stata che l’evento abbia mostrato una minor tensione e capacità di graffiare, rispetto alle proteste di dicembre.
Il governo ha tutto l’interesse ad agevolare l’affievolimento dell’iniziativa che non si è certo spenta ma ha forse bisogno di nuovi guizzi. A dar man forte ai manifestanti si sono mobilitati gli scrittori che, in oltre centottanta, hanno espresso pubblicamente il loro sostegno alle ragioni della protesta e alla ricerca di un cambiamento. Quel sabato la scrittrice e docente universitaria Zsófia Ban ha letto sul palco il documento con cui donne e uomini di lettere hanno affermato la loro solidarietà ai lavoratori, ai sindacati, agli insegnanti costretti a lavorare in un sistema centralizzato e controllato dal potere, agli studenti, alle organizzazioni della società civile che devono subire i provvedimenti a loro ostili varati dal governo, al mondo della cultura non risparmiato dagli attacchi di Orbán e dei suoi, alle famiglie in difficoltà, ai senzatetto e a chiunque desideri vivere in un paese democratico e aperto.
Presenti alla manifestazione anche rappresentanze di partiti di centro-sinistra e di Jobbik che da destra critica il governo del Fidesz. Partecipi anche gli studenti con i loro slogan sull’università libera in libero paese e sulla solidarietà con i lavoratori. Presente infine anche un piccolo gruppo italo-ungherese che si riconosce nei valori della sinistra europea. Si manifesta, quindi, c’è però da capire quali siano ora le prospettive di crescita e di sbocco di questa mobilitazione. Occorre anche chiedersi cosa i partiti dell’opposizione riusciranno a trarre da queste esperienze, perché è vero che c’è una stanchezza diffusa nel paese, ma Orbán e il sistema di cui il premier è principio ispiratore, non sono proprio alle corde e possono ancora contare su non pochi sostenitori. Bisogna poi considerare una certa rassegnazione, una certa diffidenza nei confronti della politica altrettanto diffuse e il fatto che l’opposizione è frammentata e a oggi non in grado di rappresentare un progetto politico concorrente.
Quella di sabato 19 non è stata l’ultima manifestazione in ordine di tempo perché i dimostranti sono scesi per strada anche il mercoledì sera successivo e il piglio dei presenti è sembrato più grintoso, ma c’è da lavorare concretamente per costruire un’alternativa possibile, guai a non farlo.
Massimo Congiu