Il Governo è fatto. Dieci ministri al M5S e dieci al Pd allargato (Leu alla fine ha ottenuto l’agognato ministero). Un governo spartito a metà, con Conte, che si riscopre storico elettore di centrosinistra, a fare da garante. Così, la crisi aperta da Salvini ad agosto è stata ricomposta con un cambio di maggioranza fra due forze politiche fino a poco fa acerrime nemiche. Che questa ricomposizione possa durare, o che rappresenti un cambio di passo, è ancora tutto da dimostrare.
Molti a sinistra tirano un sospiro di sollievo, mentre Salvini annuncia battaglia, ma la crisi di un’intera classe dirigente, emersa già da tempo, è sotto gli occhi di tutti. E’ una crisi in stretta connessione non solo con le tensioni economiche, commerciali, finanziarie, militari che stanno attraversando il mondo in questa fase, ma anche con la pressione e il malessere delle classi popolari italiane che chiedono, da oltre un decennio, maggiore giustizia sociale, lavoro e diritti.
In queste ore si percepisce in tanti un atteggiamento di attesa e di aspettativa. È comprensibile: dopo la barbarie di Salvini, anche un minimo di civiltà democratica, o apparente, sembra una rivoluzione. Ma il “lasciateli lavorare” non ci ha mai portato bene, per il semplice motivo che, se non ci facciamo sentire, difficilmente i nostri interessi, che sono quelli delle classi popolari, saranno al centro delle scelte fondamentali per il paese.
Per questo abbiamo già annunciato che non lasceremo l’opposizione al nuovo governo nelle mani della destra. Intendiamo praticarla sulla base di questioni a nostro avviso decisive se si vuole un vero cambiamento.
Se guardiamo, infatti, al programma di governo le cose apprezzabili sono annunciate in maniera generica, mentre quelle chiaramente negative sono le uniche dettagliate.
Per noi la sfida si gioca sull’abbattimento delle accresciute disuguaglianze sociali. Tutti i dati confermano come la ricchezza privata (circa 10mila miliardi di euro) continui ad essere rappresentata al 95% da patrimoni immobiliari e finanziari, eppure la stragrande maggioranza delle imposte viene ancora dall’Irpef pagata da lavoratori e pensionati. Gli sgravi fiscali, di cui sentiamo parlare spesso, si rivelano pagnotte per le imprese e briciole per i lavoratori. Il boom dei bassi salari, della povertà relativa e del lavoro povero è lì a dimostrarlo con dolorosa evidenza. Insomma, sulla redistribuzione della ricchezza esistente occorrono ormai scelte contundenti che abbattano disuguaglianze diventate inaccettabili. Occorre prima di tutto dare lavoro, implementare i servizi pubblici, un piano casa ma, nella filosofia e nell’impianto di questo governo, di tutto ciò vi sono solo tracce labilissime.
Siamo convinti che le spese sociali e il welfare debbano tornare al centro dello “sviluppo”, e non un’astratta “crescita” che è crescita del profitto privato. La competizione sociale sul welfare è la principale causa della guerra tra poveri e della guerra contro i poveri scatenata nel paese.
Su questo capitolo le risorse vanno aumentate e non tagliate. Constatiamo però che nel programma di governo si parla di accettare i vincoli di bilancio (dall’art. 81 al vincolo esterno europeo), che non c’è traccia di patrimoniale, di un vero recupero dell’evasione fiscale, cosa che rende impossibile attuare politiche espansive.
E a proposito di lotta alla povertà e di garantire un maggiore accesso ai servizi sociali, spaventa e preoccupa la promessa di PD e 5Stelle di realizzare la Regionalizzazione differenziata: un progetto che non farebbe altro che aumentare le disuguaglianze di un paese già spaccato in due e che non risolverebbe nessuna delle questioni irrisolte nel Meridione, dallo spopolamento e desertificazione industriale, all’assenza totale di infrastrutture e al dominio incontrastato dell’economia mafiosa.
Sull’ambiente il nuovo governo enuncia obiettivi di sostenibilità. Eppure abbiamo verificato come sulle Grandi Opere continuino a prevalere interessi privati, piuttosto che le soluzioni alternative avanzate dai movimenti sociali e ambientalisti. Il Tav e la Tap sono lì a dimostrarlo. Noi vogliamo rovesciare il paradigma che vede nell’ambiente solo una fonte di profitto.
Nella politica internazionale, in un mondo attraversato da conflitti crescenti, dal riarmo nucleare, da una militarizzazione dell’economia che troppo spesso decide i modi della ricerca, delle innovazioni tecnologiche e delle quote delle esportazioni “competitive”, da tempo sosteniamo che l’uscita dai blocchi e dai patti militari, a cominciare dalla Nato, e lo smantellamento delle basi militari e nucleari, sia una condizione decisiva per una politica di neutralità attiva, di promozione della pace e del disarmo. Eppure questa ipotesi non viene nemmeno presa in considerazione dal nuovo governo, che parla delle spese militari e delle missioni all’estero come “spese indifferibili”.
Infine, ma non certo per importanza, il taglio del numero dei parlamentari, che è uno dei provvedimenti bandiera, è un’idiozia. Per tagliare i costi della politica era sufficiente una riduzione delle retribuzioni e dei vitalizi. Ridurre la rappresentanza è, invece, spia di un pesante svuotamento del piano democratico: si sceglie di ridurre le possibilità di accesso quantitativo alle istanze istituzionali, operando una scelta funzionale a una nuova legge elettorale che alzerà ulteriormente gli sbarramenti. Sosteniamo, da sempre, che l’unico sistema elettorale in grado di garantire la rappresentanza democratica sia quello proporzionale, che consente l’accesso in Parlamento a tutte le espressioni politiche della società. Al contrario, ci sembra che il nuovo governo vada verso una legge elettorale che miri a escludere, con sbarramenti e norme, nuove forme di rappresentanza, per tornare ad un sistema di governance blindato e gerarchico.
Potremmo continuare parlando del poco spazio riservato alla questione di genere, a una mancanza di una vera inversione di rotta in termini di politiche migratorie (non c’è l’abolizione del Decreto Sicurezza), dell’affidamento della cultura a Franceschini, come se il suo decreto non abbia già fatto enormi danni… Ma per ora ci fermiamo qui, invitando tutte e tutti a essere vigilanti, ad esercitare il pensiero critico, a non farsi paralizzare dalla paura di Salvini.
Il governo si è ormai presentato, i suoi ministri sono stati nominati. Adesso la parola va ai fatti concreti. Noi ci faremo sentire sostenendo le ragioni di chi ancora aspetta di vedere risolta la sua situazione; ci faremo sentire con le nostre proposte per un cambiamento reale delle priorità sociali e politiche del paese, che non coincidono con quelle che sono state annunciate, né con quelle che probabilmente verranno realizzate. I nostri amici non sono al Governo, ma sono nelle scuole, sui posti di lavoro, nei centri di ricerca dimenticati, nelle strade della logistica, nelle campagne del Sud, negli stabili occupati, nei Cpr, sui territori in lotta. È la loro voce che vogliamo far arrivare nei palazzi.