Giovedì 16 maggio è stato emesso il verdetto del processo Kobane contro 108 persone, tra cui gli ex co-presidenti dell’HDP Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ e membri del comitato centrale del partito, 18 dei quali già in carcere. L’ex co-presidente dell’HDP Selahattin Demirtaş è stato condannato a 42 anni e Figen Yüksekdağ a 30 anni e 3 mesi di carcere.
La lettura del verdetto è stata interrotta dalla protesta degli avvocati e delle delegazioni di diversi partiti e organizzazioni solidali che hanno assistito all’udienza.
Tra le persone condannate c’è anche Alp Altınörs (22 anni e 6 mesi di carcere), dirigente del partito e importante attivista e studioso marxista, che abbiamo avuto modo di conoscere in diversi incontri internazionalisti.
A lui così come a tutte le altre persone condannate va la nostra vicinanza umana e politica.
Nell’esprimere la nostra massima solidarietà crediamo sia importante ripercorrere brevemente la storia del processo Kobane che ci dice molto di come funzioni il sistema autoritario che vige da anni in Turchia.
Durante l’assedio di Kobane da parte dell’ISIS il 6 ottobre 2014 l’HDP invitò militanti e solidali a mobilitarsi in un messaggio condiviso sui suoi account social, denunciando la complicità del governo turco. La risposta di piazza fu imponente con proteste in tutto il paese, ed in particolare modo nelle città curde del sud-est, con violenti scontri con le forze dell’ordine dal 6 all’8 ottobre 2014.
Il bilancio degli scontri nelle diverse città, secondo le fonti ufficiali, riportò 37 persone morte e centinaia di feriti.
La prima indagine sulle proteste per Kobane fu avviata nel 2014 poco dopo gli eventi. Come parte dell’indagine, furono emessi dei procedimenti contro i co-presidenti dell’HDP Demirtaş e Figen Yüksekdağ e 10 parlamentari, all’epoca protetti però dall’immunità parlamentare.
Il 20 maggio 2016, la loro immunità parlamentare è stata revocata con un voto di maggioranza in Parlamento. Demirtaş, Yüksekdağ e sette deputati dell’HDP sono stati fermati e arrestati il 4 novembre 2016 durante un’irruzione della polizia nelle proprie abitazioni e da allora sono in carcere.
Il 2 ottobre 2020, altri 17 politici dell’HDP sono stati arrestati nell’ambito dell’indagine della Procura generale di Ankara sugli scontri. L’ufficio del procuratore ha preparato un atto d’accusa il 30 dicembre 2020 che è stato accolto dalla 22a Alta Corte penale di Ankara il 7 gennaio 2021, senza alcuna prova reale del coinvolgimento diretto degli accusati negli scontri e soprattutto con gravissimi capi di accusa che parlano di appartenenza ad organizzazioni terroristiche e attentato all’unità del paese.
Un esempio di come in Turchia da anni non esista più alcuna separazione tra i poteri, con la magistratura e le forze dell’ordine al servizio delle volontà e della propaganda governativa.
Tale ennesimo procedimento giudiziario farsa ha portato alla sentenza del 16 maggio che si inserisce in un contesto di crisi economica e politica, in seguito alla pesante sconfitta dell’AKP nelle principali città del paese nelle recenti elezioni amministrative, in cui ancora una volta il governo utilizza la scure della repressione per zittire le opposizioni.
A farne le spese sono soprattutto le compagne ed i compagni curdi che nonostante violenze e arresti continuano a lottare per la pace e la giustizia sociale.
Siamo al loro fianco per denunciare la repressione di Erdoğan e la complicità del nostro paese e dell’Unione Europea che continuano a stringere accordi e a fare affari con il regime turco.
Tutti liberi tutte libere! Viva la resistenza di Kobane e di tutti i popoli in lotta!