Max Zirngast, giornalista, ricercatore e attivista di origine austriaca è stato arrestato l’11 settembre 2018 nel suo appartamento di Ankara, in Turchia. Tra le ore 5 e le ore 5.30 del mattino presto, le unità antiterrorismo della polizia hanno assaltano l’appartamento di Max e lo hanno arrestato con l’accusa di “appartenenza ad un’organizzazione terroristica”. Nel mandato di perquisizione del suo appartamento si possono leggere alcuni dettagli della sua accusa, cioè le sue attività in una scuola alternativa per bambini appartenenti a famiglie povere del distretto Tuzluçayır di Ankara. Durante la stessa operazione sono stati arrestati altri due militanti turchi: Hatice Göz e Mithatcan Türetken.
Max è stato formalmente rilasciato il 24 dicembre, ma durante tutto il periodo di processo non può lasciare il territorio turco. Il processo è iniziato l’11 aprile 2019 e la seconda udienza si terrà l’11 settembre, esattamente un anno dopo il suo arresto.
Pubblichiamo la traduzione di un intervista di Johanna Bröse, autrice e attivista di re:volt magazine pubblicata il 7 settembre su www.freemaxzirngast.org – sito della campagna di solidarietà internazionale con Max – sugli ultimi sviluppi nel processo contro i compagni turchi e sulla situazione generale in Turchia.
Esprimiamo la nostra piena solidarietà e vicinanza a Max e agli altri compagni processati dallo stato turco.
Quasi sei mesi fa si è aperto il processo contro di te e contro gli altri imputati. Cosa ci puoi dire di questi sei di attesa? Quali sono state le sfide?
In Turchia è comune che i processi si tirano alla lunga. I tempi di attesa lunghi da un udienza all’altra è normale. In sostanza, durante questo periodo non ci sono stati cambiamenti per quanto riguarda il processo stesso. Il rinvio è stato fatto principalmente per ottenere l’opinione del procuratore dopo che noi imputati avevamo fatto le nostre dichiarazioni in riguardo all’accusa. Inoltre, è possibile che l’atto giudiziario di Mithatcan Türetken (con cui Max ha condiviso la cella, ndr) sarà separato dal nostro atto e integrato in un altro processo del 2017 contro di lui che si svolge nella provincia di Hatay. Quale sarà la valutazione del procuratore e se il processo di Mithat continuerà ad essere trattato insieme al nostro – tutte questo si saprà solo all’udienza dell’11 settembre.
Questo è dunque un periodo di attesa in cui non succede nulla, ma permangono comunque delle incertezze, ad esempio la mia situazione giuridica incerta, nonché il divieto di lasciare la Turchia. Questo porta ad una imprevedibilità e un’incertezza sulla mia vita futura – e anche sui piani di vita dei miei più cari. Anche se non mi trovo in prigione e posso muovermi relativamente liberamente in Turchia, si tratta comunque di una fase estenuante che più dura, più diventa difficile. A causa del mio status giuridico praticamente inesistente, c’è anche una permanente insicurezza nella vita quotidiana.
Puoi farci un esempio?
Non posso continuare i miei studi universitari e non sono assicurato perché avrei bisogno di un permesso di soggiorno per entrambe le cose, che non posso ottenere ora. Non posso nemmeno utilizzare l’applicazione del mio conto bancario perché dovrei cambiare il mio numero di telefono – e anche per questo ho bisogno di un permesso di soggiorno.
Cose del genere succedono quotidianamente e a volte assumono caratteristiche piuttosto astruse. Una volta, alla stazione di Ankara non c’è stato modo di farmi rilasciare un biglietto del treno per Eskişehir, anche se ero appena sceso dal treno da Istanbul. I funzionari mi dicevano che mi serviva un permesso di soggiorno valido per comprare il biglietto. Quindi sono stato indirizzato allo sportello di un ufficio superiore, ma anche lì hanno ripetuto che mi serviva un permesso di viaggio in Turchia. Tutto questo benché dopo la mia scarcerazione la polizia mi avesse già controllato in diverse città turche e non ci fosse mai stato alcun problema. Questa è la cosa imprevedibile, e mi costringe anche a giustificarmi in luoghi pubblici dove in “circostanze normali” non si affrontano questi problemi. Ma la cosa più assurda di tutto questo è che, alla fine, il biglietto del treno l’ho comprato semplicemente tramite internet, pagandolo anche di meno. Problemi di questo tipo alla fine si risolvono, ma sono comunque fastidiosi.
Alla prima udienza si è trattato di raccogliere le tue dichiarazioni, cioè la tua difesa. Ma voi l’avete usata anche per esprimervi politicamente, per chiarire le vostre posizioni nei confronti delle accuse a voi rivolte. In che misura la detenzione e il processo hanno influenzato le tue convinzioni politiche?
Anche se lo volessi, non potrei davvero commentare le “accuse”, perché non c’è sostanza in tutta l’accusa se non elementi assurdi. Oltre alle nostre dichiarazioni politiche, abbiamo inoltre sottolineato le ragioni per le quali abbiamo svolto le attività elencate nell’atto d’accusa. Perché mai negare la redazione di articoli e l’impegno politico per i diritti sociali e democratici, contro l’oppressione delle donne, per i diritti dei bambini e per una migliore istruzione, per l’ecologia, per l’arte, la cultura etc.?
Nell’atto d’accusa il procuratore non solo definisce tutte queste attività “non penalmente perseguibili”, bensì attività esemplari che dovrebbero essere sostenute dallo Stato. Ma dal nulla queste attività sono state utilizzate per incolparci di appartenere a un’organizzazione terroristica. Il carattere miracoloso di questa accusa è ulteriormente rafforzato dal fatto che anche nel rapporto di polizia più dettagliato sull’organizzazione in questione, dal 2012 in poi non viene elencata alcuna azione considerata un reato perseguibile. Quindi non potrei rispondere a tali accuse, anche se lo volessi. Per questo motivo è stato importante sottolineare la motivazione politica all’accusa in tribunale, perché l’accusa non è stata fatta dal procuratore, ma dalla polizia antiterrorismo, cioè dalla polizia politica.
Non è cambiato nulla nelle mie convinzioni politiche, perché processi di questo tipo sono “normali” in Turchia. Non c’è nulla di nuovo, tutte le accuse sono “conformi”, proprio come lo svolgimento del processo fino ad ora. Si tratta solo di capire se a un certo punto della militanza politica ti colpiscono o no, è come una lotteria. Poiché questa volta mi hanno colpito personalmente, ho avuto modo di conoscere il sistema giudiziario e, naturalmente, la struttura carceraria “dall’interno”. Se è stato utile a qualcosa, allora lo è stato per approfondire la mia comprensione di tutte queste questioni giuridiche, perché ho dovuto necessariamente occuparmene.
Come sei stato attivo politicamente nel frattempo?
Non in modo molto diverso da prima. Continuo a scrivere in tedesco, inglese e turco sulla Turchia e su altre questioni e a sostenere le iniziative democratiche. Insieme ad altri colleghi ho creato un nuovo sito web in turco che porta il nome “scritto a mano”. Su questo sito cerchiamo di riassumere i dibattiti sulla democratizzazione della Turchia, sulle alternative socialiste e su molti altri argomenti. Inoltre è stato pubblicato un libro con delle ricerche giornalistiche sia mie che di altri autori. Questa pubblicazione contiene anche un racconto dettagliato della mia carcerazione, dell’atto giudiziario e del processo. Il libro è un lavoro collettivo e la campagna di solidarietà #FreeMaxZirngast ha avuto un ruolo determinante nella sua pubblicazione. Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno partecipato, senza il loro instancabile lavoro editoriale e organizzativo il libro non sarebbe stato possibile pubblicarlo.
La parte centrale del libro sono le analisi della Turchia che hai scritto per lo più insieme ai tuoi colleghi Alp Kayserilioğlu e Güney Işıkara. Come hai percepito i cambiamenti del clima politico in Turchia negli ultimi mesi?
Gli ultimi anni sono stati turbolenti in Turchia, ma non è cambiato molto. Nelle elezioni locali di fine marzo e poi nelle elezioni ripetute a Istanbul, tuttavia, il regime ha subito una pesante sconfitta. Poiché l’opposizione ha principalmente una funzione inerente al sistema ed è legata allo Stato, ancora una volta non è riuscita a compiere i passi fondamentali necessari per far arretrare ulteriormente il regime. Anzi, gli ha lasciato lo spazio di cui aveva bisogno per riprendersi. E Erdoğan e i suoi alleati hanno messo all’ordine del giorno alcune questioni che sono state scelte in modo molto intelligente; così sono stati capaci, in parte, di tirare l’opposizione tra le loro file e di impedire un’opposizione fondamentale altrove. Un esempio è l’acquisto del sistema di difesa aerea russa S-400. Secondo il regime, la questione in gioco era la difesa della Turchia e dello Stato turco in quanto tale, una questione alla quale l’opposizione moderata non ha osato opporsi. Inoltre hanno promosso una politica chiaramente più razzista contro i migranti siriani, che è stata poi alimentata ancora di più dall’ala “fascista moderata” dell'”opposizione” (vale a dire dal Partiti IYI, scissione del MHP). O anche il “colpo” contro i sindaci eletti dell’HDP di Diyarbakır, Mardin e Van, sindaci in parte sostenuti e in parte semplicemente accettati dalle correnti nazionaliste dell’opposizione.
La conseguenza di tutto ciò fu che il contraddittorio blocco di opposizione, che aveva inferto un duro colpo al regime alle elezioni locali, è stato diviso. Questo non è sorprendente, perché l’opposizione è composta da due tendenze, una autenticamente democratica e popolare, l’altra composta da forze della restaurazione che vogliono “migliorare” e “riparare” lo stato e la società turca. Inoltre, i confini tra il “blocco restauratore” e l’alleanza del regime sono in parte fluidi. Da parte dell’opposizione sarebbe stato necessario determinare l’ordine del giorno, chiaramente con un impulso popolare. Secondo le statistiche ufficiali, l’economia turca ha subito una contrazione negli ultimi tre trimestri, la crisi economica non può essere negata e gran parte della popolazione sta vivendo questa crisi in modo molto intenso nella vita quotidiana. Ma invece di farne l’argomento principale, l’opposizione ha lasciato il campo al regime.
Ma ci sono anche tendenze positive, come l’evidente insoddisfazione e l’aperta opposizione nel sistema giudiziario. Soprattutto gli ordini degli avvocati hanno espresso apertamente la loro opposizione, cosa emersa chiaramente anche nelle recenti sentenze: una decisione della Corte costituzionale è stata presa a favore degli Accademici della pace, un’altra in favore al presidente dell’HDP incarcerato Selahattin Demirtaş. Infine, ma non meno importante, alcuni membri della Corte Suprema hanno rifiutato di recarsi al Palazzo Presidenziale per l’apertura dell’anno legale. Tutto questo dimostra i conflitti delle diverse frazioni e tendenze all’interno degli apparati statali.
Gli sviluppi politici e sociali in Turchia sono sempre complessi, diverse tendenze anche contraddittorie esistono simultaneamente, le alleanze possono formarsi e dissolversi rapidamente, gli sviluppi positivi e negativi possono avvenire simultaneamente. Tuttavia, la crisi fondamentale dell’egemonia persiste. Grazie alle forze popolari che continuano ad opporsi nonostante la forte repressione, questa crisi non può essere risolta e nuove contraddizioni all’interno delle frazioni dominanti dello Stato e della società si aprono sulla questione del come affrontare la crisi. Ma nessuna delle tendenze, né quella “democratica” restauratrice né quella repressiva e fascista, è riuscita a svoltare la situazione a loro favore – e questa situazione di stallo si perpetuerà se non succederà qualcosa di eccezionale. Anche le forze veramente democratiche e popolari esistono ancora, quello che manca però è una soggettività politica che permetta la necessaria offensiva. Ma anche se attualmente in molti luoghi dominano le reazioni difensive, il regime non riesce a sconfiggere la resistenza di queste dinamiche sociali e il successo dell’opposizione, anche se si tratta di un’opposizione inerente al sistema, è dovuto principalmente ai desideri, alle rivendicazioni e ai riflessi delle classi popolari con aspirazioni democratiche. Il vero progresso richiede costanza e una lotta flessibile, creativa e perseverante.
La campagna di solidarietà ha inoltre ripetutamente mirato al governo austriaco e ha chiesto che vengano adottate misure chiare per sostenerti. Che mi puoi dire a questo proposito?
Posso dire poco e niente sui passi concreti compiuti dallo Stato austriaco e dai suoi rappresentanti, perché in gran parte – comprensibilmente – non vengono discussi con me. Ci sono senza dubbio singoli rappresentanti dello Stato che si sono impegnati a favore della mia causa nell’ambito delle loro possibilità. L’atteggiamento generale è ancora quello della cosiddetta “diplomazia silenziosa”, che poi nel concreto consiste in diversi passaggi diplomatici.
Ma continuo ad insistere: L’impegno instancabile e coerente della campagna di solidarietà #FreeMaxZirngast e di molte persone che mi hanno sostenuto fin dall’inizio e che hanno portato il mio caso all’attenzione dell’opinione pubblica influisce fortemente sugli sforzi degli organismi statali ufficiali.
Quale sostegno speri di ottenere per il processo di mercoledì 11 settembre?
Prima di tutto una copertura mediatica, soprattutto quella che non si concentra sul carattere individuale del processo, ma sul fatto che il nostro processo è solo uno tra i tanti e che in Turchia queste forme di oppressione e persecuzione contro le forze democratiche e socialiste, contro iniziative, intellettuali e molte altre persone di opposizione sono sistematiche.
Personalmente sono molto contento che la mia famiglia, molti amici, molti osservatori internazionali e rappresentanti della campagna di solidarietà saranno presenti. È un grande sostegno che va ben oltre all’udienza in tribunale.
Nel suo complesso, come continuerà il processo? Ci sono previsioni da parte dell’avvocato?
Probabilmente si arriverà a un ulteriore rinvio. Forse sarà revocato il divieto di lasciare il paese, il che sarebbe dovuto principalmente alla mia particolare situazione e al sostegno internazionale.