Nella Costituzione italiana il diritto al lavoro è uno tra i princìpi fondamentali della Repubblica, ma è evidente che, in un sistema capitalistico trionfante e divoratore come il nostro, il lavoro si sta è trasformando da strumento di emancipazione a mezzo di sfruttamento; anche in conseguenza della perdita progressiva di tutele, sancita da accordi capestro firmati dai sindacati confederali con i vari governi di destra e sinistra e in primis con la cancellazione dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori.
Non si può non mettere in evidenza che la crisi economica che stiamo vivendo oggi affonda le sue radici in meccanismi scellerati volti a incrementare i profitti a danno di lavoratrici e lavoratori: le delocalizzazioni guidate dalle corporation del capitalismo globale verso luoghi a maggiore sfruttamento e a minore salario, il “Taylorismo digitale” che impone una intensificazione automatizzata di tempi e ritmi della prestazione di lavoro, lo sfruttamento nelle campagne dove donne e uomini resi “irregolari” dalle politiche italiane di questi anni sono costretti a lavorare senza un contratto, a vivere in baraccopoli, e a subire le violenze del caporalato.
La pandemia da Covid 19 sta mostrando il vero volto di decenni di politiche del lavoro fatte di tagli del personale e dei servizi pubblici (si veda il grande affaticamento del sistema nazionale sanitario), di investimenti inadeguati, di contratti collettivi al ribasso e di privatizzazioni, oltre che una gestione governativa inadeguata dell’emergenza sanitaria ed economica che ripete gli stessi meccanismi di sfruttamento per l’arricchimento di pochi.
Uomini e donne che hanno perso il lavoro, genitori che non riescono a “mantenere” i figli nonostante abbiano entrambi uno stipendio, famiglie che non riescono a pagare l’affitto, sono solo alcuni esempi dei “nuovi poveri”, il cui rischio è quello di scivolare nella solitudine e nell’esclusione sociale.
Gli ultimi dati Istat 2020 rivelano che le famiglie in povertà assoluta sono oltre 2 milioni, un milione di persone in più rispetto al 2019, con un maggiore incremento percentuale al Nord (oltre 218mila famiglie in più, per un totale di 720mila individui), dove l’incidenza raggiunge il 7,6% (era il 5,8% nel 2019).
Non si può tacere su un dato: il 98% delle persone che hanno perso il lavoro sono donne, il che significa che su 101mila nuovi disoccupati nel 2020, 99mila sono donne. Un netto peggioramento in un mercato del lavoro già caratterizzato dalle disparità di genere e dal gender pay gap, con conseguenze critiche sulla vita delle donne e sulla loro autonomia economica.
Ad oggi, ad un anno dalla pandemia, non abbiamo visto che briciole e nessuna tutela sanitaria in molti luoghi di lavoro.
I miliardi del Recovery Fund saranno inadeguati se non si procederà ad una inversione di rotta che porti a politiche del lavoro rispettose della dignità agli individui e dei diritti della classe lavoratrice. Siamo consapevoli di essere ben lontani da ciò, ma altrettanto consapevoli che occorre fermare gli ingranaggi di questa macchina disumanizzante, riappropriarci dell’unità e del senso di comunità tra i lavoratori e le lavoratrici, tra i disoccupati, tra gli ultimi e gli invisibili.
Per tutto questo ora vogliamo quelle risposte che non sono mai state date e chiediamo:
- Vaccini e sanità pubblica per tutti.
- Investimenti per istruzione, ambiente e trasporti.
- Piena fruizione dei diritti e contratti stabili, divieto di licenziare, salari minimi dignitosi, sicurezza sul lavoro, eliminazione della disparità di genere.
- Riduzione dell’orario a parità di salario, per lavorare tutti e meglio.
- Regolarizzazione di tutti i lavoratori immigrati e di quelli a nero e grigio, repressione del caporalato e dello sfruttamento del lavoro minorile.
Alla lotta!
VIVA IL PRIMO MAGGIO!
[A Torino ci troveremo alle ore 9:30 in Piazza Castello]
Divisi non siamo niente, uniti siamo tutto.