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[TORINO] La solidarietà ai tempi della quarantena

Ripubblichiamo la traduzione di questo articolo di Francesca Ru, una delle volontarie del gruppo spesa che abbiamo attivato a Torino, pubblicato sulla rivista online Mundus. Un racconto “da dentro” sulle attività mutualistiche che si sono sviluppate nella nostra città per rispondere all’isolamento e alla miseria ai tempi del Coronavirus.

“Ricordo Torino completamente vuota, era un venerdì dell’agosto 1962, nelle strade del centro c’eravamo solo io e qualche piccione in cerca di ombra. Avrei potuto camminare in mezzo a una strada e non mi sarebbe successo niente”.
A mia nonna piace ricordare questa città fantasma nell’estate del 1962, gli operai che lavoravano alla Fiat, la maggior parte dei quali provenienti dal sud Italia, erano tornati a casa per le vacanze in Sicilia, in Calabria o in Puglia.

Da allora Torino è cambiata molto: la Fiat ha delocalizzato molte delle sue fabbriche nell’Europa dell’Est, gli immigrati non vengono più solo dal Sud Italia ma anche dai paesi africani o dal Medio Oriente e molti studenti popolano ogni sera le strade e le piazze. L’immagine di Torino non è più associata solo alla Fiat, ma anche al museo egizio (il secondo più grande del mondo dopo quello del Cairo), al festival del cinema, al suo centro storico gentrificato o al grande mercato multietnico e popolare di Porta Palazzo.

Tuttavia, da un mese a questa parte, Torino assomiglia sempre più al ricordo di mia nonna. Infatti, come nella maggior parte delle città del mondo, è stato vietato agli abitanti di lasciare le loro case per evitare la diffusione di un virus sconosciuto fino a 5 mesi fa. Inoltre, Torino è attualmente la città più colpita dal Covid-19 al di fuori della Lombardia. Le strade sono tranquille come quelle dell’estate del 1962, solo che questa volta gli abitanti non sono in riva al mare, ma nelle loro case, nei dormitori, dove la distanza sociale è difficile da rispettare, nei letti d’ospedale sovraffollati o in sacchi a pelo agli angoli delle strade. I parchi pubblici sono stati chiusi, un’autocertificazione è necessaria per uscire, alcuni quartieri sono molto militarizzati e le piazze dove gli studenti si incontrano la sera sono ormai vuote. Quando si esce, si possono incontrare persone che portano a spasso il cane, che fanno jogging intorno all’isolato (attualmente la legge vieta di andare a più di 200 metri di distanza dal proprio domicilio), che fanno la fila davanti ai supermercati o che sfrecciano sulle bici per consegnare pizza o sushi. In questa situazione, alcune persone possono permettersi di ordinare la cena se non hanno voglia di cucinare, mentre altre continuano ad essere sfruttate da multinazionali come Deliveroo, JustEat o Amazon. Altri ancora trovano molto difficile arrivare a fine mese perché il loro lavoro non è considerato un servizio essenziale o non può essere svolto a distanza. Le disuguaglianze sociali sono rese ancora più visibili da questo virus e gli effetti di anni di politiche liberali sono tangibili. Lo Stato si trova in una situazione di emergenza in cui fa fatica a rispondere in modo coerente ed efficace. Ad esempio, ogni regione, e anche ogni comune, impone ai cittadini norme diverse da seguire. Inoltre, molte persone si sentono ancora più dimenticate di prima e la sensazione di solitudine si diffonde. Per colmare le lacune lasciate dallo Stato e per essere vicini ai più colpiti da questa crisi sanitaria, economica e sociale, sono state create reti di solidarietà e mutualismo auto-organizzate. A Torino, come in molte altre città italiane, queste reti sono abbastanza numerose e sono legate a realtà molto diverse tra loro. I fattorini di Deliveroo, ad esempio, hanno deciso di consegnare pasti caldi ai senzatetto durante l’orario di lavoro. Ci sono anche organizzazioni che raccolgono il cibo invenduto nei grandi mercati torinese e lo distribuiscono gratuitamente ai più vulnerabili da un punto di vista economico.

Da parte mia, sono venuta a conoscenza di una di queste reti grazie ad un’amica che milita da un anno all’interno del Partito di Potere al popolo. Questo partito, sin dall’inizio della quarantena, si è organizzato a livello locale riunendo in una conversazione Whatsapp tutti coloro che vogliono far parte di questa rete. L’obiettivo è quello di aiutare le persone che non possono uscire a fare acquisti o a comprare medicinali o che non hanno tempo di andare al supermercato perché sono operatori sanitari. L’accesso a questo servizio, naturalmente gratuito, è molto semplice. Basta chiamare o inviare un messaggio a uno dei numeri diffusi sui social network e sui volantini affissi davanti ai supermercati o alle fermate degli autobus. Una volta contattato un attivista, la richiesta di aiuto viene pubblicata sul gruppo Whatsapp. Successivamente, il volontario più vicino al luogo indicato nella richiesta contatta direttamente la persona per organizzare la consegna. Con l’evolversi della pandemia, questa rete si è organizzata per fornire altri servizi. Un gruppo di sarte e di persone che hanno imparato a cucire, ad esempio, ha prodotto a Torino circa 100 maschere per gli operatori sanitari delle Asl.

Mentre facevamo le consegne, come membri della rete di solidarietà Potere al popolo, ci siamo resi conto che la maggior parte delle persone che ci chiamano hanno voglia di chiacchierare al telefono (perché per il momento è meglio evitare il contatto faccia a faccia). Questo ci ha portato a riflettere sul loro bisogno di avere qualcuno con cui passare il tempo e su un crescente senso di solitudine. Così abbiamo deciso di creare un “telefono contro la solitudine” per chi vuole sentire la voce di qualcun altro e sfogarsi. L’obiettivo non è quindi quello di fornire un sostegno psicologico, ma piuttosto di creare un momento di ascolto per coloro che vogliono solo parlare un po’ e, in caso di necessità, indirizzarli verso servizi più appropriati, come centri di psicoterapia o contro la violenza sulle donne.

L’esistenza di queste reti dimostra quindi che i comportamenti individualistici e competitivi dettati dalle logiche neoliberiste degli ultimi anni possono e devono essere sostituiti a partire da adesso. Tuttavia, queste forme di aiuto, anche se considerevoli, non sono sufficienti a garantire l’assistenza alle persone in maggiori difficoltà economiche e sociali. Per questo motivo, molte organizzazioni si sono battute fin dall’inizio dell’isolamento per un reddito da quarantena che possa essere trasformato in un reddito di base per tutti alla fine di questo periodo di crisi.

Francesca Ru

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