Per settimane il Governo ha lavorato senza sosta all’operazione salva Natale, o meglio, salva quell’ enorme indotto commerciale legato alle festività natalizie.
Così lo sforzo di questi ultimi mesi ci permetterà finalmente di uscire di casa. Per lavorare e comprare, naturalmente.
Se la curva dei contagi sta scendendo e i centri commerciali riaprono, allora si può anche tornare a scuola? Risposta prevedibile: no.
Le scuole sono chiuse (in parte) e un’intera generazione di studentesse e studenti dai 12 ai 18 anni rimane a casa per salvare il Paese in un eroico sacrificio di cui, è palese, non conosciamo le conseguenze.
Eppure dallo scorso giugno non si fa altro che prospettare una riapertura delle scuole in totale sicurezza: mascherine e gel per tutt*, banchi con le rotelle, nuove configurazioni degli spazi, percorsi e ingressi a scuola differenziati, potenziamento dei mezzi pubblici, test rapidi per tutto il personale.
E’ per questo che ci chiediamo come mai, con una facilità simile all’azione di accensione e spegnimento di un interruttore, le scuole siano state sacrificate sull’altare del bene collettivo dall’oggi al domani.
La risposta è banale ma terribile: nulla di tutto ciò che era stato largamente promesso è stato fatto.
Dopo i primi quindici giorni di scuola le mascherine chirurgiche in dotazione agli istituti scolastici erano terminate, i famosi banchi con le rotelle sono arrivati (non dappertutto) a metà novembre e abbiamo potuto apprezzarli in tutta la loro inefficacia (provate a tenere aperti contemporaneamente un libro e un quadernone su una superficie ridotta al lumicino), gli ingressi scaglionati senza un numero sufficiente di mezzi pubblici è stato, evidentemente, come versare dell’acqua in un colabrodo e per finire non è mai esistito un canale preferenziale di diagnosi rapida del personale docente e ata, nonché delle studentesse e degli studenti, con la conseguente impossibilità di fare scuola in presenza perché è bastato avere un banale raffreddore per restare in attesa dell’esito del tampone dai 7 ai 21 giorni.
Così, come nelle migliori tradizioni italiane, presi dall’angoscia del caos e della disorganizzazione e immemori delle promesse ricevute, tutt* hanno invocato un rapido ritorno a quello schifo di dad che qualcuno si ostina incredibilmente a chiamare scuola.
Perché, ribadiamolo, la dad con la scuola non c’entra nulla. A meno che non si pensi che la scuola sia parlare con un universo muto, vuoto, senza contorni.
Nessuno mai negherà che questo è un momento inedito e difficilissimo, tuttavia niente è stato fatto davvero per la scuola.
Ma bisogna riflettere ordinatamente per capirlo.
Fin dal primo momento le ragioni del lockdown sono state chiaramente giustificate da un rischio certo di un collasso delle strutture sanitarie, già fortemente compromesse da tagli al personale e alle strumentazioni. Cosa abbiamo fatto noi? Siamo stati chiusi in casa (non tutt* eh- perché in fabbrica senza dispositivi di sicurezza ci siamo dovut* andare ugualmente), abbiamo atteso che la curva dei contagi calasse e quando siamo riuscit* (noi e soltanto noi) in questo intento, ci è stato detto chiaramente che avremmo dovuto convivere con il virus.
Le scuole erano già state chiuse e si sapeva che non avrebbero più riaperto fino alla fine dell’anno scolastico in corso. Questo è servito non tanto ad introdurre la dad, perché non è questo l’elemento preoccupante, ma a darle una dignità che in un paese davvero civile non avrebbe mai e poi mai.
Poi l’estate ci ha visti nuovamente in balìa di ipotesi, idee, riflessioni sospese e tante, tantissime promesse. Questo è il nodo. I diritti non si garantiscono con le promesse ma con i fatti.
I fatti avrebbero potuto essere questi:
- assunzione massiccia a tempo indeterminato del personale docente e ata precario (quale occasione migliore?) in servizio da almeno tre anni;
- sdoppiamento delle classi e doppi turni (classi con meno allievi significa meno assembramenti);
- test rapidi e canali preferenziali di diagnosi per tutto il personale scolastico (vuol dire che se mi cola il naso e tu mi dici in giornata se posso o meno andare a scuola le classi non restano scoperte);
- potenziamento dei mezzi pubblici, considerati tra i vettori più pericolosi.
E’ o non è un’emergenza?
E’ o non è la più grande emergenza dai tempi del dopoguerra?
Eppure, niente è stato fatto davvero per la scuola.
Nemmeno da quei sindacati che con il governo hanno facilità di dialogo, che contrattano e poi mettono le firme.
Non un’ora di sciopero è stata indetta dalle maggiori sigle sindacali. Non sono stati appoggiati e sostenuti tutti quei movimenti che da mesi chiedono maggiori investimenti nella scuola. Nulla è stato detto, se non timidamente, sulla recente chiusura e sull’attuale veto al ritorno sui banchi dopo il 3 dicembre. Anzi, è stato firmato un contratto integrativo sulla didattica digitale integrata che di fatto peggiora le condizioni di lavoro delle/i docenti e quelle di apprendimento delle/gli alliev*, un contratto vergognoso che di fatto equipara il lavoro in aula, collettivo, formativo, di crescita personale allo stare isolati davanti ad uno schermo, sempre che se ne abbia la possibilità.
Lo scenario non è roseo e a ricordarcelo sono le studentesse e gli studenti di ogni età seduti al freddo a manifestare contro una scuola fatta a pezzetti.
Ci chiediamo, dopo il bonus regali, potranno tornare nelle loro classi?