Da pochi giorni Chiara Appendino ha annunciato che non si ricandiderà alle elezioni comunali torinesi del 2021. La motivazione sarebbe la condanna recentemente subita per falso in atto pubblico e dunque la presunta coerenza con l’ottica legalitaria che i suoi 5 Stelle hanno sempre sbandierato.
In realtà è altamente probabile, come molti vanno riportando, che la rinuncia di Appendino stia nel contesto delle trattative in corso tra i due partiti di governo, Pd e Movimento 5 Stelle, per presentarsi uniti all’importante scadenza politica nazionale della prossima primavera, quando si terranno le amministrative in molte delle principali città del paese: Roma, Milano, Napoli, Bologna e appunto Torino.
Appendino sarebbe semplicemente un candidato impresentabile in quest’ottica, ma non è l’unico motivo per cui le chances di una sua rielezione sarebbero comunque state ridotte al lumicino: il suo mandato è stato un fallimento totale, prima di tutto rispetto alle condizioni di vita delle classi popolari, delle lavoratrici e dei lavoratori, degli abitanti delle periferie che l’avevano premiata nel 2016.
La giunta Appendino ha consapevolmente, e fin dal primo momento, accantonato quelle istanze, puntando solo ad accreditarsi presso i poteri forti della città, a cominciare dalle fondazioni bancarie (Compagnia di San Paolo e CRT), e ponendosi di fatto in continuità con le precedenti giunte a guida Partito Democratico. Cementificazione, svendita di aree pubbliche ai centri commerciali, gentrificazione, trasporto pubblico, casa, inceneritore, TAV, persino l’assurda gestione dei buoni pasto dell’emergenza Covid: le retromarce dei 5 Stelle sono state tante che non è nemmeno possibile ricordarle tutte.
In una delle interviste in cui ha dato l’annuncio è arrivata a dire che “Ho trovato una Torino illusa che si potesse uscire dalla crisi solo con le leve di turismo e cultura”. Ma come? Non era proprio lei che ci raccontava il radioso futuro della nostra città se solo avessimo ottenuto le Olimpiadi 2026 o se qualche bastian contrario non avesse criticato troppo aspramente gli organizzatori del Salone dell’Auto? Siamo felici che alla fine anche Appendino abbia capito che per dare un futuro alla città serva ben altro, a partire dal rilancio dei servizi pubblici, cosa di cui però non vediamo traccia nella prima bozza del suo Piano Regolatore di cui si sta discutendo.
Mentre ribadiamo a Chiara Appendino che certo non ci mancherà, osserviamo i soliti balletti di un PD che cerca di camuffarsi da “società civile” per replicare il solito mantra della resistenza alla irrefrenabile “avanzata delle destre”, coprendosi magari a sinistra grazie alla solita Sinistra Italiana. Un progetto all’insegna della continuità, ossia rinnovata espressione di quel Sistema Torino che ha svenduto e privatizzato la nostra città: prima con le giunte di centro-sinistra, poi con i nuovi pentastellati.
Siamo stati felici di vedere la faccia livida di Fassino dopo la sconfitta del 2016, siamo felici ora di non dover rivedere Appendino. Ma adesso come allora sappiamo che una reale alternativa per Torino non può che nascere dal basso, da un progetto che metta i bisogni popolari davanti a tutto il resto, senza esitazioni e balbettii, che non abbia paura di rompere con i poteri e le logiche che governano questa città da decenni. Un’alternativa difficile, ma che dobbiamo costruire insieme!
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