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TORINO: DEBITO, EMERGENZA E WELFARE. MA IL COMUNE VUOLE DAVVERO GARANTIRE I SERVIZI PUBBLICI LOCALI?

“Non ci sono i soldi”. Questa risposta l’abbiamo imparata a conoscere durante i lunghi anni di governo cittadino targato PD, ma, contrariamente a quanto promesso in campagna elettorale, abbiamo continuato a sentirlo anche dalla bocca del M5S, dopo l’elezione di Chiara Appendino.

L’emergenza Coronavirus ha aggravato ulteriormente le difficoltà di bilancio di un Comune gravato da un debito enorme a causa di speculazioni finanziarie, azzardi olimpici ed esternalizzazioni che hanno reso ancora più complicato la riscossione dei tributi locali. Gli effetti di questo bilancio disastrato li vediamo passeggiando per una città dove la cura del verde, i trasporti pubblici e il welfare, a cominciare dai servizi per l’infanzia, sono ormai sempre più affidati a soggetti privati che abbandonano aree e servizi poco remunerativi e investono dove possono garantirsi ritorni economici e politici.

Il lockdown si è inserito in questo già duro scenario, richiedendo risorse ulteriori per i sostegni immediati, come i “Buoni Spesa”, finanziati attraverso l’anticipo governativo del Fondo di solidarietà. Ma anche in questa fase due la situazione resta critica perché molte attività non ripartiranno e la situazione rischia di aggravarsi a causa della sospensione di alcuni tributi locali come Imu (per gli alberghi) e Tosap (suolo pubblico).

Diventa quindi fondamentale reperire nuove risorse per evitare ulteriori tagli ai servizi sociali e al welfare cittadino.

Come fare? Siamo destinati a morire strangolati dai debiti oppure esistono delle alternative?

Come tutti gli altri comuni d’Italia, la nostra giunta dovrà confermare entro il 27 maggio l’adesione alla rinegoziazione dei mutui contratti con Cassa Depositi e Prestiti dal 2010. Il meccanismo prevede un allungamento dei tempi di rimborso che comporta un risparmio immediato di 35 milioni, ma un aggravio futuro di 52 milioni, con un saldo quindi negativo di oltre 17 milioni di euro, come calcolato dal comitato ATTAC! Una scelta emergenziale, si dirà, ma una scelta che prosegue sulla strada dell’aumento dell’indebitamento, scaricandone i costi sui bilanci futuri, che si tradurranno in ulteriori tagli ai sevizi pubblici locali. Una scelta che crediamo il consiglio comunale dovrebbe rigettare, attuando invece scelte diverse e ben più radicali.

Proviamo qui a dare alcuni umili consigli alla nostra “coraggiosa” giunta.

Cominciamo proprio dai mutui in essere con Cassa Depositi e Prestiti. Piuttosto che allungare le scadenze, aumentando contestualmente la spesa per interessi, sarebbe ben più efficace pretenderne l’accollo allo Stato al fine di ridurre i tassi. Questa possibilità è stata infatti prevista dall’art.39 del DL 162/2019 convertito nella Legge n. 8/2020. Tuttavia, per renderla percorribile, deve essere approvato il relativo decreto attuativo. Gli Enti Locali dovrebbero cercare di spingere in questa direzione perché, sebbene parziale, rappresenta una boccata d’aria per i loro bilanci.

Un altro passo importante sarebbe quello di cancellare il debito prodotto dai derivati (520 milioni) che anche quest’anno porterà nelle casse delle banche interessi per circa 16 milioni di euro (stima bilancio 2020).
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha dato infatti ragione al Comune di Cattolica, stabilendo che i contratti sui derivati sono nulli se il contraente pubblico non aveva ricevuto informazioni precise sui costi da sostenere nel corso degli anni e, condizione ancora più interessante, se tali contratti erano stati stipulati su delibere della Giunta Comunale e non su decisione del Consiglio Comunale.
Basterebbe andare a verificare quali contratti non siano passati dal Consiglio, cosa che spesso accade, per ottenere un immediato e sostanzioso risparmio per le casse pubbliche.
Certo, bisognerebbe scontentare, avviando un contenzioso giudiziario, qualche banca la cui fondazione è partner strategico nell’erogazione del welfare cittadino…

Un passo ancora più forte sarebbe l’immediata sospensione del pagamento degli interessi bancari sui mutui che ci costano ben 66 milioni l’anno. Una presa di posizione politica molto forte, ma senza dubbio dovuta! Con quale faccia un Comune può accettare di impoverire i servizi pubblici pur di mantenere inalterato il profitto delle banche creditrici? Di recente, ad esempio, la città di Napoli ha preso misure coraggiose al fine di contrastare il suo debito illegittimo e ingiusto. Gli altri Enti Locali dovrebbero assumersi la responsabilità di riproporre tale iniziativa nei loro territori.

Un’altra battaglia fondamentale, che dovrebbe portare avanti chi amministra un comune, sarebbe quella di pretendere maggiori finanziamenti dallo Stato.
Al momento vige infatti un principio solidaristico, molto parziale, che prevede il trasferimento di appena il 40% della spesa dai comuni più ricchi a quelli con minore capacità fiscale.
Il Fondo di Solidarietà Comunale (FSC) dovrebbe invece diventare perequativo al 100%, in modo che anche i comuni più poveri abbiano la possibilità di garantire prestazioni adeguate almeno per i servizi essenziali (i mai definiti LEP).
In caso di differenziale negativo tra i fabbisogni dei comuni e le loro disponibilità, cosa che avviene tutti gli anni, è necessario che lo Stato intervenga ampliando questo fondo tramite una fiscalità generale che andrebbe riportata alla sua originaria progressività, dove si paghino tasse in proporzione al proprio effettivo reddito.

Infine, se proprio a questa giunta venisse uno sprizzo estremo di coraggio, si potrebbe richiedere la sospensione del pareggio di bilancio per i Comuni. Si potrebbero, ad esempio, impiegare le risorse accantonate nei fondi, a partire dal Fondo per Crediti di Dubbia Esigibilità, solo in parte intaccato anche in questa situazione di emergenza: una mossa che metterebbe in discussione proprio la logica del patto di stabilità interno, affinché i nostri bisogni non siano più subordinati al volere dei mercati e agli interessi di banche e speculatori.

Insomma, se “non ci sono i soldi” è solo perché il Comune di Torino non ha il coraggio di smettere di regalarli a chi già ne ha tanti. I soldi ci sarebbero eccome se si avesse la radicalità di affermare l’evidenza – resasi ancor più necessaria in questi tempi di emergenza – della necessità del potenziamento e della completa ripubblicizzazione del welfare cittadino.

Non ci sono i soldi” per noi. Ma solo perché i nostri soldi vengono destinati verso gli opachi crediti delle banche, senza che nessuna giunta abbia il coraggio di intraprendere i passi qui sopra descritti, al fine di tutelare e potenziare i servizi sociali comunali.

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