Oggigiorno, nel 2024 a Torino il numero degli sfratti è il più alto mai visto negli ultimi 15 anni (almeno). Gli sfratti in corso sono 6000 (dati del ministero degli interni), mentre i nuclei familiari che faticano a pagare l’affitto sono 20000 (cioè le spese per l’abitazione superano il 50% del reddito).
Più del 90% degli sfratti sono per morosità incolpevole (dati Istat), ossia i nuclei familiari e le persone sotto sfratto sono coloro che non pagano l’affitto perché non possono permetterselo. In parole povere: se si è costretti a scegliere tra pagare l’affitto e dare da mangiare alla propria famiglia*, oppure se pagare l’affitto o sostenere spese mediche urgenti, oppure se pagare l’affitto o pagare le utenze sempre più alte, per evitare di rimanere senza gas o corrente, la scelta è una sola: quella che permette di sopravvivere.
In questi ultimi anni abbiamo assistito ad una violentissima campagna di criminalizzazione della povertà, scaricando tutta la colpa dello sfratto sull’affittuario che non riesce a pagare perché “non fa abbastanza sacrifici”, eludendo il fatto che invece la responsabilità sta nella malagestione del problema abitativo da parte dei governi nazionali e locali, questa volta invece colpevole, per la scelta reiterata di disinvestire su case popolari, welfare abitativo e sostegni al reddito.
Quali sono le cause degli sfratti?
Le cause “personali” che portano le persone ad avere uno sfratto sono tante e varie: la perdita del lavoro (durante la pandemia è stato un problema diffuso e non ancora risanato), l’improvvisa malattia (sono sempre più diffuse) che comporta la perdita del lavoro, l’aumento dei costi di utenze e beni di prima necessità, la morte di un membro della famiglia, la separazione del nucleo familiare e molte altre cose.
Le cause economiche generali di questi anni che hanno portato gli sfratti ad aumentare del 200% (fonte il Sole 24 ore) in Italia negli ultimi 2 anni sono la pandemia e l’inflazione.
Ma le cause più rilevanti sono quelle strutturali sociali degli sfratti e del loro aumento sono la distribuzione ineguale della ricchezza, per cui i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sono sempre più poveri; la malagestione cronica del welfare abitativo che progressivamente toglie risorse a case popolari e contributi al reddito per chi ha bisogno per finanziare invece, attraverso i fondi del PNRR, progetti come per l’abbellimento delle facciate delle case del centro ed il rifacimento di marciapiedi ed aiuole, con l’unico obiettivo di “far girare l’economia”, ossia mettere i soldi nelle tasche degli imprenditori. Gli stessi imprenditori che fanno lavorare gli operai senza adeguate misure di sicurezza, o che hanno diverse case di proprietà che mettono in affitto a prezzi più alti dei salari che pagano ai loro dipendenti.
Un’altra causa strutturale di carattere culturale che porta all’aumento degli sfratti e all’accelerazione delle tempistiche di esecuzione, è la credenza diffusa per cui il diritto di proprietà di chi mette le case in affitto si prioritario rispetto al diritto di avere una casa di chi rischia lo sfratto perché l’affitto non riesce a pagarlo. Carǝ signorǝ, questo modo di pensare è sbagliato: una società che pensa che è più “giusto” che un palazzinaro intaschi gli affitti, che costituiscono un surplus rispetto alle sue necessità, per metterli da parte o per andare in vacanza in posti lussuosi, rispetto al fatto che una famiglia* viva con un tetto sopra la testa, al caldo e in modo dignitoso, è una società marcia, in cui hanno più valore i soldi che le vite delle persone. Pensiamo invece che una società basata su umanità e uguaglianza debba avere come priorità quella per cui tuttǝ abbiano una casa, del cibo, la possibilità di studiare e di curarsi.
Già che ci siamo, vi diamo un’altra grande notizia: gli sfratti non sono conseguenza della colpevolezza di chi non paga l’affitto perché non può, e nemmeno sono solo una conseguenza della povertà dovuta alla distribuzione ineguale della ricchezza. Gli sfratti sono anche una delle cause strutturali di produzione della povertà stessa. Infatti chi è sotto sfratto parte da una condizione reddituale e lavorativa estremamente precaria (se no non ci si troverebbe in quella situazione), e lo sfratto peggiora tale condizione perché ci si trova non solo senza lavoro e reddito, ma addirittura senza la casa, cioè la base per poter costruire la propria vita e rimettersi in piedi.
Quali sarebbero possibili soluzioni?
Ristrutturare ed assegnare le case popolari. Un piccolo esempio è che nel 2022, a fronte di 3000 sfratti e una lista d’attesa di 17000 aventi diritto, le case assegnate sono state 35, di cui 7 a famiglie che hanno seguito un percorso di lotta per la casa (quindi un quinto!)
Mettere un tetto al mercato degli affitti. Mettiamocelo bene in testa tuttǝ: fare il palazzinaro non è un lavoro onesto perché significa speculare su quello che dovrebbe essere garantito di diritto. Significa sfruttare il sudore e la fatica altrui, facendo leva spesso sulle persone più ricattabili che non trovano una casa per il razzismo del mercato immobiliare, o perché alle donne sole con figli non affittano le case in quanto ritenute affittuarie non affidabili, e così via.
Queste soluzioni non vengono messe in campo dalle istituzioni non perché non ci sono case (le case vuote sono 30 mila), o non ci sono soldi (i finanziamenti per la guerra o per rifare le aiuole in centro ci sono sempre), o altro. Ma perché chi governa lo stato, la provincia e il comune fa scelte politiche contro i poveri e contro chi subisce lo sfratto.
Quindi cosa possiamo fare?
Resistere agli sfratti: il giorno dello sfratto è possibile organizzare un muro popolare, essere in tante e tanti per impedire l’esecuzione dello sfratto e contrattare con proprietario e ufficiale giudiziario il rinvio ad un’altra data.
Lottare per il diritto alla casa: insieme possiamo organizzarci, far venire alla luce che il problema degli sfratti è un problema sociale strutturale causato dalla distribuzione ineguale delle risorse. E va risolto.
Potere al Popolo!
Prendocasa
Manituana
Csoa Gabrio
Cosa succede quando i bisogni essenziali di ognunə si trasformano in strumenti di profitto?
“Sto cercando casa, ma non trovo niente con un affitto alla mia portata”
“Ad una mia amica non hanno rinnovato il contratto d’affitto perché la casa dove abita diventerà un bed & breakfast”
“Con il prossimo rinnovo mi verrà aumentato l’affitto”
“Dovrò cercare casa in un altra zona perché in questa gli affitti sono diventati insostenibili”
Sempre più spesso ci capita di sentir dire frasi come queste e sembra non esista persona o famiglia intorno a noi che non si trovi a dover gestire questo tipo di problemi.
Non è un semplice fatto personale, né un momento passeggero, ma una tendenza confortata da dati inequivocabili.
In Italia 2 milioni e 500 mila famiglie (9,9% del totale) hanno una quota di spese per l’abitazione uguale o superiore al 40% del proprio reddito e circa la metà delle famiglie che vive in affitto è in condizione di povertà assoluta.
A Torino i numeri confermano la realtà quotidiana di molti. Gli affitti in pochi anni sono aumentati in media del 20%, e in alcuni casi si arriva addirittura ad un aumento del 30%.
È un’escalation che sta soffocando molte persone, mentre l’inflazione cresce e i proprietari degli immobili trasferiscono il peso di questa situazione interamente sulle spalle degli inquilini già gravate dal caro vita.
Non si tratta soltanto di un aumento dei canoni di locazione, ma anche delle spese condominiali che si sommano alle bollette dell’energia elettrica, dell’acqua e del gas, soprattutto per chi vive in appartamenti con riscaldamento centralizzato.
Se da una parte i redditi vengono progressivamente erosi a causa dei salari bassi (nel nostro Paese, unico caso in Europa, le retribuzioni sono addirittura scese rispetto agli anni ’90), di un’economia di guerra, in cui si è sempre pronti a finanziare l’invio di armi anziché un welfare ormai ridotto ad un colabrodo, e di condizioni lavorative sempre più precarie; dall’altra i costi dell’abitare hanno visto negli ultimi anni un aumento costante ed apparentemente inarrestabile.
Questo stato di cose ha creato un progressivo assottigliamento della capacità di spesa di chi un lavoro ce l’ha, oltre ad essere un colpo mortale per chi vive in condizioni lavorative altamente precarie, di disoccupazione e di fragilità sociale; lasciando, priva di tutele, una larga fascia di popolazione che viene data in pasto ad un mercato della casa sempre più feroce ed inaccessibile.
Ad essere colpite con maggiore forza sono le persone migranti o razzializzate che sono discriminate all’accesso alla casa da richieste di garanzie sempre più elevate, prezzi inaccessibili e che spesso sono costrette a ad accettare situazioni abitative precarie, fatiscenti e non regolari.
Sempre di più, alcune componenti sociali come famiglie con limitate possibilità economiche, studenti fuori sede e persone immigrate vengono messe in competizione tra di loro, in una dinamica di mercato che le sfrutta avvantaggiando i palazzinari senza scrupoli e gli speculatori dell’edilizia.
In questo scenario la questione della casa diventa terreno di scontro sociale, di sfruttamento e di precarizzazione quando invece andrebbe riconosciuta per quello che realmente è: un diritto costituzionale e fondamentale a cui tuttə dovrebbero poter accedere.
Oggi più di ieri, le istituzioni, che dovrebbero mediare fra le parti e garantire coloro che vivono in condizioni di fragilità, continuano invece ad agire con ambiguità, affrontando la crisi abitativa con soluzioni sempre più inadeguate. Allo stesso tempo, continuano a concedere supporto e strutture a coloro che traggono profitto da questa situazione. Utilizzano strumenti come la macchina degli sfratti e mettono in atto piani di riqualificazione che di fatto mirano ad espellere progressivamente gli strati sociali ed economici più bassi.
Questa esclusione è così efficace, incontrollata e feroce che sta progressivamente coinvolgendo anche fasce di popolazione un tempo considerate al sicuro.
É di fondamentale importanza comprendere che la questione abitativa deve riguardare tuttə, perché tuttə ci troviamo ad essere colpitə dall’aumento dei prezzi che sosteniamo per la casa.
La casa non può essere un investimento, una speculazione, che arricchisce pochi sfruttando e schiacciando i molti. La casa o è un diritto per tuttə o non è.
Vogliamo misure che tutelino il diritto ad affitti adeguati al reddito!
Vogliamo un tetto al prezzo degli affitti ed uno stop alle speculazioni incontrollate dei palazzinari!
Vogliamo maggiori tutele e sostegni per i nuclei familiari e le persone in stato di fragilità sociale!
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Potere al Popolo Torino
Csoa Gabrio
Manituana – Laboratorio Culturale Autogestito
Una città che si svuota (Torino è passata da 1.200.000.000 abitanti a 800.000 in un secolo e mezzo) non può mostrare le sue contraddizioni, deve avere nuovi utenti e nuovi cantieri in arrivo. Per farlo il comune trova diversi escamotage come la mancanza di case e posti letto per l3 student3 torines3. A Torino, nonostante le differenze con le altre grandi città italiane, i prezzi delle case stanno aumentando mentre diminuiscono gli alloggi effettivamente disponibili.
Basta guardare sui vari gruppi presenti su internet per accorgersi della discrepanza tra la richiesta abitativa e la realtà offerta messa a disposizione. La grande richiesta con una bassa offerta legittima allora selezioni ed esclusioni, così come compromessi (prezzi più alti oppure condizioni abitative al limite o al di sotto delle condizioni di vivibilità), lasciando spazio di scelta soltanto a chi ha più soldi a disposizione come le famiglie più ricche e gli studenti internazionali delle scuole private. Il diritto allo studio comprende anche una soluzione abitativa piacevole, sana e accogliente dove poter sentirsi bene. Questi elementi vengono a mancare per quegli e quelle studentesse con difficoltà economiche che sono costrette a doversi spostare dal luogo di nascita per studiare in un’università rinomata. Sappiamo però che gli aiuti mancano perché Comune e Regione continuano a tagliare sussidi per le borse di studio oppure rendono le stesse beneficio in nome della meritocrazia, quindi dei voti e delle capacità soddisfatte dagli standard delle università torinesi.
La mancanza di posti letto e appartamenti, non è una conseguenza diretta di un mercato saturo, ma espressione di un controllo dell’offerta immobiliare da parte di privati, palazzinari ed istituzioni pubbliche disposte a tenere chiusi alloggi, incentivare riparazioni e ammodernamenti, affinché il prezzo delle singole unità possa alzarsi. Il Comune e le istituzioni private (dalle fondazioni alle ditte edili ed immobiliari) non sono sorde rispetto alle richieste abitative, anzi, da qualche anno hanno strumentalizzato la richiesta del corpo studentesco per incentivare la costruzione di nuovi alloggi, studentati e case per l3 student3 nei diversi quartieri di Torino da San Paolo con Taurasia, edifici Edisu e Camplus su lungo Dora e Vanchiglietta, dove The Student Hotel rimane l’esempio più lampante per cui l’impegno sociale si fa maschera di speculazione e cementificazione incontrollata. Il problema però rimane connesso al prezzo dei nuovi alloggi privati, dove le camere si aggirano in media sui 900 euro. Penseresti davvero di poter permettere all3 tu3 figl3 una camera del genere per studiare senza dover aprire un mutuo? Questo per noi è un furto che impedisce alla maggior parte delle persone di studiare, non solo a Torino ma in tutta Italia, ritenendo che ognun3 abbia il diritto di spostarsi per studiare ovunque sia, senza ostacoli economici, di genere o di razza.
In tutto questo il Comune e la Regione rimangono grandi sostenitori dei grandi capitali privati, esteri o locali che siano, come quelli di Intesa San Paolo. Di fronte a queste problematiche il Comune continua le sue campagne pubblicitarie in nome di un abitare provvisorio e fluido, dedicato a turist3 e student3 con i portafogli pieni ed esigenze diverse rispetto ai residenti che abitano il quartiere, che sappiamo essere sempre più in difficoltà. L’arrivo di questi nuovi “city users”, interessati a vivere la città per qualche giorno o mese, cambiano radicalmente l’offerta dei servizi messi a disposizione, i prezzi dei beni, i bisogni da soddisfare, mentre scompaiono le garanzie per chi in questa città ci è nato oppure vorrebbe continuare a viverci. Tra quest3 ultim3 ci sono anche molt3 student3, l3 stess3 che hanno aiutato a preparare questo testo. Non vogliamo essere res3 merce o nemici della cittadinanza, anzi vorremmo poterci spostare a studiare in questa città pensando anche di poterci rimanere a vivere senza dover rompere quei fragili equilibri che ne dovrebbero garantire l’accesso indiscriminato a tutt3. Sappiamo di non poter parlare per tutt3 così come vorremmo che il Comune non parlasse a nostro nome; vorrebbe dire prendersi gioco di noi, mettendoci l3 un3 contro l3 altr3 e nascondendo le responsabilità delle diverse amministrazioni rispetto ai problemi che affrontiamo ogni giorno per avere una vita dignitosa, coltivando interessi e passioni più varie.
Di fronte a una situazione che reputiamo ingiusta quanto intollerabile, chiediamo che il Comune:
– intervenga per riaprire gli alloggi rimasti chiusi,
– sostenga la ristrutturazione di quelle abitazioni pubbliche e private senza ulteriori rincari magari con l’aiuto economico delle stesse fondazioni bancarie che detengono il debito di questa città.
– tuteli un effettivo diritto allo studio nelle sue molteplici esigenze (casa, borse studio, spazi dove studiare, fare sport, fare la spesa, mobilità, il tutto a prezzi accessibili e senza distinzioni escludenti)
L’Italia è il paese dell’area Ue con gli stipendi più bassi, e la situazione si aggrava se consideriamo le fasce che dispongono di meno potere contrattuale: donne, giovani under 30 e immigratə. Il 54% degli under 30 guadagna meno di 7 euro l’ora, spesso con un contratto a tempo determinato e con straordinari non pagati, nemmeno in nero. Donne e migranti percepiscono dal 20 al 30% in meno rispetto allo stipendio medio italiano. Per queste fasce di popolazione sono accessibili lavori poco retributiti e privi della valorizzazione che meriterebbero, come il lavoro di cura, in nero e/o precario.
Se parliamo di costo dell’abitare e dei servizi limitrofi, poiché l’Italia è uno dei paesi più visitati al mondo, sia gli affitti che i servizi vengono ormai pensati maggiormente per i turisti che hanno una maggior possibilità di spesa. Questo comporta che proprietari di case e palazzinari prediligano affitti brevi, sfrattando i precedenti inquilini e che pochi servizi siano accessibili per chi abita i quartieri delle nostre città.
Invece di invertire la tendenza che vede negli ultimi anni l’allargarsi della forbice tra costo della vita e reddito, il governo sta riducendo al minimo o azzerando le politiche di walfare, come il reddito di cittadinanza, che per una fetta di popolazione era fondamentale per il sostentamento. Tutte le misure attuate dal governo sulla casa si incentrano su agevolazioni fiscali e incentivazione edilizia. In linea teorica misure come il bonus 110 avrebbero potuto portare un efficientamento energetico e quindi un risparmio nelle bollette degli affittuari nonché un maggiore benessere, peccato che siano misure pensate per fasce della popolazione più benestante, con case autonome, che hanno avuto la possibilità di anticipare il capitale e di organizzarsi nel periodo di tempo corretto per l’attivazione del bonus. Come se non bastasse questi strumenti vengono poi utilizzati dai proprietari per aumentare il valore del proprio immobile e poter aumentare quindi gli affitti.
Il costo dell’abitare induce le persone ad accettare qualsiasi condizione di lavoro pur di avere un tetto sotto cui vivere: se per poterti permettere di pagare l’affitto e le bollette utilizzi il 40% del tuo reddito difficilmente riuscirai a risparmiare qualcosa e avere potere contrattuale verso il tuo datore di lavoro (poter prenderti il rischio di non lavorare a certe condizioni perché hai dei risparmi che ti permettono di mantenerti), accettando qualsiasi condizione per non finire in strada. Per andare in affitto i proprietari non solo richiedono diverse mensilità di caparra, ma anche delle garanzie lavorative come un contratto a tempo indeterminato o dei garanti come i genitori.
Occuparsi della propria abitazione è un vero e proprio lavoro di cura non retribuito difficilmente gestibile per chi lavora a tempo pieno e vive da solə. Per famiglie più numerose significa invece sacrificare l’indipendenza economica di un individuo – spesso donne – per il benessere del nucleo familiare.
Quello che chiediamo sono:
– affitti, bollette e servizi limitrofi commisurati al reddito
– maggiori tutele nell’accedere a una casa in quanto è diritto di tuttə e non può essere discrezionale rispetto alla condizione economica
– reddito minimo universale per contrastare le dinamiche di sfruttamento lavorativo e abitativ
– lavoro retribuito maggiormente, con più garanzie e con maggiore tempo a disposizione per dedicarsi alla cura di sé e di dove si vive.
I nuclei familiari che a Torino stanno subendo un provvedimento di sfratto sono 6000, il 98% dei quali per morosità incolpevole, cioè perchè non riescono a sostenere i costi dell’affitto e altre spese. Invece i nuclei che nella nostra città faticano a sostenere i costi dell’abitazione sono ben 20.000, numero in continua crescita a causa dell’aumento delle bollette e degli affitti, che ormai sono del tutto sproporzionati rispetto ai redditi medi.
Di contro il numero di case vuote oggi a Torino si aggira attorno alle 50.000 unità.
Circa una casa su 20 a Torino viene lasciata vuota, allo stesso tempo un nucleo familiare su 20 fatica ad arrivare a fine mese e dunque a sostenere i costi dell’abitazione. Tra questi alcuni rischiano di finire per strada tramite procedimento di sfratto, altri vivono in situazioni di sovraffollamento o in situazioni abitative non adeguate. Ad esempio: famiglie di 4 persone costrette ad abitare in bilocali, persone disabili in case ai piani alti senza ascensore, case con presenza di muffa o amianto che possono creare gravi problemi di salute. Chi è povero, infatti, è costretto ad accettare condizioni abitative in base alle proprie possibilità economiche, e quindi spesso case inadatte ed insalubri.
Pensare a persone stipate in alloggi piccolissimi, e contemporaneamente immaginare le migliaia di case che a Torino sono inabitate non può che far arrabbiare o per lo meno lasciar interdetta una qualunque persona di buon senso.
Il problema alla base di questo stato di cose è il modo di concepire la casa nella società in cui viviamo: la casa dovrebbe essere un diritto, il prerequisito fondamentale per vivere bene, invece viene concepito come una merce, una rendita, uno strumento per fare soldi.
Ci sono tante case vuote perché i proprietari scelgono di affittarle solo in cambio di un bel bottino, e se ciò non è possibile…meglio che resti vuota! Questo meccanismo favorisce i grandi speculatori ed i palazzinari determinando un costante aumento dei prezzi di mercato. Spesso i medi e piccoli proprietari, che hanno investito sul mattone, faticano a concorrere con i grandi palazzinari, e lasciano “il loro investimento” sfitto piuttosto che rischiare di non guadagnarci abbastanza. In questo modo, con l’aumento di case vuote, il mercato immobiliare continua a gonfiarsi ed il prezzo degli affitti lievita inesorabilmente.
A questi dati vanno aggiunte alcune considerazioni:
La prima è che il numero di case vuote censite è in calo. Infatti nel 2018 le case vuote erano più di 60.000, nonostante la popolazione della città sia in calo. Questo succede perché molte delle case che fino a poco tempo fa erano censite come sfitte ora sono registrate ad uso turistico. Ciò significa che queste case all’apparenza non risultano più vuote, ma di fatto sono disabitate.
Le case ad uso turistico sono un vero e proprio cancro della nostra città perché producono l’aumento del costo degli affitti, e dunque la difficoltà della vita quotidiana di chi prende stipendi medio-bassi, lo spopolamento del centro della città e soprattutto contribuiscono a radicare l’idea che la casa sia una merce, uno strumento per fare soldi, anziché un diritto che deve essere garantito.
La seconda è che 5.000 di queste case vuote sono di proprietà di ATC. Proprio l’ente che gestisce le case popolari, che dovrebbero essere assegnate a chi non ha i mezzi per pagare un affitto a prezzo di mercato, rientra tra i grandi proprietari che lasciano le case sfitte in stato di degrado e abbandono. Spesso la triste fine di queste case, inizialmente destinate a chi ne aveva bisogno, è di essere svendute a proprietari privati favorendo di fatto la speculazione. Questo succede anche perché le nostre amministrazioni nazionali e locali
continuano a disinvestire sul welfare pubblico. Appare evidente che queste sono scelte politiche, dato che quando si tratta di finanziare guerre e banche i fondi si trovano sempre! Ciò fa rabbrividire se si pensa che le persone aventi diritto in attesa di casa popolare sono 17.000, che i tempi medi di attesa si aggirano attorno ai 10 anni, che meno del 10% di chi fa richiesta valida ottiene effettivamente una casa e soprattutto che, in questa situazione tragica, ATC si occupa di fare propaganda contro occupanti abusivi e spreca soldi per telecamere e porte blindate.
La terza considerazione è che, nonostante il numero altissimo di case vuote, si continua a costruire e cementificare, sempre nella logica della speculazione finanziaria e contro la tutela del pianeta.
50.000 case vuote di fronte alla difficoltà abitativa che coinvolge sempre più persone è un’ingiustizia!
Avere una casa è un diritto.
Speculare sull’affitto è un furto.
Lasciare le case vuote mentre tante persone ne avrebbero bisogno è un crimine!
La Corte Costituzionale ha incluso tra i diritti inviolabili della persona il diritto all’abitazione, il quale “rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione” (sentenza n. 217 del 1988 e sentenze n. 128 del 2021, n. 44 del 2020), poiché è compito dello Stato assicurare “che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana”.
Il diritto all’abitare è quindi un diritto effettivo al quale lo Stato deve ottemperare.
Anche a livello europeo, l’UE, attraverso la Carta Sociale Europea (CSE), sancisce che “tutte le persone hanno diritto all’abitazione”, che gli Stati aderenti, s’impegnano a “considerarsi vincolate alla tutela del diritto all’abitazione.” Per attuarlo, gli Stati firmatari devono mettere “in atto una serie di adempimenti, finalizzati ad assicurare l’accesso a un’abitazione di livello sufficiente a consentire un tenore di vita dignitoso per tutti e a ridurre al minimo lo status di senzatetto”.
Ma come tutelano questo diritto lo Stato e le amministrazioni locali?
Quali politiche per il diritto all’abitare pongono in essere affinché le componenti più fragili della nostra società vengano salvaguardate?
Tra l’inesorabile e progressivo smantellamento del patrimonio di case popolari, la mancanza di un tetto agli affitti e la feroce gentrificazione mascherata da “riqualificazione”, le ricette liberiste delle nostre amministrazioni continuano incessantemente a fornire strumenti di speculazione e finanziarizzazione a grandi gruppi immobiliari e fondazioni bancarie come Compagnia San Paolo e Fondazione CRT.
Le politiche attualmente adottate, sia a livello nazionale che nella nostra città, si sviluppano in un mix di speculazione privata, che lucra tramite social-housing e co-housing, residenze temporanee che non garantiscono alcuna stabilità a chi necessita di una vera abitazione e strumenti inefficienti di assistenza come il canone concordato.
Nei fatti, gli attori pubblici abdicano alla costruzione di un welfare abitativo rivolto a tutti e tutte, lasciando libero spazio alla dicrezionalità ed al profitto dei privati, talvolta gli stessi che per anni hanno lucrato ampiamente sulla finanziarizzazione del mercato degli immobili per poi restituire elemosine insufficienti con una parvenza di attenzione alle problematiche sociali. Questi privati ottengono così il controllo della fruizione delle scarse misure assistenziali che mettono in campo, potendo imporre condizioni all’accesso ed andando ad operare solo nelle aree di azione, a livello territoriale e sociale, dove possono curare i propri interessi di profitto o di immagine, ignorando una pianificazione strutturale delle risposte alle emergenze abitative.
Il welfare abitativo, inteso come sistema di protezione sociale che garantisca a tuttə il diritto a una casa dignitosa, dovrebbe essere il fulcro delle politiche abitative. Ciò significa non solo fornire alloggi accessibili per coloro che ne hanno bisogno, ma anche affrontare le cause strutturali della crisi abitativa attraverso l’azione pubblica diretta e l’intervento sul mercato immobiliare.
In un contesto di gravissima crisi abitativa come quella che stiamo vivendo, crediamo che case temporanee, social-housing e sistemi di sicurezza anti-occupanti non siano la soluzione al problema, ma una sua aggravante. Al contrario, servono politiche abitative strutturali che rimettano al centro l’edilizia residenziale pubblica e il diritto all’abitare come welfare pubblico, slegato da logiche di speculazione e profitto privato.
In una visione più equa e giusta della nostra società chiediamo:
Il recupero e la ristrutturazione del patrimonio di edilizia residenziale popolare (ERP) da parte di ATC che garantisca una gestione adeguata alle necessità delle fasce della popolazione più fragili.
L’implementazione di regolamentazioni sui prezzi degli affitti che contrasti la speculazione e garantisca che gli affitti siano equi e sostenibili per tuttə.
La reimmissione nel mercato immobiliare delle decine di migliaia di alloggi privati attualmente vuoti per riequilibrare il rapporto tra richiesta e offerta che inquina il settore immobiliare a chiaro vantaggio dei grandi proprietari.
La limitazione al numero di licenze per affitto breve ed una tassazione adeguata ad una attività con scopo di lucro.
Il problema dell’abitare è sia causa che effetto dei problemi di salute di un individuo: nella Londra vittoriana come nelle metropoli del XXI secolo fare soldi sul bisogno abitativo delle classi più povere impatta pesantemente sulla salute delle persone e delle comunità.
Causa, poiché le condizioni abitative in cui spesso si trovano persone che faticano ad accedere alla casa sono disumane, ricavate da immobili che avrebbero bisogno di restauro, sovraffollate per poter pagare affitto e bollette. In queste condizioni aumentano la possibilità di malattie legate alle condizioni igieniche e di natura psicologica. Stress, ansia, depressione, la stessa aderenza ai ruoli sociali causate principalmente dal vivere nella nostra società, sono terreno fertile per le famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese, minacciate e sotto sfratto. Chi può pensare alla salute se deve lavorare per avere un tetto sopra la testa?
Effetto, poiché le condizioni di salute di un individuo limitano o impediscono di lavorare con continuità e quindi di avere un reddito stabile. Questo si riflette anche sulla possibilità di un abitare dignitoso, legato sempre di più alla ricchezza di una famiglia e non al diritto di avere una casa, causando inoltre conflitti interni alle famiglie spesso declinati sul versante del genere.
Il costante definanziamento del welfare sanitario non fa che acuire questa situazione: la privatizzazione della sanità e l’inefficienza nell’accesso alle cure pubbliche aumentano da una parte le spese per sé e per i membri più fragili della propria rete di affetti (famiglia, amici), per chi non riesce nemmeno a pagare i beni di prima necessità, dall’altra i tempi di attesa con la possibilità che la situazione si aggravi sia in termini di salute che di reddito. La cura sempre più spesso diventa quindi responsabilità del nucleo familiare risultando faticosa in termini emotivi e di salute psicologica: una catena infinita di situazioni tragiche che difficilmente si può spezzare quando ci si trova in condizioni di povertà e di depauperamento delle strutture sociosanitarie. Se estendiamo l’abitare non solo alla casa, ma anche ai quartieri, notiamo la tendenza negli ultimi anni di chiudere i presidi sanitari più piccoli, favorendo la costruzione di grandi poli sanitari in partenariato con il privato, oltre alla speculazione edilizia e alle politiche sulla mobilità favorevoli all’automobile che danneggiano gli ecosistemi, causando il peggioramento della salute di tuttə. Crediamo invece in città verdi, a misura di persona ed accessibili nei servizi, soprattutto per quelle persone che hanno difficoltà negli spostamenti.
Chiediamo quindi:
– Accesso alla salute di prossimità e di qualità per tutt*
– Aumento della spesa pubblica per l’ambito sociosanitario, con conseguente valorizzazione sociale della cura e dei lavori correlati
– Creazione di strutture sociosanitarie diffuse e aperte al costante dialogo con il territorio
– Politiche industriali, urbane e abitative volte a tutelare la salute delle persone e la sopravvivenza degli ecosistemi
– Più garanzie per chi ha bisogno di una casa