Lavoro o salute? Garanzia di un reddito dignitoso o garanzia di una vita sana? Salvaguardia della produzione o salvaguardia dell’ambiente? Chiusura dello stabilimento ex-Ilva o apertura e mantenimento della produzione?
Queste sono domande che i tarantini si sottopongono e sottopongono ai loro familiari, ai loro conoscenti, agli amici, nei bar, nei negozi, nei presidi, nelle assemblee, nei cortei, durante gli scioperi e in ogni luogo collettivo. Ma la cosa più rilevante è che sono domande alle quali ogni risposta sembra essere parziale e ingiusta.
Non possiamo però fermarci a questo. Come Potere al popolo siamo convinti che la vittoria di Taranto e la “soluzione” del caso Ilva passino necessariamente dal superamento di queste domande e dal forte rilancio della lotta dentro e fuori lo stabilimento.
Non abbiamo una ricetta da proporre; anzi, non vogliamo dare una ricetta, perché il momento richiede ben altro.
Quello che invece siamo sicuri di volere immediatamente per Taranto è:
- Nazionalizzazione della fabbrica e rifiuto di qualsiasi ulteriore accordo con Arcelor Mittal e con altre multinazionali. Ciò non deve significare la semplice acquisizione degli impianti da parte dello Stato con il mantenimento invariato della produzione all’interno di strutture obsolete, fatiscenti e causa di morte e inquinamento. Nazionalizzazione significa piuttosto restituire la fabbrica all’unico soggetto capace di portare avanti un progetto a breve e lunga durata sull’intero territorio tarantino. Anni e anni di logica del profitto e di concessione ai privati hanno dimostrato il totale disinteresse per la vita umana dei “giganti dell’acciaio” e la perversa logica predatoria che muove l’operato delle multinazionali che ormai da tempo invadono i settori maggiormente strategici della nostra produzione.
- Fermo immediato delle fonti inquinanti e stop alla produzione di tutti i reparti non a norma, datati e pericolosi per la sicurezza tanto ambientale, quanto di chi ci lavora. Immediata messa a norma e messa in sicurezza di impianti e reparti sotto il controllo operaio e rispettando le prescrizioni della magistratura. Il fermo non deve lasciare nessuno in mezzo a una strada, ma nessuno deve esser costretto a lavorare nemmeno un minuto in condizioni di insicurezza e insalubrità per sé stessi e per la città.
- Tutela del posto di lavoro per i quasi 11.000 dipendenti della fabbrica e dell’indotto. Nessun esubero e reinserimento immediato degli operai in cassa integrazione. Non si può pensare di avviare un progetto di ricrescita della città, facendo sprofondare in un periodo di incertezza economica e di depressione lavorativa intere famiglie. Inoltre, risulta necessario garantire un processo di pre-pensionamento con risarcimento per gli operai dell’ex Ilva e dell’indotto.
Tutto ciò deve essere strettamente legato all’avvio immediato del processo di riconversione pubblica, capace di garantire l’occupazione tanto dei lavoratori di Taranto, quanto di quelli dello stabilimento di Cornigliano (GE). - Avvio immediato, senza soste e precisamente scadenzato, delle improrogabili opere di bonifica sull’intero territorio tarantino, non solo sul territorio dello stabilimento, anche utilizzando i lavoratori dell’ex Ilva. Uno degli elementi che più hanno distorto la visione generale del “problema Ilva” a Taranto è stato quello di considerarlo un problema circoscritto alla zona di suolo occupato dalla fabbrica. I decenni trascorsi e la compresenza di diversi stabilimenti industriali hanno contribuito a degradare sensibilmente gran parte del territorio tarantino ben al di là della sola zona industriale, intaccando interi ecosistemi.
- Immediata ambientalizzazione della fabbrica e riprogettazione totale dell’intero ciclo produttivo dell’acciaio. Con ciò intendiamo una radicale trasformazione dell’attuale impianto e non una semplice messa a nuovo di una struttura ormai totalmente obsoleta. La parola “acciaio” provoca comprensibilmente il malumore e la rabbia dei tarantini che per anni hanno dovuto convivere con l’incubo del siderurgico. Una delle sfide principali da portare avanti, sebbene non l’unica e non per forza vincolante, è quella di dimostrare – imponendolo con la lotta e con la mobilitazione – come a Taranto sia possibile produrre acciaio in modo diverso, non inquinando e costruendo un modello alternativo di produzione respingendo davvero e una volta per tutte il ricatto della finta scelta tra salvaguardia della salute e fabbrica. Sottomettersi infatti all’acquisto di acciaio da altre parti del mondo significherebbe infatti nient’altro che, ancora una volta, pensare di risolvere il problema ambientale, sottomettendosi al mercato e alle sue logiche del profitto, reiterando meccanismi di sfruttamento in altre parti del mondo. Insomma, “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”.
- Progettazione di un nuovo piano di riconversione produttiva, economica e sociale per l’intero territorio tarantino. I problemi di Taranto non possono essere ridotti alla questione Ilva. Questo deve essere invece il momento per rivendicare attenzione e sostegno per un’intera comunità devastata. Per questo motivo, tanto riconvertendo l’utilizzo di parte dell’attuale impianto siderurgico, quando impegnandosi nella creazione di un piano occupazionale a livello cittadino, lo Stato dovrà creare i presupposti per una rinascita di Taranto e della sua provincia, slegandone il destino dalla sola esistenza dell’acciaieria.
- Creazione di un forum territoriale in diretto rapporto con le istituzioni nazionali all’interno del quale garantire strumenti decisionali e di partecipazione tanto ai cittadini, quanto ai lavoratori. In questo senso, la nazionalizzazione dovrà coincidere necessariamente con la creazione di spazi per il controllo popolare e la progettazione dell’intero nuovo assetto produttivo, economico e sociale di Taranto.
Alla luce delle nostre riflessioni, che cosa possiamo fare?
Essere uniti e lavorare per il rafforzarsi dell’unione tra i lavoratori e i cittadini. Portare avanti una lotta che non parta da parole d’ordine o da posizioni dogmatiche e ideologiche, ma che miri alla partecipazione e al confronto continuo. Riunirsi non sotto una ricetta per Taranto, ma nella condivisione di necessità immediate come quelle del fermo immediato delle fonti inquinanti e quella della nazionalizzazione della fabbrica, unica via che possa garantire una partecipazione delle varie componenti sociali al processo di determinazione del futuro di Taranto.
Perché farlo?
Come Potere al Popolo crediamo nella possibilità di fare di Taranto un’esperienza capace di dimostrare che lavoro e salute non possono essere in contraddizione. Crediamo anche che tale contraddizione vada risolta a partire da un movimento collettivo di lavoratori e cittadini, che parta dalla forza delle classi sfruttate, che possa dirsi unitario, che chieda legittimamente il potere di rientrare nelle decisioni e che, allo stesso tempo, abbia in sé la partecipazione conflittuale delle diverse anime della città.
Ci hanno portato a odiarci, a separarci, solo per indebolirci!
Riuniamoci ora, per gridare che Mittal come ogni altra multinazionale a Taranto non può avvelenarci e sfruttarci; che Taranto è una città più forte di quanto venga dipinta, capace di superare le scissioni imposte dall’alto e respingere i ricatti dell’azienda; che noi, tra lavoro e salute, non sceglieremo e non potremo mai scegliere; e che, per fare tutto ciò, lo Stato italiano deve prendersi le sue responsabilità, ristabilire il controllo sull’impianto e rilanciare con forza l’intervento pubblico nell’economia e nella produzione nazionale sotto il controllo di operai e cittadini e l’incalzare della loro mobilitazione.
La ricetta verrà dalla lotta, verrà dal popolo se sarà capace di imporre al Governo il sequestro dell’impianto e un percorso in grado di ridare giustizia, lavoro, salute e dignità a tutti cittadini di Taranto.