Il tavolo di incontro che si è tenuto tra Governo e le tre sigle dei sindacati confederali lo scorso 24 Marzo, alla vigilia della giornata di sciopero generale proclamato dal sindacato di base USB, si è concluso con una nuova modifica di quelle che sono le attività lavorative da considerarsi essenziali. Un taglio alla lista dei codici Ateco, di tutte le attività che devono restare chiusure fino al 3 Aprile.
Nella nuova lista Ateco, sono state tagliate diverse voci, ma resta ancora il codice per il call center seppur con una importante modifica.
Di che cosa si tratta?
A seguito di questa modifica l’attività di outbound, cioè quella dove sono gli operatori dei call center a richiamare i clienti, quella cioè legata alla vendita di prodotti per via telefonica, è stata considerata non essenziale. Per tale motivo, questa attività non è possibile eseguirla all’interno delle aziende ma solo attraverso il servizio di smart-working.
Restano invece da considerarsi essenziali i servizi di inbound, cioè quelli in cui sono i clienti a rivolgersi ai numeri di assistenza telefonica. Questo servizio però resta attivo solo se connesso ad una commessa legata ad un servizio essenziale.
Un risultato delle lotte dei giorni scorsi
Insomma, azioni di buonsenso, ma che sono arrivate in estremo ritardo. Sono arrivate dopo le proteste dei lavoratori, dopo i cali produttivi causati dal forte assenteismo spontaneo a cui hanno fatto ricorso migliaia di operatrici e operatori che tra ferie e malattia hanno ridotto ai minimi le unità lavorative sulle singole commesse in tutti i call center di Italia.
Un modifica arrivata troppo in ritardo, che non ha salvato la vita ad un giovane 34enne di Roma, che solo pochi giorni fa è deceduto per Covid- 19.
Soprattutto, sono azioni non risolutive, che non eliminano il problema dell’elevata probabilità di contagio in ambienti lavorativi formati da un’unica stanza open space, anzi, a dir il vero, queste nuove misure dividono la fetta dei lavoratori dei call center in due parti, gli esonerati e i sacrificabili, cioè quelli che, se le aziende non provvedono ad attivare soluzioni di smart-working, saranno costretti a recarsi comunque a lavoro, perché legati ad una commessa di un servizio essenziale.
Smart working…ma solo se li fa arricchire!
Che il tipo di lavoro nei call center presti il fianco al lavoro da casa, non è una supposizione astratta, ma un dato di fatto. Lo hanno capito bene i dirigenti del call center come Comdata, che pur di sopperire al calo produttivo dovuto dall’alto assenteismo di questi giorni, hanno subito attivato le procedure per esternalizzare il servizio di outbound della Sky. In fondo si sa, la quarantena è un’occasione ghiotta per tutte quelle aziende che offrono servizi di intrattenimento, quindi quale periodo migliore se non questo per richiamare nuovi e vecchi cliente per vendere pacchetti e fare utili?
Così, rispettando la sola logica del profitto, i primi servizi ad essere stati attivati in smart-working, quelli per i quali le aziende dei call center hanno da subito investito e ottenuto permessi e licenze per un lavoro da casa, sono quelli legati ai servizi di vendita di prodotto, più remunerativi e, per loro, più essenziali.
Questa corsa all’attivazione dello smart-working, nei call center, e in generale in tanti altri settori, ha fatto saltare le contrattazioni di secondo livello per tutto ciò che concerne l’utilizzo degli strumenti da lavoro, facendo ricadere tutto il costo del lavoro addosso agli operatori.
Chi paga il lavoro agile?
Tutti i costi del lavoro da casa, a partire dai dispositivi elettronici fino ad arrivare alle sedie e scrivanie ergonomiche, devono essere completamente a carico delle aziende. Queste, che continuano a fare utili avendo dipendenti che lavorano da casa e che allo stesso tempo hanno un calo nelle spese relative alla sanificazione, pulizia degli ambienti e diminuzione nei consumi, non possono approfittare della situazione emergenziale per scaricare completamente sul singolo lavoratore ulteriori costi.
Ma soprattutto, non possono scaricare sui propri singoli dipendenti la possibilità di adeguarsi o meno alle linee guida sulla salute negli uffici. I lavoratori dovranno ricavare nelle proprie mura domestiche le postazioni lavorative, saranno invisibili e inaccessibili per tutte quelle strutture preposte ai controlli della sicurezza sul lavoro. Non sappiamo per quanto tempo queste misure saranno necessarie, e se tutto questo porterà ad una rimodulazione permanente del lavoro dei call center, ma se di tutela alla salute stiamo parlando, allora questa deve essere tutelata nell’emergenza come nella normalità.
Le misure adottate a seguito dell’ultimo incontro tra governo e sindacati sono sufficienti?
La risposta purtroppo è no, perché tra il dire e il fare c’è di mezzo la mala fede e l’arroganza dei padroni. L’arroganza di chi pur di fare profitto aggira la legge e costringe i propri dipendenti a dover scegliere tra disoccupazione e diritto alla salute. Nonostante le misure adottate, continuano ad arrivarci richieste di assistenza telefonica al Telefono Rosso, di operatori del call center costretti a recarsi in ufficio sebbene la commessa su cui sono attivi non rientri nei servizi essenziali, o ancora peggio obbligati dai propri datori di lavoro a dichiarare il falso sulle proprie autocertificazioni da compilare quando ci si muove in città, indicando di lavorare su una commessa fittizia.
Come Potere al Popolo! abbiamo deciso di sostenere e dare supporto alle segnalazioni pervenute: giovedì abbiamo inviato un esposto all’ASL, all’Ispettorato del Lavoro, e alla Procura di Roma per segnalare la situazione di rischio a cui sono esposti i lavoratori di un call center romano, dove non è stato adottato alcun dispositivo di sicurezza nonostante le numerose lamentele dei lavoratori.
Che tutti facciano la propria parte! noi restiamo a casa, ma voi fate chiudere quelle attività che mettono a rischio la vita delle persone.
Telefono Rosso: servizio di assistenza telefonica per i lavoratori.
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