Nessun paese dovrebbe passare quello che sta passando il Venezuela dal 2017.
Il grafico FACTS mostra che le sanzioni imposte dagli Stati Uniti (più correttamente denominate misure coercitive unilaterali) hanno causato al Venezuela una perdita di entrate petrolifere pari al 213% del suo PIL tra gennaio 2017 e dicembre 2024. In totale, il Paese ha subito perdite stimate a 226 miliardi di dollari, circa 77 milioni di dollari al giorno, durante questo periodo. Questi dati, elaborati da Global South Insights e Tricontinental sulla base di uno studio del ricercatore venezuelano Yosmer Arellán, sono stati calcolati confrontando i dati reali con una stima della produzione petrolifera venezuelana senza la campagna di massima pressione avviata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Mentre il Venezuela è stato oggetto di attacchi da parte del governo statunitense e dei suoi alleati sin dalla prima elezione di Hugo Chávez nel 1998, l’Ordine Esecutivo 13808 emanato da Trump nel 2017 ha dato il via a una nuova ondata di sanzioni finanziarie che hanno negato al Venezuela l’accesso ai mercati creditizi internazionali, compromettendo gravemente la sua capacità di vendere petrolio all’estero. L’ordine esecutivo ha impedito a qualsiasi cittadino statunitense di acquistare nuovi titoli di debito dal governo venezuelano o di acquistare obbligazioni esistenti che avrebbero consentito il rifinanziamento. Il pagamento dei dividendi da parte di Citgo (la filiale statunitense della compagnia petrolifera nazionale venezuelana Petróleos de Venezuela, S.A., o PDVSA) è stato sospeso successivamente, nel gennaio 2019, quando la società è stata sequestrata e posta sotto il controllo di Juan Guaidó, la persona definita dagli Stati Uniti come “presidente”. Ciò ha impedito a PDVSA di assicurarsi lettere di credito per garantire le spedizioni di petrolio, trovare assicurazioni per le petroliere, mantenere i giacimenti petroliferi e condurre transazioni con cittadini non statunitensi che temevano sanzioni secondarie. Due ulteriori ordini esecutivi imposti da Trump (13850 del 1° novembre 2018, e 13857 del 25 gennaio 2019) hanno ulteriormente limitato l’accesso del Venezuela ai finanziamenti e hanno preso di mira gli acquirenti del suo petrolio, in particolare in Europa e in India.
Trump ha stretto la morsa sull’economia venezuelana e ha spremuto il Paese con tutta la forza.
Il cerchio si sta stringendo. La crisi umanitaria sta aumentando di ora in ora. Ieri sera alle 19 o alle 20 ho parlato con il nostro alto funzionario presente in Venezuela. Si può vedere il crescente dolore e la sofferenza che sta vivendo il popolo venezuelano.
“Dolore e sofferenza” sono stati avvertiti dal vero obiettivo delle misure coercitive unilaterali: il popolo venezuelano. Due anni dopo, Alena Douhan, relatrice speciale delle Nazioni Unite sull’impatto negativo delle misure coercitive unilaterali sui diritti umani, ha visitato il Venezuela e ha presentato una relazione al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Quello che Douhan ha scoperto è stato catastrofico: il crollo del petrolio del 2014 ha provocato una diffusa carenza di cibo e medicine, carenza aggravata dalla campagna di massima pressione di Trump iniziata nel 2017. Questa crisi era in netto contrasto con il significativo aumento del tenore di vita di cui la popolazione aveva goduto dal 1998, anno della Rivoluzione Bolivariana. Come ha scritto Douhan, “a partire dal 2017, l’inasprimento delle sanzioni ha compromesso l’impatto positivo delle molteplici riforme e la capacità dello Stato di mantenere le infrastrutture e continuare a rafforzare i programmi sociali”. È importante sottolineare che, secondo la relatrice, “le esenzioni umanitarie esistenti sono inefficaci e insufficienti, soggette a procedure lunghe e costose e non coprono la fornitura di pezzi di ricambio o attrezzature e macchinari indispensabili per il mantenimento e il ripristino dell’economia e dei servizi pubblici essenziali”. Ciò significa che l’intero regime delle misure coercitive unilaterali – nonostante le esenzioni – ha costretto il popolo venezuelano a pagare un prezzo molto alto, come dimostriamo nel nostro recente dossier Imperialist War and Feminist Resistance in the Global South.
All’epoca, il team di Trump per l’America Latina era composto da persone come Mauricio Claver-Carone, avvocato cubano-americano e direttore per gli affari dell’emisfero occidentale nel Consiglio di sicurezza nazionale. Claver-Carone era considerato l’autore della campagna di “massima pressione” di Trump contro il Venezuela e, secondo alti funzionari del Dipartimento di Stato americano, avrebbe persino scritto i decreti presidenziali di Trump. Dopo uno scandalo alla Banca Interamericana di Sviluppo, è ora l’inviato speciale di Trump per l’America Latina. Il suo obiettivo è rovesciare con ogni mezzo sia la Rivoluzione Cubana che quella Bolivariana.
Nell’aprile 1976, la Commissione speciale del Senato degli Stati Uniti per lo studio delle operazioni governative relative alle attività di intelligence (presieduta dal senatore Frank Church) ha pubblicato la sua relazione finale. Il rapporto della commissione speciale, intitolato Covert Action in Chile, 1963-1973, raccoglieva documenti sulla destabilizzazione del governo del presidente Salvador Allende. Esso include una nota scritta a mano del direttore della CIA Richard Helms su una riunione tenutasi il 15 settembre 1970 alla Casa Bianca con il presidente Richard Nixon, il procuratore generale John Mitchell e il consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger. La riunione ebbe luogo undici giorni dopo che Allende del Partito Socialista Cileno aveva vinto le elezioni presidenziali. Nixon consigliò al suo team di “salvare il Cile” mettendo al lavoro “i migliori uomini che abbiamo”. Il piano: “far urlare l’economia”.
Poche settimane dopo l’incontro, il 9 novembre, Kissinger presentò il Memorandum 93 sulla decisione in materia di sicurezza nazionale, che definiva questo “piano d’azione”. Con un atteggiamento pubblico “corretto ma freddo”, scriveva Kissinger, gli Stati Uniti dovevano esercitare la massima pressione per impedire al Cile di accedere a ulteriori finanziamenti, compreso l’accesso alle banche internazionali e alle istituzioni finanziarie multilaterali, nonché alle imprese private statunitensi. All’indomani della nazionalizzazione dell’industria del rame in Cile, le multinazionali minerarie statunitensi, come la Kennecott, cercarono di intercettare le navi cilene e sequestrare il loro rame o impedire al Paese di vendere rame a terzi, compresi ai Paesi europei. Gli Stati Uniti usarono il loro potere sul Fondo Monetario Internazionale (FMI) per negare prestiti e fecero pressione sugli organismi internazionali affinché impedissero al Cile di avviare procedimenti arbitrali sulle controversie legali relative alle sue miniere. Le compagnie di navigazione iniziarono a evitare il Cile e le esportazioni di rame del Paese divennero meno attraenti per gli acquirenti. Il calo del prezzo e del volume delle esportazioni di rame, che rappresentavano l’80% delle entrate in valuta estera del Cile, ebbe un grave impatto sull’economia. Questo declino portò a una crisi economica generale, con carenze di beni importati e di forniture industriali, nonché un tasso di inflazione che salì al 200% nel 1973.
Ciò che gli Stati Uniti hanno fatto al Cile tra il 1970 e il 1973 è esattamente ciò che stanno facendo al Venezuela almeno dal 2017. Nel 1972, Victor Jara ha colto la sensibilità della guerra economica contro il Cile e l’essenza della resistenza cilena a quella guerra con la sua canzone El hombre es un creador (L’uomo è un creatore). È una canzone semplice sulla classe operaia nelle fabbriche, nei campi e sotto terra nelle miniere. L’ultima strofa è potente:
Ho imparato il linguaggio
del padrone, proprietario e capo,
mi hanno ucciso tante volte
per aver alzato la voce contro di loro,
ma da terra mi rialzo,
perché mi danno una mano,
perché ora non sono solo,
perché ora siamo tanti.
Victor Jara fu torturato e ucciso durante il colpo di Stato che ha rovesciato Allende. La sua tomba a Santiago è meta di pellegrinaggio per i sognatori e i sogni. I sogni sono importanti: ci danno speranza. I sogni sono meglio dell’amarezza di uomini come Nixon e Trump, Kissinger e Claver-Carone.
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della diciottesima newsletter (2025) di Tricontinental: Institute for Social Research.
Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.