Simona Baldanzi, COSTRETTA A “EMIGRARE” IN EMILIA PER UNA RISONANZA, INDIRIZZA UNA LETTERA A ENRICO ROSSI E STEFANIA SACCARDI
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Ho dovuto oltrepassare l’appennino, «emigrare» di regione per un controllo medico. Perché? Perché quando sono stata dimessa dal reparto di neurochirurgia e mi hanno consigliato il controllo tre mesi dopo, mentre non ho avuto problemi a fissare la visita, è iniziata l’odissea per la risonanza. Ma come? Perché se mi sono operata in ospedale pubblico e sono entrata in un percorso di cura, devo trovarmi da sola l’esito di una visita? Uno in convalescenza dovrebbe stare tranquillo, e invece no, c’è da cercare la risonanza e chiamare tutti i giorni. Non ho contattato solo più volte il Cup, ho fatto il giro degli istituti privati convenzionati con l’Asl su diversi territori e province. Niente. La ricerca di questa visita è diventata un lavoro ansiogeno per me e i miei familiari. E se non la trovo? L’alternativa è rivolgermi al privato pagando quasi 300 euro.
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Sento vivo l’orgoglio di essere figlia di una classe sociale, quella lavoratrice, che da sempre sostiene con le proprie tasse e con le proprie battaglie, questo grande sistema sanitario universale. Quando con i miei genitori, ex operai in pensione, ho potuto ricamminare in quei corridoi, ho ringraziato tutti quelli che si sono sacrificati per sancire principi costituzionali e per permettere a me di essere curata. Con questo orgoglio e con la determinazione e la passione che ho sentito in quel reparto, vorrei che mi rispondeste. Per tutte e tutti i cittadini, per il futuro della sanità pubblica.”
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