Nelle principali stazioni di metro e bus, Tiburtina, Piramide, Anagnina, Conca D’Oro, Laurentina, Policlinico, Tuscolana, Portuense, abbiamo parlato con gli utenti dei mezzi pubblici sull’imminente sciopero di venerdì.
12 Gennaio. Nelle principali stazioni di metro e bus: Stazione Tiburtina, Piramide, Anagnina, Conca D’Oro, Laurentina, Policlinico, Tuscolana, Portuense, abbiamo parlato con gli utenti dei mezzi pubblici sull’imminente sciopero di venerdì e distribuito loro materiale informativo.
Il nostro intento è quello di rendere sempre più evidente che il disagio che vivono i cittadini romani ed i lavoratori dell’Atac ha in comune la stessa causa. Infatti la politica di questo governo, e di quelli passati, persegue a spron battuto la via della privatizzazione di tutti i servizi pubblici. Verrebbe da dire: “Questi si venderebbero pure la madre pur di guadagnare qualche piccolissima percentuale di pil”. Ed è solo quando entri nei pronto soccorso degli ospedali, fai la richiesta al cup per un esame o iscrivi i figli a scuola che ti rendi conto che non è una battuta ma anzi, si sono portati avanti con il lavoro perché si sono venduti pure tutto il resto della famiglia.
Trenitalia a più riprese ha presentato quella che per lei sarebbe la soluzione ai continui guasti del parco macchine più vecchio d’Europa; Alla annosa mancanza di materiale di ricambio; Al pluriennale sfruttamento di un personale su strada che ha fatto dello straordinario la normalità: Busitalia. Questa sarebbe la soluzione a cui punta il referendum strumentale dei radicali. Vi starete giustamente chiedendo quale sarà l’apporto eccezionale di un nuovo vettore privato, vi risponde Busitalia Veneto: sub appalto a cooperative, utilizzo di lavoro a termine tramite società interinale (“Generazione Vincente” – sembra uno scherzo). Oppure forse sarebbe meglio prendere consigli da Busitalia Campania che a Salerno non si fa problemi ad aumentare i carichi di lavoro dei propri autisti o ancora a Busitalia in provincia di Terni che lascia a piedi i cittadini perché il comune non paga. A ben guardare quindi il ricorso al privato non è la soluzione.
Noi a Roma lo sappiamo bene perché la Roma Tpl che gestisce il trasporto periferico di Atac, è in perenne ritardo nel pagare gli stipendi e nel fornire mezzi adeguati ai propri autisti. Ovviamente la prima risposta che ti senti dire è che il problema sta in chi non fa il biglietto.
Non serve quindi, a stampa, tv, lobby radicale e commissari vari, far sapere in giro che l’introito proveniente dai titoli di viaggio può ricoprire solo il venti percento degli incassi totali. La restante quota viene saldata dai comuni in base al chilometraggio percorso dai mezzi.
Non crediamo ci sia bisogno di spiegare perché funziona così, a meno che non siate disposti a tirar fuori dalle vostre tasche più del doppio del prezzo del vostro attuale biglietto. Da cui, più i mezzi si guastano e meno incassi ci sono. Ma sappiamo anche che più i comuni sono indebitati e più tardi scattano i pagamenti alle aziende di tpl. E così le amministrazioni ed i loro politici si trovano nel dubbio amletico se salvare i bilanci comunali o quelli delle aziende di trasporto. Oppure, come nel caso della partecipata comunale Atac, rinunciare alla manutenzione per la mancanza dei pezzi di ricambio, causando al contempo, sia la perdita costante del 15 percento di incassi, sia un risparmio per il bilancio del comune stesso. Il cortocircuito è completo. Il sistema, in mancanza di un reale contrappeso che faccia gli interessi di coloro che stanno nel “mondo di sotto”, toglie con una mano il servizio al contribuente e con l’altra il salario agli autisti aumentando loro il carico di lavoro (da 37 a 39 ore). Lo sappiamo leggendo il piano di fallimento controllato dell’Atac, che grava totalmente sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici. Lo sappiamo perché nonostante il concordato, i cittadini, o un organo che li rappresenta, non hanno potuto metter bocca sui tre milioni e 158 mila euro stanziati a fine anno come compensi ai dirigenti sotto forma di premio. Noi chiediamo tre semplici cose: rottura del patto di stabilità dei comuni; rispetto dei diritti dei lavoratori (lavoro e salari dignitosi); controllo popolare delle aziende di servizio pubblico.
Potere al Popolo.