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[ROMA] QUAL E’ LA SITUAZIONE ASILI NIDO A ROMA E NEL LAZIO?

ROMA ASILI NIDO

ROMA ASILI NIDO

Avvicinandoci alla data dell’otto marzo, giornata internazionale della donna, abbiamo ritenuto necessario produrre questo piccolo approfondimento sulla situazione degli asili nido a Roma. Come abbiamo fatto in precedenza, sollevando la questione della contraccezione e dei consultori, crediamo che anche gli asili nido siano una parte fondamentale del welfare state per sostenere le donne e le famiglie. Sappiamo che la condizione è ben diversa, infatti la cura dei bambini o degli anziani ricade troppo spesso sulle spalle delle donne, perché i servizi di assistenza offerti nei territori o sono inesistenti oppure privatizzati e di conseguenza troppo costosi.

Per quanto riguarda gli asili nido a Roma sono 35,3 posti nido ogni 100 bambini 0-2 anni nel Lazio nel 2020 (media Italia: 27,2). I dati parlano chiaro; è vergognoso! Ancora una volta a pagare il costo di malagestione dei servizi e dello smantellamento portato avanti dai governi di tutti i colori, ricade sulle donne, in particolare sulle donne dei quartieri periferici, le stesse donne che vivono situazioni di svantaggio economico.

Attualmente a Roma sono presenti 209 nidi[1] a gestione diretta (pubblica del Comune) e altrettanti a gestione indiretta privata, con una maggiore offerta nei municipi delle zone centrali e semi centrali. La prima e la seconda periferia hanno una copertura medio-alta, con strutture costruite tra gli anni 70’ e 90’. Già nelle aree costruite tra anni ’90 e 2000, spostandoci verso il raccordo, i servizi educativi si riducono. Mentre nelle aree fuori dal raccordo di espansione urbanistica dal 2000 al 2020 vi è una carenza di servizi per infanzia 0-3. Questi ultimi sono i quartieri con indici di povertà maggiori, con più nascite, abitati da giovani coppie e da famiglie di migranti.

Infatti, mentre la città cresceva sul piano urbanistico, con i favori ai costruttori romani e agli speculatori, la politica e gli assessori che si sono succeduti non si sono posti il problema di estendere i servizi nelle nuove aree con una nuova localizzazione dei servizi. L’unica esperienza in tal senso è stato il patto di ferro di Veltroni con i costruttori romani (Mezzaroma, Caltagirone) tramite l’assessore lavori pubblici Morassut per cui si dovevano garantire servizi nelle nuove aree, tra cui anche l’istruzione fino alla scuola dell’obbligo: il nido a Casal Monastero (in riapertura a settembre 2023) è stato uno di quei casi. In queste zone si trovano tutti i nidi inaugurati nella seconda consiliatura di Veltroni; sono quelli che hanno lista d’attesa più alte proprio perché sono quelli fatti dove oggi la domanda è enorme.

Partiamo da quello che è accaduto dagli anni ‘70. Gli asili nido sono stati istituiti con la Legge 1044 dell’ 11 dicembre del ’71, a seguito di una stagione di lotte negli anni ’60 con un forte protagonismo delle donne, superando l’ONMI fascista (Opera Nazionale Maternità e Infanzia).

Fine anni ’90, primi anni 2000. La seconda giunta Rutelli e prima giunta Veltroni hanno da un lato, potenziato la rete di nidi, dall’altro hanno aperto la strada alla convenzione con privati con ricorso alle esternalizzazioni, in linea con quanto avvenuto con tutti i servizi pubblici comunali.  Ad oggi la gestione dei nidi si divide in:

Successivamente l’amministrazione Alemanno (2008-2013), con due assessori, tra cui Gianluigi De Palo cattolico ex-presidente del Forum delle Associazioni Familiari del Lazio, ha avviato i nidi parrocchiali convenzionati; ricordiamo quello a Casal Monastero di fianco a quello pubblico lasciato all’abbandono per troppo tempo.

Nel 2010 la Legge Regionale Polverini ha tagliato sul servizio dei nidi creando le cosiddette “classi pollaio” incrementando il numero di bambini e spostando il rapporto educatore/bambino da 1 a 6 a 1 a 7 di media giornaliera (senza considerare la copertura idonea nelle fasce orarie più critiche!). In risposta alla legge delle “classi pollaio” vi furono importanti mobilitazioni.

Nel 2015, la scelta della giunta Marino e dell’assessore Nieri di attaccare il salario accessorio dei lavoratori pubblici comunali, vede una risposta forte dalla città e anche dagli educatori. In questi anni è importante la lotta degli educatori precari per la stabilizzazione. Infatti le educatrici hanno portato avanti una battaglia per la stabilizzazione del loro posto di lavoro, in particolare il “Coordinamento contro la precarietà” si è mobilitato più volte sotto il Campidoglio per sottolineare la condizione di precarietà in cui riversano. A fine luglio il sindaco Gualtieri e l’assessore Pratelli annunciavano 600 assunzioni a tempo indeterminato per il 2022-2023. Ad oggi sono circa 9mila insegnanti e educatrici precarie di Roma Capitale, che da oltre dieci anni lavorano con contratti precari[3].

La giunta Raggi, tramite il decreto Madia (ministra P.A.) che prevedeva l’assunzione dei precari fuori dal patto di stabilità, ha stabilizzato 1600 precari in due anni. Oltre alla questione dell’assunzione dei precari, la giunta Raggi non ha ridefinito né potenziato i servizi educativi. Si è verificato un accorpamento degli assessorati alla scuola e al sociale, facendoli confluire nell’assessorato alla Persona, Scuola e Comunità solidale[4] prima con l’assessora Baldassarre, poi con Veronica Mammì, dove questo accorpamento ha visto inevitabilmente diminuire l’attenzione sui servizi educativi.

Dal 2017 a livello ministeriale si istituisce il “sistema integrato 0-6” (decreto legislativo 65 del 2017), secondo il quale il Ministero dell’Istruzione diventa cabina di regia, mentre la gestione e l’organizzazione della rete dei nidi viene demandata agli enti locali. In particolare, la Regione ha il compito di legiferare sui nidi, mentre la gestione è del Comune, adottando propri regolamenti in linea con le leggi regionali.

Ad agosto 2020 la giunta Zingaretti ha emanato una Legge Regionale recependo le direttive del decreto ministeriale, confermando l’impostazione della Legge Polverini del 2010.

Recentemente a Roma è stata diramata una circolare per la chiusura di 15 strutture di nidi per l’infanzia, poi ritirata dall’amministrazione. Sulla questione bisognerà tenere gli occhi bene aperti.

L’assessore alla scuola, formazione e lavoro, Claudia Pratelli[5], ha affermato poche settimane fa, che sarà possibile presentare la domanda di iscrizione agli asili nido anche per le persone che non hanno la residenza su suolo nazionale, monitoreremo affinché tutti possano accedervi indistintamente.

Inoltre, i Movimenti per il diritto all’abitare e ASIA-USB[6]  da anni lottano per l’abrogazione dell’articolo 5 del decreto Renzi-Lupi che nega la residenza a chi detiene un immobile senza un titolo, negando di conseguenza il diritto ad abitare nel luogo in cui si risiede e con esso anche l’accesso a tanti servizi pubblici, tra cui istruzione e sanità. Il sindaco di Roma Gualtieri si è espresso tramite direttiva per derogare all’articolo 5, poi bloccata dal prefetto Frattasi, e che pertanto anche se valida ad oggi non viene pienamente applicata. Per questo è importante continuare a mantenere alta l’attenzione così da permettere anche ai bambini che vivono nelle occupazioni di usufruire dell’istruzione di ogni grado.

NON C’È SOTTOUTILIZZAZIONE, C’È MANCANZA DI SERVIZI PUBBLICI IN PERIFERIA!

Nel 2018 il dipartimento servizi educativi scolastici ha pubblicato una circolare sulla sottoutilizzazione dei nidi, in cui emerge che i nidi pubblici abbiano meno iscrizioni della ricettività delle strutture. Le cifre della circolare ci riportano che a Roma su 12 mila posti si abbiano 10 mila iscrizioni. L’amministrazione capitolina ha dichiarato che si tratterebbe di un problema di riduzione delle nascite e che quindi l’offerta sarebbe maggiore della domanda.

Però sappiamo che la situazione reale è ben diversa. Per cominciare, gli obiettivi europei di Barcellona del 2002 prevedono che debba essere garantito il servizio dei nidi ad almeno il 33% dei bambini 0-3 anni. In nessun Municipio di Roma si rispetta questa percentuale sommando gestione diretta e indiretta. La sottoutilizzazione è dovuta prevalentemente all’attuale localizzazione dei nidi nei contesti urbani consolidati dove la popolazione è più vecchia congiuntamente alla desertificazione dei servizi là dove sarebbero più necessari, ovvero nei territori più periferici.

Oltretutto va considerato che, soprattutto nelle zone a maggiore tasso di povertà e disoccupazione, l’alto costo delle rette impedisce la possibilità di iscrivere i figli al nido, facendo gravare di conseguenza la cura dei figli sulle famiglie e quindi sulle donne. Oggi il costo delle rette si basa sul meccanismo dell’ISEE, per cui una famiglia media con due lavoratori paga tra i 300 e 400 euro al mese, una quota considerevole se si considera anche il periodo di crisi economica e sociale in cui ci troviamo. Inoltre, per accedere alla domanda per il nido è necessaria la residenza; pertanto, sono escluse tutte quelle persone che non ne sono in possesso, tra cui soprattutto le persone straniere con problemi di regolarizzazione[7]. Su questi due punti si apre anche il tema del superamento dalla domanda individuale per i nidi, condizione che oggi diventa una scusa per il pubblico per non assumersi il carico del servizio educativo per la fascia 0-3 anni, ed escludere una parte della popolazione, come ad esempio le persone migranti.

Ricordiamo che il nido è un elemento fondamentale per lo sviluppo dei bambini. La teoria dei 1000 giorni dimostra che la salute, il benessere e la costruzione della persona sono influenzati in larga misura da ciò che succede nel periodo che va da prima del concepimento al secondo anno di età. Secondo studi specifici, i bambini che frequentano i nidi sono quelli con maggiori opportunità di studi, e statisticamente, diminuisce la percentuale dell’abbandono scolastico. Diventa quindi centrale come elemento di contrasto alla povertà sociale, culturale e educativa.

Il PNRR stanzia 4,6 miliardi sull’investimento per gli asili nido e scuole per l’infanzia, di queste risorse nel Lazio dovrebbero arrivare con il nuovo bando 148,9 milioni di euro per asili nido e infanzia. In particolare nella città metropolitana di Roma andranno 57,3 milioni, seguita da Frosinone 42,7 milioni. Nei fondi del PNRR sono incluse la costruzione di nuove scuole, 11 sono previste nel Lazio.

Per concludere, la situazione a Roma è tutt’altro fuorché florida, le condizioni in cui riversano le strutture sono critiche oppure troppo poche per l’utenza, tra disagi strutturali e costi troppo alti, un servizio che dovrebbe esser accessibile a tutti di fatto viene negato.

Potere al Popolo ribadisce come gli asili nido e le scuole dell’infanzia siano un tassello fondamentale del welfare state, che negli ultimi decenni è stato smantellato pezzo per pezzo dalle politiche neoliberiste dei governi di centro sinistra e centro destra che si sono succeduti, per questo pretendiamo:

 

[1] Asilo nido si chiamava all’inizio, poi negli anni cambio culturale e linguistica: Oggi nidi 0-3 e scuola dell’infanzia 3-6 (prima la chiamavano scuola materna).
[2] La gestione indiretta attinge dalle liste d’attesa del Comune di Roma. In queste strutture si adotta per le lavoratrici dei nidi del settore privato il contratto specifico ANIN6.
[3] https://www.romatoday.it/politica/precarie-nidi-scuole-infanzia-lettera-gualtieri.html
[4] Gli uffici e le competenze rimangono separate: le politiche educative a Capitan Balastro, a Ostiense, mentre le politiche sociali a viale Manzoni, a San Giovanni.
[5] https://www.romatoday.it/politica/criteri-accesso-asili-comune-di-roma.html
[6] https://www.usb.it/leggi-notizia/contro-larticolo-5-per-il-diritto-alla-residenza-per-tutti-1532-1.html
[7] Su questo punto si rimanda a quanto detto sopra rispetto alle dichiarazioni di Pratelli.

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