Il Coordinamento Nazionale ha elaborato delle linee guida per la presentazione di “liste popolari” alle elezioni amministrative 2019. Le trovate qui.
Come ulteriore contributo alle assemblee territoriali che nei prossimi mesi si troveranno ad affrontare le elezioni amministrative, vogliamo offrire questa guida di fondo sui programmi. Lo scopo del documento, è bene chiarirlo subito, non vuole essere quello di imporre dall’alto temi e modalità d’intervento alle singole realtà. Sappiamo bene che l’azione delle nostre assemblee sui diversi territori riesce a essere veramente incisiva solo se interpreta a fondo il tessuto sociale e culturale nel quale interviene. Dobbiamo tuttavia riconoscere che ci sono questioni specifiche che rappresentano problemi trasversali a tutte le amministrazioni, dovuti sia al sempre maggiore interconnettersi dei livelli di governance (per cui non è possibile isolare un comune dalla dimensione regionale, nazionale e internazionale), sia agli effetti che la ristrutturazione neoliberista – con le sue politiche di austerità – ha prodotto sulle amministrazioni locali. Riteniamo tuttavia quindi necessario che, proprio dai territori, arrivino dei segnali forti rispetto ad alcuni punti dirimenti: disobbedienza alle leggi Minniti e Salvini; la sicurezza sociale si fa con i diritti; riaffermare il diritto alla città; fuoriuscita dal patto di stabilità e dai vincoli imposti dal Fiscal compact; salvaguardia ed estensione dei servizi pubblici e rifiuto categorico della loro privatizzazione. Pensiamo inoltre che, a partire da queste semplici indicazioni, le varie realtà territoriali possano e debbano sviluppare le loro integrazioni in piena autonomia e rispondendo esclusivamente alle esigenze del loro contesto locale. Ciò premesso riteniamo importante che in vista delle elezioni amministrative i programmi delle liste di Potere al Popolo o sostenute dalle nostre assemblee territoriali si esprimano nettamente rispetto ai seguenti punti:
1.Disobbedire al decreto sicurezza urbana di Minniti e al DL sicurezza di Salvini. Con il pretesto di rendere le nostre città più sicure il ministro Minniti ha dato il via attraverso il D.L. n. 14/2017 approvato con voto di fiducia durante la scorsa legislatura, ad una lotta spietata contro gli individui più emarginati delle nostre città. Non solo, nell’azione dell’ex Ministro, si configura chiaramente la volontà di reprimere ogni forma di dissenso e di autorganizzazione dal basso con particolare attenzione ed accanimento per le occupazioni degli immobili. Le disposizioni volute da Minniti prevedono inoltre l’introduzione del così detto D.A.SPO urbano. Sulla stessa scia, inasprendone anche alcuni passaggi, si è mosso il decreto sicurezza e immigrazione (D.L. 113/2018) fortemente voluto dall’attuale ministro dell’Interno Matteo Salvini. Riteniamo che tale decreto legislativo vada bocciato e non applicato dai Comuni in quanto contiene norme disumane e criminogene, nonché destabilizzanti per la sicurezza delle nostre città, come il divieto di conferire la residenza anagrafica ai possessori di permesso di soggiorno umanitario, che è un atto disumano perché impedisce a costoro di usufruire dei servizi sanitari, dei servizi sociali, delle scuole, di accedere al Rei ed al “reddito di cittadinanza”, ecc. Tale provvedimento, nella sua fase attuativa implicherà, tra le altre cose, la modifica degli SPRAR (i centri di accoglienza gestiti dai comuni) in strutture predisposte ad ospitare soltanto minori non accompagnati o già in possesso della protezione internazionale; limiterà drasticamente la possibilità di richiedere asilo politico e ne determinerà la revoca anche per reati minori. Tutto ciò provocherà da un lato l’aumento in strada del numero di disperati senza diritti, quindi maggiormente ricattabili da mafie e caporali, e dall’altro la brusca interruzione di quei virtuosi percorsi di inclusione ed integrazione che costituiscono tra l’altro una grande risorsa per il nostro Paese (vedi modello Riace). Accoglienza diffusa e sicurezza sociale, queste sono le nostre parole chiave.
2. La sicurezza sociale si fa con i diritti. I municipi sono le istituzioni di prossimità, sulle quali si scaricano le contraddizioni vive dei territori, dall’aumento della povertà e della marginalità, alla crescente diseguaglianza sociale e all’altrettanto crescente bisogno di cure. Le politiche neoliberiste e quelle di austerità hanno agito, nell’ultimo trentennio, soprattutto sul livello municipale, che è quello che ha subito il taglio più ingente di risorse; il modello securitario Minniti-Salvini, dispiegato sui territori, è stata così la risposta classista all’aumento dell’insicurezza sociale da quelle politiche provocato. Un’insicurezza che non si basa, come vogliono farci credere, sull’aumento dei reati (in calo ormai da 40 anni), ma sullo sfilacciarsi dei legami comunitari e sul venir meno della sicurezza materiale. Qual è la nostra risposta? Noi vogliamo mettere in discussione alla radice quelle politiche neoliberiste. Vogliamo la garanzia dei diritti fondamentali, la moltiplicazione e l’investimento nei luoghi di incontro e di aggregazione popolare. Vogliamo che si torni a investire sui servizi di base al cittadino, da attuarsi anche sostenendo e integrando l’iniziativa svolta da realtà sociali che praticano il welfare dal basso.
3. Il territorio a chi lo vive. Il diritto alla città contro i predatori del suolo. Il modello “Grandi Opere Inutili” (contro cui combatte il movimento NoTav) ha una propria declinazione specifica anche nei territori: il consumo di suolo, la cementificazione diffusa, la costruzione di grandi plessi industriali e commerciali fuori dai centri abitati, l’abbandono degli spazi sociali e di aggregazione. Riaffermare il diritto alla città significa ribaltare lo schema: mettere al centro un modello di evoluzione della città democratica e popolare, partecipata, basato su un’idea chiara di qualità della vita. Moratoria sul consumo di suolo e sull’aumento volumetrico, ma anche e soprattutto riqualificazione degli spazi abbandonati, ponendo al centro il valore sociale, aggregativo e culturale degli stessi. Ciò significa restituire all’amministrazione pubblica comunale una nuova centralità nello sviluppo complessivo del tessuto urbano, dotandola di capacità di intervento e di monitoraggio. Nello specifico, meritano menzione specifica due processi in atto rispettivamente nelle metropoli e nei centri medio-grandi:
a. l’abbandono e la disarticolazione dei quartieri periferici, che necessitano di interventi sociali e nuovi investimenti sulle esigenze abitative con affitti accessibili ai settori popolari che evitino le guerre tra poveri; sugli spazi popolari di incontro, socializzazione e politicizzazione comunitaria;
b. la mutazione profonda dei centri urbani operata dal turismo: sempre più luogo di vetrina/consumo a solo vantaggio dell’industria turistica, che porta benefici solo ai privati ma crescenti disagi e poche risorse per tutti.
4. Gestione pubblica e controllo popolare. Negli ultimi vent’anni, strette dalla morsa dei vincoli di bilancio e dal blocco del turnover imposti dal cosiddetto Patto di Stabilità e dal Fiscal Compact, le amministrazioni comunali hanno subito una drastica riduzione del numero di dipendenti (pari a -14% tra il 2010 e il 2016) che ha comportato un aumento dell’età media degli stessi da 48 a 53 anni. Se abbiamo una delle amministrazioni pubbliche più anziane (e più demotivate) d’Europa è proprio grazie a questi vincoli. Piuttosto che ribellarsi e opporsi al restringimento dell’autonomia territoriale, gli amministratori, spinti tanto dalle coalizioni di centrodestra quanto da quelle di centrosinistra, hanno accettato di essere gli esecutori delle politiche di austerità, facendosi promotori di esternalizzazioni di servizi e lavori pubblici. Ciò vuol dire che tantissimi servizi, dalla gestione dell’acqua, a quella delle case popolari, agli asili nido etc. oggi sono nei fatti un’occasione di profitto per i privati, mentre il pubblico, oltre ad avere meno dipendenti, perde inesorabilmente competenze. Noi vogliamo dunque la reinternalizzazione dei servizi, il primo passo per restituire alla comunità la possibilità di produrre un lavoro tutelato e dignitoso. Chiaramente non ci basta il ritorno al passato: pretendiamo di esercitare un controllo dal basso, un “controllo popolare”, sulla spesa, la qualità dei servizi e dei lavori eseguiti, le condizioni di lavoro, prevedendo appositi meccanismi istituzionali che favoriscano il monitoraggio dei comitati e degli utenti interessati.
5. Bilancio partecipato contro il patto di stabilità e l’austerità finanziaria. Dal 2011 al 2017 i comuni hanno subìto una riduzione di risorse pari a 12,4 miliardi, di cui 9 attribuibili a veri e propri tagli e oltre 3 miliardi all’applicazione del Patto di Stabilità (che imponeva ai comuni di “risparmiare” risorse per contribuire al risanamento della finanza pubblica), solo parzialmente compensati dall’aumento delle tasse. Il patto di stabilità interno è stato sostituito nel 2015 dai vincoli sul pareggio di bilancio (in attuazione del Fiscal Compact) per cui, nonostante Renzi abbia dichiarato ai 4 venti la fine dell’austerità, in realtà lo Stato può definire annualmente l’obiettivo finanziario di risparmio dell’intero comparto, nonché le voci che concorrono alla formazione del saldo (escludendo ad esempio il ricorso al debito o il risultato di amministrazione degli anni precedenti). In pratica, ai Comuni è stata fornita un’autonomia fittizia, che può essere ristretta in qualsiasi momento in base alle contingenze economiche. Inoltre, i vincoli all’autonomia finanziaria sono stati ottenuti in maniera più subdola, ossia attraverso una stretta normativa e burocratica sul comparto: controlli, certificazioni, armonizzazione contabile, applicazione del codice degli appalti etc. Vogliamo che i comuni siano liberi di stabilire dei piani di investimento per rispondere ai bisogni immediati e di lungo periodo: dall’edilizia scolastica, all’edilizia residenziale pubblica, all’implementazione della raccolta differenziata e della strategia “rifiuti zero”, ad un piano dei trasporti integrato. Pensiamo inoltre che anche in sede di discussione di bilancio possano e debbano essere messi in atto dei meccanismi di partecipazione, monitoraggio e intervento dei cittadini sulle scelte degli amministratori. Vogliamo un controllo popolare sulla gestione economica!