Potere al Popolo! – Sardegna esprime piena e totale solidarietà con la protesta di allevatrici e allevatori sardi che in questi giorni si sono visti costretti a buttare per strada il frutto del loro duro lavoro per attirare l’attenzione sulla loro condizione di sfruttamento. Potrà sembrare strano che si parli di sfruttamento in una situazione nella quale chi protesta non è, da manuale, una lavoratrice o un lavoratore dipendente.
La realtà è però che pastore e pastori sardi non sono più indipendenti di chiunque lavori con una “falsa” partita iva in qualunque altro settore. Infatti, non sono pastore e pastori a stabilire il prezzo del loro lavoro, ma le grandi aziende produttrici che con il latte fornito producono e commerciano all’ingrosso i suoi derivati, in primis il Pecorino Romano, che si vende benissimo nel mercato statunitense.
L’ingresso dei grandi produttori di questo formaggio in Sardegna, che non è recente ma data dalla fine dell’800, è responsabile della proletarizzazione di fatto di lavoratrici e lavoratori che fino a quel momento godevano di una certa indipendenza.
Le ricostruzioni giornalistiche del meccanismo che ci ha portato a questo punto sono molto rivelatrici rispetto a questa contraddizione, e si sviluppano più o meno così:
“Il piano di programmazione del 2018 prevedeva per la Sardegna la produzione di 280mila quintali di pecorino romano;
L’industria ha però prodotto 340mila quintali;
Il prezzo del pecorino è quindi passato da 7,50 euro al chilo a 5,40 euro al chilo;
Di conseguenza il prezzo del latte ovino è passato da 85 centesimi a 55-60 centesimi al litro.”
Quest’ultima frase è la concretizzazione ideologica del fraintendimento di cui abbiamo parlato sopra, perché dipinge come ineluttabile l’abbassamento del prezzo del latte. Si tratta, dicono, di una conseguenza, come quella per cui se scaldiamo l’acqua a 100 gradi questa inizia a bollire.
Ma non è questa la realtà. I padroni dei caseifici scaricano sui pastori il prezzo della loro sovrapproduzione proprio così come i padroni delle fabbriche scaricano sui salari le turbolenze dei mercati. Il meccanismo è lo stesso e non c’è nulla di ineluttabile in questo. Si tratta di una decisione presa dai padroni per salvaguardare i loro profitti a discapito di chi lavora.
Insomma, la frase di sopra andrebbe riscritta così:
“Quindi i padroni, per salvaguardare i loro profitti, hanno deciso di pagare di meno il latte, avvantaggiandosi della loro posizione dominante.”
Stavolta però i padroni si sono trovati di fronte a una realtà molto ben organizzata e cosciente, che sa benissimo che per produrre un litro di latte servono 80 centesimi e che il prezzo minimo da pagare per quello che ora tutti chiamano “oro bianco” è di 1 euro al litro più iva.
La lotta di pastore e pastori sardi rende ancora una volta evidenti le contraddizioni dell’economia di mercato che non solo affama i popoli, ricatta lavoratrici e lavoratori, inquina l’ambiente ma, in questo caso, mette a rischio la conservazione di una tradizione, questa sì millenaria, che inorgoglisce il nostro popolo.
Per questo noi non solo solidarizziamo con pastore e pastori, ma riconosciamo nella loro lotta la nostra lotta per una società giusta.