Ve lo ricordate Giacomo Vitali? Era quel signore che, in fuga dal mondo moderno, decise di vivere alla Coop, si sposò nel reparto verdure e fece crescere i suoi figli nel reparto banane. Era il 1991, ed era solo uno spot, girato da Woody Allen. Ora siamo nel 2018, e lo spot è diventato realtà.
Volete davvero aprire 365 giorni all’anno, non farci vedere le persone che vogliamo nemmenouna domenica? Bene, ci attrezziamo un soggiornino nel reparto tavoli e invitiamo gli amici a cena con la roba vostra! Vi piace come proposta? Niente straordinari – ce li avete già tolti – niente diritti, a volte nemmeno quello di lasciare un minuto la cassa per andare in bagno, siamo d’accordo: in cambio dateci casa, lavoro, servizi e spesa gratis nei vostri locali!
È una provocazione, ovviamente: la realtà oggi è diversa, i punti vendita che restano aperti nei festivi sono sempre di più, grazie a Bersani prima, Monti poi, e all’interno per chi ci lavora non c’è nemmeno il tempo di un caffè. Ma chi ci guadagna? È vero che le aperture nei festivi servono per coloro che, sfruttati in altri posti, hanno orari e tempi di lavoro che non consentono più di fare la spesa durante la settimana? È vero che si è rilanciato il commercio? Insomma.
Dovremmo innanzitutto chiederci quali siano le cause che ci spingono ad andare nei centri commerciali la domenica: probabilmente la nostra vita si regge su ritmi e orari di lavoro che non rispettano le norme contrattuali. Correndo ogni giorno, tra gli impegni familiari e personali, il sovraccarico di quelle due, tre anche quattro ore di straordinari (spesso nemmeno pagate!) al giorno rendono insostenibile ogni altro impegno.
Ma allora perché chiudiamo solo i centri commerciali la domenica? E’ vero che esistono altre attività che non si fermano nei week-end. Alcuni sono servizi fondamentali (ospedali e ferrovie); altre sono attività di svago (cinema, ristoranti, musei): rivendicare il diritto fondamentale allo shopping o come forma di svago, crediamo sia preoccupante. Dovremmo pretendere invece maggiore libertà dal lavoro e contratti migliori, piuttosto che più lavoro (di altri) per il semplice motivo di non poter espletare le nostre necessità durante i giorni lavorativi, costretti dunque a dover usare il tempo libero come serbatoio delle nostre attività quotidiane.
Guardiamo però anche i numeri. Secondo la Filtcams Cgil negli ultimi anni l’occupazione nella grande distribuzione si è ridotta del 20%. Dal 2012, anno delle liberalizzazioni, le condizioni di lavoro sono peggiorate e per coprire i festivi non sono state assunte nuove persone, ma sono stati allungati i turni degli occupati! Ad aumentare dunque non è stata una occupazione stabile, semmai sono aumentati gli straordinari, congiuntamente all’utilizzo di stage e lavoro a chiamata. I dati ISTAT, inoltre, ci dicono che il valore delle vendite al dettaglio si mantiene stabilmente al di sotto di quello del 2011, che a sua volta era già più basso di quello del 2008. L’apertura la notte
di Capodanno, insomma, non incide sui fatturati!
Gli unici a difendere a spada tratta le liberalizzazioni sono i grandi colossi, riuniti in Federdistribuzione, per i quali gli effetti sono solo positivi. Ovvio. Per loro, infatti, che possono praticare economia di scala, i costi di gestione aumentano di pochissimo o restano stabili,
ragion per cui, a parità di spesa, dalle aperture festive hanno solo da guadagnare, fosse anche solo prendendosi, per quel giorno, i clienti di un altro punto vendita che invece – sono sempre meno – resta chiuso. La magia del mancato aumento dei costi è dovuta, essenzialmente, a un contratto da fame, senza straordinari, con turni assurdi, per cui il costo del lavoro su sette giorni è già ampiamente ripagato dal fatturato su sei; si aggiunge l’elettricità, ma sul bilancio di una multinazionale della distribuzione è una bazzecola. Non è un caso, quindi, che proprio il 20 dicembre scorso Federdistribuzione abbia firmato con CGIL-CISL e UIL un contratto pessimo, che non solo lascia inalterata la disciplina sui festivi, consentendo alle aziende di programmare i turni come meglio credono, ma prevede soltanto una maggiorazione del 30% del salario orario; inoltre, il regime di flessibilità adottato consente alle aziende di portare a 44 le ore settimanali lavorate, per 16 settimane all’anno, in cambio di una riduzione dell’orario nei periodi di minore affluenza. Stiamo parlando di straordinario obbligatorio senza pagamenti maggiorati!
La ciliegina sulla torta, che mette la parola fine ad ogni possibile residuo dubbio sulla utilità delle aperture festive, è data dal fatto che molte catene della grande distribuzione stanno già chiudendo i battenti. Parliamo della Auchan, di Mediaworld, di Trony, di Carrefour: i non alimentari subiscono la concorrenza dell’e-commerce, mentre gli alimentari stanno cambiando il business model verso un ritorno al piccolo negozio di prossimità (magari automatizzato), senza per questo trascurare l’on-line (Auchan a fine 2017 ha stretto accordi col colosso cinese Alibaba).
Chi paga i loro esperimenti da apprendisti stregoni? Noi, solo noi, sempre noi. Il capitale con cui tentano queste strade è fatto dai soldi rubati a chi lavora, dai problemi articolari di commesse e commessi, dallo stress, dai lunghi turni, dalla precarietà come condizione esistenziale. A chi tocca ribaltare questo meccanismo? Sempre a noi.
A settembre il ministro del lavoro Luigi di Maio aveva dichiarato “sicuramente entro l’anno ci sarà lo stop alle aperture domenicali e nei festivi dei centri commerciali”. Ora il tempo sta per scadere, ed in centinaia lavoreranno a Natale, Santo Stefano, il primo e l’Epifania. È questa un’altra delle promesse non mantenute dai Cinque Stelle?
Allo stesso modo nulla di sostanzioso è stato fatto per intervenire nella giungla dei contratti a termine, che nell’80% dei casi non arrivano a superare i 365 giorni dopo i quali per non rinnovarli è necessaria una causale.
È per questo che, come Potere al Popolo, già in campagna elettorale abbiamo fatto nostra la lotta contro le aperture nei festivi, per far cancellare quell’assurda legge, ed è per questo che su questa battaglia non arretriamo di un millimetro, checché ne dicano i soloni dell’economia pagati coi soldi degli altri. La nostra vita, il nostro tempo valgono più dei loro profitti!