Privato è bello…
Si sente ripetere, da anni, che il privato è meglio, è più efficiente, è più efficace e con il privato tutto diventa più chiaro e snello. Ma è davvero così? Nel 2015 l’azienda del trasporto pubblico di Padova (APS) è stata ceduta, tramite una fusione, a Busitalia, un’ azienda controllata del gruppo Ferrovie dello Stato. A motivo della fusione c’era da una parte il debito accumulato dell’azienda, dovuto anche al taglio dei trasferimenti regionali, e dall’altra l’idea che il privato fosse garanzia di migliore gestione. Questa è una convinzione molto radicata fra le istituzioni e i media. Una convinzione che molte volte è stata smentita, nella storia delle privatizzazioni nel nostro paese, ma che fa ancora presa perché ogni servizio privatizzato rappresenta un’occasione di profitto in più per i capitali privati italiani che spesso hanno acquistato ex aziende pubbliche per smembrarle o per operare in regime di semi-monopolio e che quindi hanno interesse ad alimentare questa narrazione. A rigore BusItalia non è un’impresa di proprietà privata, essendo controllata da FS che è di proprietà di Cassa Depositi e Prestiti: di fatto, però, opera come una qualsiasi azienda privata ed è solo l’apripista per una privatizzazione completa tramite gara pubblica.
Soprattutto, la vicenda di BusItalia Veneto ha confermato che quella del privato bello, felice e scintillante è in realtà una storia triste. Il servizio non è migliorato bensì peggiorato: lavoratori costretti a lavorare con ritmi sfiancanti, linee date in subappalto, minore manutenzione dei mezzi, velocità media che si riduce, orari che non vengono rispettati. Nel solo mese di ottobre 2018 sono oltre 8.000 le corse che, tra la città e la provincia, hanno subito ritardi! Ma ci ricordiamo tutti del caos scoppiato nei primi mesi del 2016, quando al rientro dalle vacanze di Natale i cittadini di Padova si trovarono davanti a molte linee cambiate o soppresse, e solo una mobilitazione popolare organizzata tramite comitati di quartiere e di linea portò a un ripristino parziale della situazione precedente. Se quella volta il peggioramento del servizio fu almeno in parte bloccato, quello che non ha ancora trovato soluzione è invece la condizione dei lavoratori, tanto qui da noi quanto nel resto del Paese.
Busitalia sta infatti acquisendo pezzi del trasporto pubblico in tutta Italia. A partire da Firenze, dove l’ex-premier, ex-sindaco ed ex-presidente della provincia Matteo Renzi ha affidato a BusItalia il trasporto locale, provocando un peggioramento delle condizioni di lavoro e del servizio offerto alla città che è sulla bocca di tutti e che è stato pubblicamente denunciato durante gli scioperi, ma che non è mai stato riconosciuto dalle amministrazioni e dai governi di questi anni, intenti unicamente a vantarsi del proprio risultato: aver messo a gara pubblica il trasporto locale, come previsto dalle direttive europee.
Servizio e lavoro in Busitalia Veneto
La gestione di BusItalia Veneto, che comprende anche il trasporto extraurbano di Padova e Rovigo, ha comportato un livellamento al ribasso del servizio, e oltre ai ritardi strutturali di cui abbiamo detto e ai continui guasti dei mezzi (porte che non si chiudono, pezzi che si staccano, fino ai casi di autobus in fumo o in fiamme; teniamo conto che molti mezzi risalgono addirittura agli anni ’90!), si aggiunge un peggioramento delle connessioni con la provincia (ad esempio l’orario estivo del 2017 lasciava 70 comuni senza collegamenti nei festivi). Ma a preoccupare di più sono le condizioni di lavoro, perché vanno a incidere direttamente sulla salute e sulla lucidità dei lavoratori e, di conseguenza, sulla sicurezza degli utenti: gli autisti da anni sono costretti su turni spezzati con nastri lavorativi fino a 13 ore a fronte di 7 ore retribuite, turni mal fatti senza gli adeguati tempi per i cambi guida e per i pasti. Ora, nastri lavorativi fino a tredici ore, turni spezzati e tempi morti non pagati fanno sì che i dipendenti siano costretti a lavorare sempre di più e guadagnare sempre di meno. Lavorando per tempi più lunghi e in condizioni peggiori, gli autisti sono più stanchi e questo significa meno sicurezza per loro e per noi. Inoltre, nelle (numerose) linee date in sub-appalto operano cooperative che assumono lavoratori con contratti precari e senza garanzie, spesso pagati a ore e senza straordinari: questo significa lavoratori meno formati e più precari.
Come se il peggioramento del servizio e delle condizioni di lavoro non bastassero, in questi anni si è imposto prepotentemente un altro problema: quello della rappresentatività dei lavoratori, ovvero della democrazia interna al posto di lavoro. Da una parte abbiamo i lavoratori, in gran parte iscritti e organizzati con le sigle sindacali di base – Sls, Adl-Cobas, Sgb, Fast (delle quali le prime due raccolgono la maggioranza assoluta dei lavoratori dell’urbano) – dall’altra abbiamo invece l’azienda e i sindacati confederali che si ostinano a non voler riconoscere la volontà dei lavoratori e non prendono atto dei reali rapporti di forza. Le elezioni delle RSU a Padova non si svolgono da quando l’azienda si chiamava ancora APS, e ai tavoli di trattativa ci vanno ancora segretari provinciali di sindacati che nel trasporto pubblico locale hanno anche meno di 10 iscritti. Si tratta di una questione solo apparentemente secondaria: ai lavoratori – vale a dire a coloro che conoscono meglio e più a fondo la situazione del trasporto pubblico perché la vivono in prima persona tutti i giorni, e che in molti casi saprebbero anche dove mettere le mani per migliorare le cose – viene negata la possibilità di far sentire la propria voce. Questo, anche se in molti posti di lavoro è ormai la norma, è in realtà inaccettabile e sta a indicare, ancora una volta, il disinteresse o peggio la malafede dell’azienda.
È solo colpa di quei cattivoni di BusItalia?
No, da che mondo è mondo ogni supercattivo ha i suoi fidati aiutanti, e Padova non fa eccezione: anche le amministrazioni e i politici locali hanno delle precise responsabilità.
Per prima quella di Zanonato, che decise di fare la fusione che ha portato alla nascita di BusItalia Veneto, ovvero di cedere qualsiasi controllo dell’amministrazione sull’azienda del trasporto pubblico.
Per seconda quella di Bitonci, che ha fatto di tutto per non ascoltare i lavoratori e, di fronte al palese peggioramento del servizio offerto alla città, si è girata dall’altra parte. E per ultima anche l’amministrazione Giordani, che nonostante le promesse in campagna elettorale di alcune delle sue componenti finora non ha invertito in modo apprezzabile la tendenza! Dall’elezione (giugno 2017) nessun esponente della giunta e del consiglio comunale ha più fatto cenno alla proposta di ripubblicizzare il servizio (gestione in-house, in casa, opzione contemplata dalle direttive europee secondo cui il servizio non è più richiesto che sia messo in gara). Oltre a rappresentare un evidente problema di prospettiva per quanto riguarda l’amministrazione della città (la questione infatti tornerà a riproporsi nei prossimi anni anche se ora dovesse trovare una mediazione), ciò ha anche indebolito la battaglia dei lavoratori e degli utenti: se sul piatto non c’è nessuna alternativa sistemica, che interesse ha Busitalia a scendere a patti con i lavoratori? E più in generale, che interesse ha a sforzarsi di migliorare il servizio che offre alla città?
Gli investimenti in nuovi mezzi continuano ad essere in gran parte pubblici, l’acquisto dei nuovi autobus cittadini nell’autunno 2018 è stato finanziato principalmente con fondi europei e regionali (questo vale in particolare per i nuovi mezzi elettrici di cui l’azienda si è tanto vantata).
Pubblici saranno anche gli investimenti per la nuova linea del tram, in cui confluiranno ingenti risorse statali. Si tratta di un mezzo che ha dimostrato di essere apprezzato da chi lo utilizza, ma che ha i suoi problemi (quasi divertenti: sarà capitato a molti di vedere il tram trainato da un trattore), e soprattutto il mezzo in sé non può essere capillare. Quindi il tram non sarà la soluzione ai problemi del trasporto pubblico locale di Padova, avrà senso solo se integrato in una rete diffusa ed efficiente, costruita a partire dalle conoscenze di chi i mezzi li usa da utente o da lavoratore tutti i giorni
Ci troviamo in una situazione in cui le amministrazioni, a tutti i livelli, devono continuare a fare investimenti, ma allo stesso tempo perdono potere decisionale sull’azienda. E ancora più potere viene perso dagli utenti del servizio e dai lavoratori che quel servizio lo tengono in piedi davvero.
Gara o ripubblicizzazione?
Di tutto questo, BusItalia se ne frega: l’unica preoccupazione dell’azienda per ora è quella di arrivare preparata alla gara pubblica che si dovrà tenere entro il 2019 (e che, se si scegliesse la gestione in house, non sarebbe necessaria), o di escludere i suoi concorrenti, con continui ricorsi legali.
Se non vincesse BusItalia, potremmo trovarci con un privato ancora meno controllabile ad erogare il servizio e con un’amministrazione con ancora meno possibilità di intervento, ma questa è l’inevitabile conseguenza della scelta di privatizzare il trasporto pubblico locale. L’unico modo per evitare questi scenari, però, non è difendere BusItalia e adeguarsi ai suoi metodi, ma tornare al pubblico, facendo un passo indietro che non sia semplicemente un ritorno al passato: bisogna pensare a qualcosa che non c’è mai stato, ovvero un’ente pubblico adeguatamente finanziato ed integrato tra i comuni di tutta la provincia che garantisca un servizio di elevata qualità.
Questo vuol dire che bisogna pensare una vera strategia per il trasporto pubblico! Dopo decenni di pessime scelte che hanno favorito solo i trasporti individuali, su gomma chiaramente, con la conseguenza che ora ci ritroviamo con la benzina a prezzi esorbitanti e che la pianura padana è diventata la regione con l’aria più inquinata d’Europa, è venuto il momento di cambiare modello e andare nella direzione di un trasporto integrato che sia organizzato non solo sulla base della forma amministrativa della provincia, ma che risponda davvero alle esigenze di trasporto degli abitanti che spesso travalicano i confini comunali e provinciali.
Garantire un servizio efficiente, comodo ed economico è l’unico modo perché il trasporto pubblico possa rappresentare una valida alternativa all’utilizzo dell’auto privata negli spostamenti quotidiani e perché questo pezzo del problema ambientale possa essere affrontato seriamente.
L’inquinamento e i problemi ambientali che ci preoccupano in questi mesi non possono certo essere risolti con qualche giornata senza auto in città. Queste iniziative possono avere qualche effetto immediato e rappresentare anche un’occasione di vivere diversamente il tessuto urbano riempiendolo di eventi e momenti di socialità, ma rimangono dei palliativi in una città in cui solo il 12% degli spostamenti avviene tramite il trasporto pubblico a fronte di oltre il 50% in auto e dove gli spostamenti da e per comuni anche molto vicini al capoluogo con importanti aree produttive, come Limena, sono difficilissimi.
Uno sciopero per tutti
Cosa possiamo fare? Sabato 15 dicembre le lavoratrici e i lavoratori di Busitalia saranno di nuovo in sciopero e manifesteranno sotto il Comune. Sostenere la loro battaglia significa sostenere quella di tutti: oltre ai lavoratori, sono gli utenti e tutta la cittadinanza che hanno qualcosa da guadagnare se il trasporto pubblico migliora. Perché questo significa meno macchine sulle strade, quindi più sicurezza, e meno polveri sottili nell’aria, quindi più salute per tutti quanti, anche per chi non potrà o non vorrà mai usare un autobus.
Per ottenere questi risultati però bisogna scegliere di stare dalla parte giusta, e dimostrarlo nei fatti. Non basta dire di voler un trasporto migliore o fare vaghe promesse in campagna elettorale: la parte giusta, oggi, è quella delle lavoratrici e dei lavoratori che vanno sostenuti il 15 dicembre. Noi ci saremo!