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Non sarà lo sceriffo De Luca a salvarci dal coronavirus

Con un video diffuso ieri pomeriggio su Facebook, il governatore De Luca ha anticipato di pochissimo la pubblicazione di una nuova ordinanza regionale, che prevede misure durissime sul piano delle limitazioni alla libertà di movimento. Si prevede l’obbligo assoluto di permanere al proprio domicilio, se non per irrimandabili ragioni lavorative, di salute, o di necessità: in questo modo De Luca scavalca le misure approvate a Roma, approvando tra l’altro un’ordinanza con forti profili di illeggittimità, dal momento che la profilassi internazionale è di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione. E, riferendosi all’operato del Ministero dell’Interno, non a caso parla di “idiozie”. Lo fa “colorando” l’ordinanza con il linguaggio della diretta Facebook: “I quartieri vanno militarizzati”, le misure del Governo sarebbero “idiozie”, le persone sorprese “stravaccate su una panchina” vanno messe direttamente in quarantena. Insomma, non siamo alla limitazione della libertà di circolazione, ma alla sua negazione, a suon di repressione, ammende, arresti, quarantene superflue e obbligate. Questa si chiama sospensione dello Stato di diritto.

 

E dire che noi siamo stati i primi, prima ancora dell’annuncio di Conte e dell’hashtag lanciato dal Governo, a dire “state a casa”! Anzi, stiamo provando a fare in modo che a casa si possa rimanere, organizzando, ad esempio, spese per i più anziani, così che non siano obbligati a uscire, mettendo a repentaglio la salute propria e quella dei propri cari. Perché siamo preoccupati, perché dobbiamo davvero contenere il contagio con tutte le nostre forze.

 

Molti dicono che anche il Governatore sia preoccupato, sa anche che la sanità campana non è all’altezza, che non “regge”.

In effetti De Luca deve saperlo bene, avendo ricoperto la carica di “commissario straordinario alla Sanità” dal luglio 2017 al dicembre scorso. Un mandato che non esita a definire un “successo” e che non smette di festeggiare. Cosa c’è da festeggiare se la Campania è oggi la regione con la più bassa aspettativa di vita, la peggiore per mortalità materna e mortalità tumorale e, soprattutto, per mortalità evitabile? Significa che la Campania è la regione in cui più si muore per la scarsa qualità dei servizi sanitari.

Dovremmo festeggiare se oggi gode di soli 3,2 posti letto ospedalieri ogni 10.000 abitanti (la media italiana è di 3,8)? O se abbiamo meno lavoratori della sanità rispetto alla media italiana (8,6 ogni 1000 abitanti, contro gli 11,8 della media nazionale), costretti, per di più, a lavorare spesso senza alcuna garanzia sulla propria e sull’altrui sicurezza?

 

Ma, soprattutto, c’è una cosa che proprio non capiamo. Perché, come sempre, “a chi figlio e a chi figliastro”? De Luca si scaglia contro i comuni cittadini, senza risparmiarsi una facile e strumentale polemica contro Rom e migranti, ma tace sulle fabbriche aperte, come se i lavoratori della nostra Regione e del nostro Paese non fossero cittadini come gli altri. Come se gli operai dell’AVIO di Pomigliano o della Hitachi, o ancora dell’ASIA di Napoli e della Wind di Pozzuoli (tutte imprese in cui si sono registrati casi di lavoratori positivi al coronavirus) fossero sacrificabili sull’altare delle esigenze produttive del Paese.

È forse dignitoso per un medico, un infermiere, un addetto alle pulizie, un autista di ambulanza, lavorare senza guanti e mascherine (così come spesso non ne hanno pazienti oncologici), in ospedali strutturalmente inadeguati alla prevenzione dei contagi, senza poter eseguire un tampone nemmeno se si ha la certezza di aver avuto contatti a rischio?

 

La preoccupazione per la salute del nostro popolo viene prima di tutto ed è per questo che non tolleriamo più strumentalizzazioni facili delle nostre paure. Non sarà un uomo forte al comando, non sarà uno sceriffo a liberarci dal coronavirus.

 

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