Quello che sta succedendo in Venezuela, dopo che il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) ha proclamato Nicolás Maduro vincitore delle elezioni presidenziali di domenica 28 luglio (51,2% contro il 44% del principale contendente, Edmundo González Urrutia), è lo svolgimento di un film ampiamente annunciato.
L’opposizione (e la sua vera leader, Maria Corina Machado) l’aveva detto. Avrebbe riconosciuto un solo risultato, la vittoria del suo candidato: González. Tanto che su dieci candidati, González è stato l’unico a non firmare un documento promosso dal CNE e che prevedeva il riconoscimento dei risultati che sarebbero usciti dalle urne.
Non solo. Da settimane questo pezzo di opposizione pubblicava sondaggi che davano per vincente González, con un distacco ampio e apparentemente incolmabile. Così da poter poi gridare al “fraude”, ai brogli. Cosa puntualmente verificatasi. Sempre la stessa narrativa del “fraude”. Come nel 2004. Come nel 2006. Come nel 2013. Come nel 2018. Come sempre, insomma. E, come sempre, senza presentare prove.
Alla denuncia di brogli anche stavolta è seguito un appello alla mobilitazione degli antichavisti di tutto il Paese. Da lunedì 29 luglio in diversi punti del Paese si registrano violenze promosse dall’opposizione che ricordano quelle del 2013-14 e quelle del 2017.
Significativo che tra i simboli presi di mira dalle violenze dell’opposizione ci siano, oltre a quelle di Chàvez, le statue di capi indigeni che si opposero alla colonizzazione spagnola. Il razzismo e il classismo sono tratti costitutivi di un’oligarchia venezuelana che mai si è arresa alla perdita del potere politico.
Anche stavolta, come già accaduto nel 2019, siamo al punto in cui le opposizioni autoproclamano un proprio esponente come Presidente del Venezuela. Cinque anni fa era stato il turno di Juan Guaidò, oggi è quello di González.
Cinque anni fa le opposizioni accettarono come presidente Guaidò, autoproclamatosi massima autorità politica del Paese durante un comizio di piazza. In quel caso le opposizioni non chiesero di visionare i verbali degli scrutini…
Cinque anni fa dietro il tentato golpe c’era la mano di Washington – come ammesso candidamente dall’ex Consigliere per la Sicurezza di Trump, John Bolton.
Oggi, verosimilmente, le cose non sono cambiate.
Maria Corina Machado ed Edmundo González Urrutia hanno dichiarato pubblicamente di avere a disposizione le prove del gigantesco “fraude” organizzato da Maduro.
Peccato che, come sempre in passato, non le mostrino. Hanno infatti messo in piedi un sito internet che però non permette assolutamente di avere il quadro nazionale del voto. E, in ogni caso, perché dovrebbe essere credibile chi in passato ha dimostrato di avere più amore per le fake news che per la verità?
Le opposizioni stanno facendo leva sul fatto che al momento il CNE non ha ancora pubblicato i risultati disaggregati del voto di domenica. Tuttavia, il CNE ha denunciato un attacco hacker, partito dalla Macedonia del Nord, che ha rallentato il processamento dei risultati, una procedura del tutto automatizzata. C’è da aspettarsi che, come accaduto sempre durante i governi chavisti, il CNE li pubblicherà entro i 30 giorni previsti per la pubblicazione definitiva in Gazzetta Elettorale.
Tra l’altro l’accusa che dietro i ritardi dell’autorità elettorale si nascondesse l’organizzazione di brogli, era già stata usata dall’opposizione in passato, a partire dal 2004, sempre senza alcuna prova.
Intanto, mentre le opposizioni continuano a spargere violenze e fake news, in quello che è un nuovo capitolo di una vera e propria guerra ibrida, in cui le operazioni mediatiche e psicologiche hanno notevole centralità, Maduro ha avanzato un ricorso al Tribunale Supremo Giudiziario per chiedere che “sia chiarito tutto ciò che è necessario” sulle elezioni del 28 luglio. Un atto concreto, contro le parole (infuocate) al vento delle opposizioni.
Come Potere al Popolo! denunciamo il tentativo di destabilizzazione in atto in Venezuela da parte di settori dell’oligarchia antichavista che, com’è nel suo dna, si appoggia a poteri esterni al Paese, in primis gli USA. Nelle manifestazioni di queste ore non è raro incontrare cartelli e striscioni che invocano l’intervento diretto delle Forze Armate statunitensi, così come nel 2018 Maria Corina Machado – oggi dipinta dal potere mediatico a livello internazionale come una moderata e una democratica – invocava l’invasione militare da parte di Israele (cui oggi promette di spostare l’ambasciata venezuelana da Tel Aviv a Gerusalemme).
Rivendichiamo che il Governo italiano, a partire dal Ministro degli Esteri Tajani, la smetta con comunicati che legittimano le violenze nelle strade e i tentativi eversivi; e rispetti, invece, la sovranità della Repubblica Bolivariana del Venezuela; sostenga le iniziative di quei Paesi latinoamericani che, come Brasile, Colombia e Messico, rivendicano la fine delle violenze, quella del “bloqueo” statunitense che stritola un intero popolo, nonché la pubblicazione di tutti i risultati elettorali, così da assicurare pace e democrazia.