
Quello che sta succedendo è sotto gli occhi di tutte e tutti: la “Terza guerra mondiale a pezzi” ha un’accelerazione senza precedenti con l’attacco diretto di Israele contro l’Iran, il genocidio a Gaza, l’investimento europeo nel conflitto ucraino, la guerra commerciale degli USA di Trump, la corsa folle al riarmo a cui assistiamo da mesi… Tutto ciò non sta avvenendo per caso o per la “pazzia” di singoli leader politici, ma è il frutto del nostro sistema economico e politico. Ormai ce lo dicono senza alcuna ipocrisia: le classi dominanti degli Stati Uniti, e il blocco “occidentale” che hanno costruito intorno a loro, vogliono continuare a mantenere il predominio a livello mondiale, e per farlo devono impedire a nuovi attori, che siano la Cina o potenze regionali, di acquisire spazio e di crescere.
Questa rinnovata aggressività imperialista ovviamente va a danno di tutti i popoli e delle classi lavoratrici: innanzitutto di quelle del sud del mondo bombardate, affamate, sterminate, o costrette a intrupparsi dietro i loro leader quasi sempre tradizionalisti e autoritari, ma anche di quelle occidentali, che sempre più si vedono spinte verso l’economia di guerra e i sacrifici che questa comporta, mentre subiscono gli effetti della crescita dell’estrema destra, che negli USA e nella UE torna ad essere lo strumento politico per gestire la crisi del capitalismo.
È in questo contesto che prende tutto il suo senso il vertice della NATO previsto a L’Aja dal 24 al 26 giugno. Si tratta di un momento estremamente importante perché in quest’occasione i leader della NATO dovranno decidere di quanto dovrà crescere la spesa militare dei membri dell’Alleanza. All’attuale obiettivo del 2% del PIL ne subentrerà uno nuovo: 3%, 3,5%, forse addirittura 5% come richiesto da Trump. Quest’aumento della spesa manderà un segnale chiaro al mondo: “facciamo sul serio, siamo disposti a tutto, state al posto vostro e accettate di trattare alle nostre condizioni”.
Proprio perché questo momento è così importante, e proprio perché è la NATO a guida USA che impulsa i vari piani di riarmo europei, sono state chiamate il 21 giugno manifestazioni in tutta Europa, in modo da far sentire come i nostri popoli rifiutano il riarmo e rifiutano il macello che, come la Storia insegna, puntualmente gli fa seguito.
L’Italia, da sempre paese a sovranità limitata perché occupato dagli USA con cento basi militari e perno dell’Alleanza Atlantica nel Mediterraneo, con il Governo Meloni, uno dei più filo-atlantici di sempre, alla faccia del “sovranismo” della destra, si sta allineando. 40 miliardi in più saranno progressivamente dati alla guerra e non ai nostri veri bisogni, a scuole, ospedali, messa in sicurezza del territorio e transizione ecologica, sostegno sociale per chi è in difficoltà. Il ministro Crosetto lo dice chiaramente: “Il nostro compito è rispettare gli impegni Nato e gli assetti richiesti. Ogni Paese ha un ruolo assegnato. Così, contribuiamo anche a costruire un futuro sistema di difesa europea, basato sugli stessi criteri e principi della Nato”. Sono insomma gli USA e la NATO che impulsano le mosse dell’Unione Europea e il suo piano di riarmo (che peraltro finanzierà tante imprese statunitensi).
Per questo anche in Italia, facendo seguito alla piazza del 15 marzo che si opponeva alla NATO e al piano di riarmo europeo, come Disarmiamoli abbiamo lanciato un appello per costruire il 21 giugno, in concomitanza con il vertice NATO (infatti proprio a L’Aja e in diversi paesi europei è prevista una mobilitazione contro il summit!), per accendere un riflettore e indicare i veri responsabili a un’opinione pubblica italiana che in stragrande maggioranza è contraria alla guerra, ma non agisce poi politicamente perché non sa bene come e con chi prendersela o cosa si può fare. A questo nostro appello hanno risposto circa 80 realtà, tra cui le realtà giovanili e studentesche più attive del paese, i sindacati di base che hanno indetto un coraggioso sciopero per il 20 giugno, i portuali che a Genova e a Salerno hanno bloccato il transito di armi verso la Palestina, i giovani palestinesi, il movimento NO TAV e chi resiste alla devastazione del territorio.
Altre realtà vicine al centrosinistra non hanno risposto, e hanno deciso di lavorare a una seconda piazza. Un errore a nostro avviso, perché una piazza unica sarebbe stata molto più forte nel denunciare ciò che NATO, Unione Europea e Governo Meloni stanno determinando, e perché le cose che ci accomunano sono tante. Ma è un errore che dipende da una presa di posizione politica di fondo per le prospettive. Tanto che anche i tentativi di mediazione che sono stati fatti, sono stati rifiutati da chi ha indetto la seconda piazza che ha precisato che intendevano fare “un loro corteo”. È giusto esplicitare quindi le motivazioni, perché possono rappresentare un momento di dibattito e crescita politica.
Per noi è del tutto evidente – lo ammette persino Crosetto! –, il ruolo della NATO in questo passaggio e che il 21 giugno bisogna scendere in piazza mettendo al centro questo tema. Di cortei “contro la guerra”, senza altri aggettivi, ce ne sono stati tanti in questi anni. Ora abbiamo l’occasione, perché sono le nostre stesse classi dominanti a fornircela, di poter far fare un salto in avanti al movimento contro la guerra.
Gli organizzatori della seconda piazza invece sulla questione NATO tacciono e vogliono tacere. Il motivo è lampante: si tratta di una piazza dell’area del centrosinistra che mira a fare assumere a tutto il centrosinistra e in particolare al PD, una posizione più “pulita” su questo tema e contraria al riarmo, visto che il PD si è diviso tra chi è a favore e chi contro al piano europeo. E che così costruisca una coalizione larga, che recuperi il movimento No War verso le elezioni 2027. Se questo è lo scopo politico, bisogna per forza tenere il livello di politicizzazione più basso, tenere l’appello generico, limitarsi a contrastare il piano europeo, mentre si enuncia la possibilità di una “difesa comune europea” che sarebbe l’alternativa. Come se la difesa comune non implicasse una maggiore integrazione tra le borghesie europee e le loro imprese di morte, come se la “difesa comune” non implicasse individuare dei “nemici comuni”…
Noi di Disarmiamoli vogliamo affermare invece con chiarezza che la prospettiva che ci propongono i “campisti” del centro sinistra non ci piace e vogliamo lavorare per un’alternativa politica e di classe distinta fortemente dagli aggregati ambigui che periodicamente si ripresentano e che spesso portano alla sconfitta.
Insomma, è ovvio che se bisogna costruire un centrosinistra di Governo bisogna essere “responsabili” e non ce la si può prendere né con la NATO né con i motivi profondi di questa situazione. D’altronde i 5 Stelle che saranno in piazza sono stati i primi ad accettare l’aumento al 2% delle spese militari come richiesto in passato dalla NATO, a far crescere l’export di armi verso Israele, oltre a votare per l’invio delle armi in Ucraina e il PD – intorno a cui è nato il solito balletto c’è/non c’è Schlein, che toglie spazio ai motivi della manifestazione – ha sempre votato per le avventure militari italiane, dai banchi del governo e dell’opposizione.
A noi, nel rispetto della sensibilità di tutti, non interessa portare acqua a questo tipo di operazioni politiche o portare a Roma 40 bus, come stiamo facendo, per poi ascoltare dichiarazioni politiche di forze che non ci rappresentano. Noi vogliamo scendere in piazza per mettere in evidenza questi punti:
- No alla NATO e all’aumento della spesa militare a cui ci obbliga la partecipazione all’Alleanza, sì a diplomazia, negoziati, coinvolgimento dell’ONU;
- No al piano di riarmo europeo, alla formazione di un esercito comunitario e a ogni politica bellicista dell’UE, sì a spese sociali, in sanità, istruzione, transizione ecologica;
- No alla costruzione della fortezza Europa, al respingimento e alla morte di migranti, all’Inquisizione degli attivisti che salvano vite;
- No all’estrema destra, ai decreti sicurezza, ai software israeliani usati per spiare giornalisti, alla “guerra sporca” contro i movimenti sociali;
- Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni di Israele, rottura delle relazioni diplomatiche e militari con lo stato sionista;
- Sostegno alla Resistenza palestinese e ai popoli che subiscono le aggressioni imperialiste.
Per noi questa è la piattaforma che conta se vogliamo avere una reale autonomia, evitare che il movimento No War venga recuperato e tradito di nuovo, se vogliamo dimostrare proprio a quel ceto politico, come è successo con la Palestina, che la società che si sta mettendo in moto è molto più consapevole di lui e ha voglia di posizioni chiare e non del solito cerchiobottismo italiano. Facciamolo, dando spazio alla ricchezza e alla diversità di ognuno. Non è troppo tardi per scegliere chiaramente da che parte stare.
Continueremo a confrontarci con chiunque voglia mobilitarsi, ci auguriamo che entrambe le piazze siano strapiene e debordanti, ma crediamo che questo sia il momento delle parole e delle lotte senza se e senza ma.
Ci vediamo il 21 giugno alle 14 in Piazza Vittorio a Roma!