Giustizia e dignità per tutte e tutti!
18 anni e un’intera vita davanti: sembra solo una frase fatta ma era realtà per Suruwa Jaiteh. Parte viva e attivissima dello Sprar di Gioiosa Jonica (RC), dei suoi laboratori e della comunità del piccolo centro in provincia di Reggio, aveva probabilmente le migliori condizioni per rifarsi una vita lontano dal Gambia.
È morto carbonizzato stanotte nell’ennesimo incendio alla baraccopoli di San Ferdinando, uno dei ghetti più grandi d’Europa, dove era andato a trovare il fratello: una terra di nessuno senz’acqua (eccetto due fontane in tutta l’area) e senza elettricità, dove per scaldarsi dal freddo e dall’umido della notte della Piana l’unico modo è accendere il fuoco. Sembra che Suruwa non si sia accorto delle fiamme che avevano avvolto la plastica della baracca in cui dormiva, né c’è stato modo di salvarlo.
Dopo Sekine, Soumaila; dopo Becky, Suruwa. Troppi morti sulla coscienza, se mai ci fosse, di chi vuole la permanenza di questo scempio; di chi vuole il peggioramento della situazione: con il decreto “insicurezza” approvato pochi giorni fa, decine di migliaia di persone sono già in mezzo a una strada, senza un tetto sulla testa, perché il loro permesso umanitario non esiste più per legge, da un giorno all’altro. Questa gente si aggiungerà molto facilmente alle migliaia che ad oggi vivono accampati in ghetti di fortuna, a cui non si cercano rimedi se non sgomberi forzati senza una soluzione alternativa.
Suruwa ha fatto, probabilmente, ciò che a tanti di noi capita: partire da casa e passare il fine settimana da un amico, da un parente, dal fratello che vivono o lavorano altrove. Se fosse partito da casa per andare in un’altra casa, oggi forse nessuno piangerebbe il morto, lui oggi pranzerebbe insieme ai suoi amici e magari stasera sarebbe tornato a casa, pronto ad iniziare una nuova settimana di scuola e lavoro.
Ma Suruwa è partito da una casa, garantita dal progetto Sprar, per andare in una tenda perché dove vive e lavora il fratello, da anni, le istituzioni italiane si ostinano a non voler affrontare seriamente la presenza di migliaia di persone che contribuiscono (spesso sotto sfruttamento e paghe misere) alla precaria economia della Piana di Gioia Tauro. Le uniche risposte agli insediamenti di fortuna iniziati ormai molti anni fa, sono state quelle di riproporre accampamenti di emergenza abbelliti dal simbolo del Ministero dell’Interno, assolutamente non sufficienti nei numeri (vivono più persone nella baraccopoli “illegale” nel terreno di fronte, che nella tendopoli ufficiale) , non rispettosi della dignità di lavoratori cui diventa quasi impossibile anche affittarsi una casa, generatori infine di uno spreco inaccettabile di somme stratosferiche di denaro pubblico (diverse decine di migliaia di euro all’anno costa solo il piccolo presidio di Vigili del Fuoco; quasi mezzo milione l’impegno della Regione Calabria nell’ultimo assestamento di bilancio per la fornitura idrica).
Eppure la soluzione ci sarebbe, la chiediamo da anni: ci sarebbero case per tutti (e ne avanzerebbero), calabresi e non, nella nostra Regione ed anche sulla Piana di Gioia Tauro. In Calabria non ci sono scuse perché qualcuno viva per strada: la casa è un diritto, il lavoro sicuro e tutelato anche; nella sola provincia di Reggio, dai dati della scorsa estate, 26 mila costruzioni sono inutilizzate per 400mila stanze vuote mentre, nell’intera regione, 90mila edifici e 1 milione di stanze sono vuoti. Nessuna giustificazione dunque che nel 2018 in una regione della sedicente “avanzata” Europa, qualcuno viva in baracche di cartone, plastica o lamiera; nessuna giustificazione per l’esistenza di ghetti in cui la scelta sia tra il rischio di morire di freddo e quello di morire carbonizzati.
Serve la volontà, non nuove tende, non container: la soluzione non è “ghetti più belli”, bensì nessun ghetto.
I miliardi buttati in inutili, parziali e dannose soluzioni emergenziali, potrebbero essere senza difficoltà investiti per garantire ospitalità diffusa, incentivi all’affitto di case sul territorio, ottenendo non solo una vita più dignitosa per chi vorrebbe poter vivere del proprio lavoro come le persone normali, ma provando anche a superare barriere sociali che i ghetti non fanno altro che ergere e amplificare.
Ignobili le dichiarazioni delle autorità prefettizie questa mattina, a seguito del vertice convocato d’urgenza dopo l’incendio (potete leggerle nelle fotografie tra i commenti).
Serve che le persone che risiedono, anche temporaneamente, sul nostro territorio vedano riconosciuta la loro esistenza in quanto tali: sia con un documento, un permesso di soggiorno slegato dal contratto di lavoro, sia con la cultura.
Rifiutiamo le schifose politiche di chi gioca sulla vita delle persone più bisognose, più fragili, italiane e straniere che siano, nelle modalità dei vecchi governi e nella loro esasperazione attuata da quello giallo-verde di Salvini e Di Maio. Rifiutiamo che si seminino emarginazioni sociali, eliminando qualunque misura di sostegno e accoglienza, per raccogliere successivamente i “frutti” delle loro conseguenze, legalizzando il tutti contro tutti, il far west in cui ognuno brandisce una pistola per “difendersi” da un nemico reale o presunto, mettendo davanti alla vita umana la tutela della proprietà di oggetti.
Rifiutiamo la creazione di bombe a orologeria sociali e sanitarie (il decreto sicurezza impedisce a qualcuno senza documenti persino di farsi curare, mettendo in pericolo se stesso e la collettività), in cui il nemico era ieri il terrone, oggi lo straniero, domani il dissidente politico.
Eravamo con i residenti della tendopoli, questa mattina, che hanno per l’ennesima volta ribadito di “non essere bestie” (fa rabbrividire la sola necessità di doverlo specificare), pretendendo a testa alta condizioni di vita umane e dignitose. Saremo con loro sempre, come ieri e come domani; accanto agli sfruttati e alle sfruttate di questo paese e del mondo, indipendentemente dalla loro etnia di origine.
Ci stringiamo al loro dolore, a quello del fratello e dei familiari di Suruwa Jaiteh, per questa perdita atroce.
Si terranno due importanti appuntamenti nei prossimi giorni, da tempo programmati, a cui dovremmo partecipare tutte e tutti, perché riguardano l’intera collettività: la prima il 9 dicembre, al Centro Socio-Culturale “Nuvola Rossa” di Villa S. Giovanni, dalle ore 17,30 un’assemblea pubblica su “Decreto insicurezza: guerra ai poveri, sfruttamento e repressione.
Uniamo le lotte, conquistiamo i diritti!”, con la partecipazione di Domenico Lucano e Aboubakar Soumahoro. In quella sede ci prepareremo alla seconda, importante, iniziativa: la manifestazione “Get Up Stand Up! Stand Up for your Rights!” a Roma il 15 dicembre, per la quale saranno organizzati pullman anche da Reggio Calabria.
Uniamoci, per un modo più giusto, dove la sicurezza sia data dal lavoro, dalla dignità e dai diritti; dove ci si riconosca parte di una stessa società, più equa, più solidale, dove nessuno resti indietro, in cui nessuno debba sopravvivere ma possa, finalmente, vivere.
Potere al Popolo! – Reggio Calabria