Qualche giorno fa al campo Rom di Secondigliano è morta una donna.
Una donna giovane, 32 anni, quasi sicuramente in seguito a complicanze seguite al parto cesareo.
Le responsabilità sanitarie che hanno portato alla morte della giovane dovranno certamente essere chiarite: si sono accorti dell’infezione in corso? L’ospedale in cui è stata ricoverata l’ha monitorata a dovere? Non è questo quello su cui ci soffermeremo, non abbiamo elementi né competenza.
Una cosa è certa: quando la donna, dopo il parto, tornata al campo, si è aggravata irrimediabilmente e si è messa in macchina per tornare in ospedale insieme ad alcuni familiari, militari e polizia che presidiano la zona rossa del campo l’hanno bloccata. Hanno dubitato della veridicità delle affermazioni della ragazza, li hanno frenati. A quel punto lei è scesa dalla macchina e, nello sforzo, è svenuta. L’intervento delle forze dell’ordine ha ritardato i soccorsi, e infatti l’ambulanza è arrivata solo molto tempo dopo, i testimoni dicono addirittura ore.I medici arrivati al campo hanno tentato di rianimarla direttamente in ambulanza (a testimonianza della gravità della situazione), l’hanno portata al Cardarelli, ma era troppo, troppo, tardi.E’ morta così una donna, una giovane mamma dell’ultima delle periferie. Il suo bambino, che l’aspettava in incubatrice e non la potrà vedere mai.
Nessuno ne ha parlato, né la politica né la cronaca per giorni. I primi articoli di giornale sono comparsi nelle ultime ore grazie alla denuncia della famiglia e al comunicato di Chi rom e chi no storica associazione che segue da anni tantissime famiglie rom su quel territorio.
Qualsiasi ordinanza – anche quella regionale ovviamente – prevede la possibilità, per i negativi al tampone molecolare di uscire per i beni di prima necessità, cosa che a Secondigliano, per i rom, non avviene. Chiediamo alle forze dell’ordine: la zona rossa per i rom funziona diversamente da tutte le altre zone rosse?
Certamente no, visto che – a qualcuno potrà sembrare sconvolgente – le persone rom sono persone esattamente uguali a tutte le altre, e hanno bisogno delle stesse e identiche cure di tutti. Questa non è una zona rossa. Questa è una condanna a morte. Non esistono vite di serie B.
Ci auguriamo che venga fatta al più presto luce su quanto accaduto.
La salute – e quella degli ultimi, dei dimenticati, degli abbandonati da sempre, prima di tutto – è la prima cosa.