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Dove (non) eravamo ieri: perché le parole e le facce di Piazza San Giovanni non sono le nostre

Una fotografia ritrae insieme Massimo D’Alema, Sergio Cofferati, Guglielmo Epifani. Non è uno scatto di 15 anni fa, ma di ieri, a Roma. Fuori dall’obiettivo del fotografo, c’erano le facce di molti imprenditori: pare che sia stata massiccia la presenza di Confindustria Emilia Romagna, preoccupata in particolare per il blocco delle trivellazioni nel mare Adriatico. In una seconda fotografia, è ritratto un ragazzino con una bandiera del PCI sulla spalla: è il figlio di Calenda, anche lui presente in piazza a Roma. La bandiera? Un errore di gioventù, scrive il padre, si sa come sono i ragazzi…capirà.

Tutto questo l’abbiamo appreso di sera: durante il giorno eravamo impegnati, come ci accade da quando esistiamo, in varie piazze, da Cagliari, contro il tentativo di golpe in Venezuela, a Vicenza contro Salvini. La sera eravamo a Prato, ad una cena di solidarietà con gli operai della Baekert, una delle tante realtà produttive sprofondate in una crisi della quale non si vuole trovare una soluzione.

Se la manifestazione di ieri doveva essere il primo segnale del cambio di passo impresso alla CGIL dal nuovo segretario, il “battagliero” Landini, possiamo dirci tranquillamente che il cambio non è avvenuto. Anzi. Nella sua composizione plastica – sindacalismo confederale protagonista delle più importanti battaglie non combattute degli ultimi anni, dal Jobs Act alla Fornero, insieme a Confindustria e PD – la manifestazione di ieri certifica quello che non siamo, quello che non vogliamo essere, dà la misura della distanza siderale tra chi reclama un ritorno allo status quo degli ultimi cinque anni di governo PD e chi, come noi e tante e tanti altri, in quegli anni ha fatto opposizione nelle piazze e continua a farla ora, ma con un segno diverso rispetto a quanto visto ieri.

Naturalmente non condanniamo le tante e i tanti che ieri erano presenti e che sarebbero stati presenti anche contro i governi di centrosinistra, se solo quelle sigle si fossero degnate di chiamarli alla lotta contro la sequela di provvedimenti contro i lavoratori e i poveri presi dai precedenti governi: sappiamo che le vecchie abitudini sono dure a morire, e che, sebbene in crisi certificata di numeri e qualità del consenso, il credito di cui gode la CGIL presso il lavoro dipendente del nostro paese è lungi dall’essersi esaurito.

Pietro Ichino, il “padre” del Jobs Act ha scritto una lunga lettera a Landini invitandolo, sinteticamente, a fare cartello unico con “il meglio” degli imprenditori del nostro paese (fatichiamo a capire a chi possa riferirsi) per competere sul mercato internazionale. Un vero e proprio invito a farsi carico dell’interesse nazionale, che la piazza di ieri sembra aver recepito. Tante e tanti sperano che Landini imprima, al contrario, una direzione differente alla CGIL: tutti possono essere illuminati sulla via di Damasco, ma se ci attestiamo alle parole scritte nella piattaforma unitaria che è stata alla base della manifestazione di ieri, ci permettiamo di dubitarne. Sostegno ulteriore alla
contrattazione di secondo livello, rilancio del piano Impresa 4.0 (ancora soldi alle imprese?), Zone Economiche Speciali al Sud (sono già speciali, visti i salari), sì alle grandi opere a partire dal TAV, rilancio delle pensioni complementari attraverso un nuovo periodo di silenzio-assenso, rilancio dell’alternanza scuola-lavoro: ci sembra abbastanza per dirci che noi, i nostri e quella piazza non abbiamo molto da condividere.

Continuiamo a costruire l’opposizione a questo Governo che odia i poveri, quale che sia il colore della pelle, ma non scendiamo in piazza con Confindustria. Non scendiamo in piazza con chi vuole l’inutile Torino-Lione, con chi vuole regalare ancora altri soldi agli imprenditori o rubarne ai lavoratori attraverso la previdenza privata. Non scendiamo in piazza con chi ritiene che la democrazia sui posti di lavoro sia un optional. Abbiamo un percorso lungo e difficile davanti, ma siamo determinati a seguirlo, consapevoli che non può – non deve – essere mai come ieri, “mai più la stessa storia”…

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