La scuola distante è la Didattica a Distanza ai tempi del coronavirus. Adottata per la pandemia, rischia di restare, forse anche oltre il necessario.
Noi docenti abbiamo mostrato una grande, forse inaspettata capacità di adattamento. Nell’assenza di obblighi di legge, abbiamo provveduto da subito, con i mezzi a disposizione, a ricostruire la relazione educativa a distanza con gli allievi, tra mille difficoltà.
Abbiamo trovato modi per non spezzare il rapporto coi discenti e coi colleghi, con fantasia, riflessioni, dubbi, confronti, sperimentazioni, ore di autoformazione e di lavoro extra. In questo momento di crisi abbiamo cercato in ogni modo di garantire in qualche modo il diritto allo studio e di preservare la libertà d’insegnamento.
Ciò è accaduto nonostante la pioggia di indicazioni, “suggerimenti”, consigli, spesso illegali e illegittimi, frutto dell’arbitrio dei dirigenti o dello staff. Troppe volte i docenti hanno accettato o subito con una modalità passiva, frutto di anni di riforme che hanno svuotato di potere gli organi collegiali e privato di consapevolezza e di strumenti molte e molti tra di noi.
Questo atteggiamento rischia di portare a dinamiche sempre più lesive dei diritti di chi lavora e della popolazione studentesca, dinamiche che vanno arginate con ogni mezzo.
Le riflessioni, i dubbi, le preoccupazioni del corpo docente restano, però, purtroppo silenziate. E’ venuto meno il confronto coi colleghi, reso difficile dalla distanza.
E’ mancata – cosa ancora più grave – l’attenzione da parte del Governo, dei media e della società.
Allo stesso tempo, e col procedere delle settimane, ci sembra che la straordinaria risposta all’emergenza della scuola italiana mostri tutti i suoi limiti. Si aprono problemi, vengono fuori i rischi per la tenuta di un modello che al centro deve avere la costruzione di capacità e competenze relazionali, civiche, sociali, e non la mera trasmissione di conoscenze.
Scuole allo sbando
All’inizio del lockdown la risposta organizzata e spontanea dei docenti è stata considerata quasi un automatismo, un atto dovuto. Le indicazioni molto generiche del Ministero sembravano improntate ad un necessario buonsenso. Col tempo, però, si è capito che la genericità rispondeva ad una totale assenza di prospettive, come purtroppo il decreto di Aprile ha tragicamente chiarito.
Solo adesso, a ridosso della fase 2, stampa, televisione ed esponenti della maggioranza iniziano a porre il problema educativo. Ora ci si accorge che la scuola è distante.
Solo adesso si inizia a dire che i nostri bambini e ragazzi vanno protetti non solo dal contagio, ma dalla quantità notevole di problemi e difficoltà che il protrarsi della chiusura determina.
Ciononostante, il Governo persiste nella sua mancanza assoluta di idee non solo per la chiusura dell’anno scolastico, ma soprattutto per la ripresa dell’anno nuovo, fatta eccezione per i vaneggiamenti del Ministro sulla prosecuzione parziale a distanza.
Dai discorsi sentiti in questi giorni sembra che la scuola non sia una necessità…forse perché non crea profitti? O forse perché “conviene più teneral chiusa – con la DaD – che aperta a tutte e tutti?
Risposte sbagliate a domande giuste
Giorno dopo giorno emerge con forza la necessità di ripartire quanto prima, in presenza e sicurezza, per restituire alla scuola il suo ruolo di comunità educante. La scuola distante sembra però piacere al Governo, che immagina di ripartire affiancando momenti in presenza a momenti a distanza.
Ne è prova il concorso bandito qualche giorno fa, che prevede solo 24.000 posti. Questa cifra è assolutamente insufficiente e vergognosa se paragonata agli oltre 200.000 precari che ogni anno vengono assunti con contratti a termine, molti dei quali sono precari storici.
Lo dimostra l’assenza pressocché totale di impegni governativi a favore di interventi straordinari sull’edilizia scolastica. Il ministro non sembra voler cancellare le classi pollaio. Non ci sono interventi per garantire la presenza col necessario distanziamento.
La cifra per la scuola stanziata nel Cura Italia – 85 milioni di euro, solo per ammodernamento tecnologico, è ridicola. Il Governo intanto ha promesso alle imprese 400 miliardi.
Facciamo sentire la nostra voce!
Per provare a trovare le risposte a questa situazione abbiamo deciso di ascoltare la voce dei docenti, totalmente trascurata. Abbiamo dunque preparato un questionario, promosso insieme all’ USB Scuola Nazionale, alla CUB Scuola Nazionale e alla federazione COBAS di Napoli.
Questa inchiesta vuole raccogliere dati per capire, collettivamente, se la DaD sia stata un valido strumento pedagogico da poter riutilizzare stabilmente, se sia una grande opportunità per il futuro, come piacerebbe a Confindustria, o se nasconda insidie e contraddizioni. Staremo a vedere.
I risultati del questionario saranno delle indicazioni utili per le battaglie che necessariamente il mondo della scuola dovrà intraprendere. Siamo di fronte ad una delle trasformazioni più epocali della nostra storia.
I docenti hanno dimostrato a tutti l’importanza del loro lavoro, il loro senso di responsabilità, la loro capacità d’iniziativa e di risposta. La vulgata sul docente fannullone è, per fortuna, un po’ appannata a fronte dell’impegno profuso.
E’ il momento, dunque, di far sentire la nostra voce, e di invertire la rotta dell’accettazione passiva di qualunque indicazione provenga dall’alto.
La scuola siamo noi!
Clicca qui per compilare il questionario
Leggi i nostri contributi:
- un commento di Potere al Popolo sul decreto scuola
- la Newsletter della CUB dedicata alla DaD
- un documento dell’USB Scuola: NO, la DAD non è la soluzione
- Scuola e insegnamento a distanza ai tempi dell’emergenza, di Marco Meotto