Ieri sera, mercoledi 11, il Primo Ministro Giuseppe Conte ha firmato un nuovo decreto legislativo, il terzo in cinque giorni, per affrontare l’emergenza della crescente epidemia di Covid-19. Il decreto prevede in breve la chiusura delle attività commerciali. In merito alle attività produttive e le attività professionali, invece, il decreto ne prevede la continuazione limitandosi a “raccomandare” alcune condizioni indispensabili, quali: la sanificazione a carico delle aziende, la chiusura dei reparti non indispensabili alla produzione, il ricorso alle ferie forzate per i dipendenti quando possibile, il ricorso alle modalità di smart working, l’adozione di protocolli anti-contagio che consisterebbero nell’organizzazione della produzione per garantire un metro di distanza tra i dipendenti e nell’adozione generalizzata di dispositivi di protezioni individuali come mascherine, guanti, disinfettanti.
Insomma, il Governo prende provvedimenti duri ma indispensabili per frenare il contagio epidemico, decidendo di generalizzarli a tutto il paese, anche a quelle regioni dove l’epidemia è al momento ancora assai contenuta. Una scelta che consideriamo necessaria per prevenire il peggio in un paese in cui trent’anni di politiche liberiste, di privatizzazioni, di austerità e tagli alla spesa pubblica e alla ricerca, di blocco delle assunzioni e dei concorsi, hanno compromesso profondamente il Sistema Sanitario Nazionale, riducendo enormemente le possibilità di sostenere un’emergenza di questa portata.
Tuttavia – dobbiamo dirlo seccamente – ci sembra assurdo e contraddittorio, che in queste settimane difficili per tutto il paese, proprio dopo essersi assunto la responsabilità di chiedere sacrifici importanti alla popolazione, il Governo continui gravemente a trascurare quanto accade in questi giorni nelle aziende produttive. Si limita a “raccomandare” che le aziende rispettino le condizioni suggerite in materia di sicurezza dei propri dipendenti e delle loro famiglie e di prevenzione del contagio, senza tuttavia rendere vincolanti o obbligatorie tali condizioni. E di fatto molte sono le aziende che ad oggi non rispettano i protocolli di sicurezza o lo fanno in maniera superficiale e insufficiente.
È il caso del gruppo Whirlpool, che continua a produrre in sei stabilimenti in Italia, tra i quali lo stabilimento di Cassinetta (Varese), con oltre mille dipendenti e situato proprio nel cuore della Lombardia, la regione più colpita dal Covid-19. Qui l’Azienda ha obbligato gli operai e il personale amministrativo a continuare la produzione per settimane in condizioni di sicurezza irrisorie, dimostrando ancora una volta l’irresponsabilità dei suoi vertici, dediti unicamente al profitto degli azionisti e indifferenti alle sorti degli operai impiegati. L’Azienda ha fornito inizialmente mascherine e guanti ad autotrasportatori e camionisti, personale delle pulizie, della mensa e della security, invitando i dipendenti a mantenere la distanza di sicurezza e a non attraversare gli spazi comuni. Nessun piano di sanificazione, nessuna fornitura di protezioni necessarie alla protezione degli operai, l’Azienda rifiutava altresì la richiesta dei rappresentanti sindacali di poter chiudere lo stabilimento tre giorni per adeguare la situazione della fabbrica all’evolversi dell’emergenza coronavirus. Gli operai hanno dovuto strappare all’Azienda i provvedimenti minimi di tutela proclamando lo sciopero ieri, 11 marzo. In particolare gli operai hanno chiesto di riorganizzare cicli di lavoro e cadenze, struttura dei turni, uso degli spazi comuni e fornitura di dotazioni necessarie alla protezione personale. Di fronte allo sciopero Whirlpool ha concesso quanto richiesto.
Non lo stesso avviene a Napoli, nello stabilimento di Via Argine, dove sulla catena di montaggio i larghi spazi garantiscono la distanza di un metro tra operai, ma gli operai, a differenza dei colleghi di Cassinetta, continuano a lavorare e a spostarsi senza dispositivi di sicurezza individuali, né si parla di riorganizzare o ridurre i turni e i ritmi produttivi per evitare assembramenti in fabbrica. Ennesima dimostrazione del fatto che la Whirlpool non fa concessioni se non è messa alle strette dagli operai stessi.
Per questo non possiamo che accogliere con favore lo sciopero spontaneo proclamato dagli operai e dai delegati dello stabilimento di Cassinetta e gli scioperi degli operai della Fiat di Pomigliano, della Electrolux, della Pasotti di Brescia, dell’AST di Terni, della BRT, di IKEA, della Piaggio e di tutte le altre aziende in cui i lavoratori si stanno mobilitando per pretendere il rispetto delle condizioni di sicurezza, la riduzione dei ritmi produttivi e la riorganizzazione dei turni di lavoro. Ancora una volta le grandi aziende, con il supporto di Confindustria che da giorni si oppone alla chiusura delle attività produttive, dimostrano che non esiste nessuna emergenza, nessun valore, nessun diritto che possa intaccare il loro profitto privato, e che i lavoratori sono costretti a conquistare con la lotta quanto gli spetta, che sia il diritto alla salute, in tempi di epidemia, o il diritto al salario e al lavoro, contro le delocalizzazioni, le riduzioni salariali, le ristrutturazioni in tempi di normalità.
Siamo consapevoli che in alcune attività produttive, come le fabbriche non si possano garantire al 100% le condizioni di sicurezza e di prevenzione del contagio poiché gli spazi di una fabbrica sono pensati su logiche produttive. A maggior ragione crediamo che sia opportuno e necessario che il Governo provveda alla sospensione della produzione nelle regioni a maggior rischio epidemico e alla chiusura delle aziende che non vogliono o non possono garantire immediatamente le condizioni di sicurezza e di prevenzione del contagio ai propri dipendenti, prevedendo la possibilità di sussidi salariali per i lavoratori, congedi parentali e per malattia supplementari e retribuiti, ecc. Oggi, in questo momento così difficile per il paese, i lavoratori, i sindacati, le forze politiche che rappresentano i diritti degli sfruttati e delle classi popolari hanno il dovere di chiedere imposizioni più restrittive per le aziende, sussidi per i lavoratori, la chiusura degli impianti dove necessario e di organizzare scioperi, di denunciare, di sostenere tutti coloro che anche in piena epidemia non possono cessare di lottare per difendere i propri diritti.
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