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GUGLIELMO FORGES DAVANZATI: “RDC: LE RAGIONI DELLA PROTESTA”

Ripubblichiamo questo interessante articolo di Guglielmo Forges Davanzati, docente di economia politica all’Università del Salento, pubblicato su “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 5 Luglio 2023

Si stima che siano circa 250.000 gli individui privati, con sms, del reddito di cittadinanza, pari a 160.000 nuclei familiari, prevalentemente residenti nel Mezzogiorno. Come è noto, il Governo immagina che alla soppressione dello strumento faccia seguito la frequenza di corsi di formazione e, a seguire, l’inclusione di questi individui nel mercato del lavoro.

Si tratta di un’impostazione che ignora del tutto il reale funzionamento delle economie contemporanee e dell’economia italiana in particolare. Questa impostazione di politica economica regge, infatti, su una diagnosi sbagliata, ovvero sulla convinzione che la disoccupazione italiana dipenda dal mancato incontro fra domanda e offerta di lavoro, imputabile, a sua volta, a carenze informative. Si osservi che il fallimento del RdC come politica attiva del lavoro è imputabile, anch’esso, a questo errore di prospettiva. A questo errore si associa l’errata considerazione che l’accumulazione individuale di conoscenze uno strumento per l’occupabilità. Vediamo in dettaglio.

1)     Un’economia di mercato deregolamentata, come la recente esperienza storica mostra, ha sempre bisogno di un volume di disoccupazione ineliminabile, che serve a “disciplinare” i lavoratori per contenere i salari. Recenti ricerche empiriche riferite all’Italia mostrano che, dal 2007 al 2020, vi è sempre stato un eccesso di offerta di lavoro. È stato elaborato, a riguardo, un indice di sovrappopolazione relativa, inteso come rapporto fra occupati più disoccupati diviso per occupati più vacancies (posti di lavoro resi disponibili dalle imprese). Questo indice è sempre stato superiore, per l’Italia nel periodo considerato, al valore di 1,1 per l’età lavorativa dai 15 – 64. Esistono oltre 3 milioni di individui non in grado di trovare occupazione perché non ci sono posti di lavoro vacanti tali da riassorbirli. In più per ogni posto vacante disponibile nelle imprese, nel periodo considerato vi sono 26 disoccupati.

2)     In questo scenario, maggiore formazione non produce maggiore occupabilità. Se si considera la tipologia media di posto di lavoro disponibile in Italia (e soprattutto nel Mezzogiorno), si osserva che, nella gran parte dei casi, occorrono lavoratori con bassa qualifica, tipicamente nel settore delle costruzioni e della ristorazione. Infatti, salvo rare eccezioni, le imprese italiane spendono risorse irrisorie per la ricerca e l’innovazione e, dunque, domandano individui poco scolarizzati. Non a caso, uno dei problemi del nostro mercato del lavoro, è l’eccesso di istruzione (overeducation), pure a fronte del fatto che, fra i Paesi europei, siamo quello con minor numero di laureati e minore numerosità di sedi universitarie.

Il RdC ha svolto la fondamentale funzione di rendere meno ricattabili i lavoratori, contribuendo a frenare la caduta dei salari (-2.9% in Italia, in termini reali, dal 1990), mantenendo quindi elevati i consumi e la domanda interna. La scarsità di offerta di lavoro, denunciata da Confindustria, è da salutare con favore, dal momento che tiene alte le retribuzioni, e comunque non dipende prevalentemente dal RdC ma dal combinato degli effetti della denatalità e dalla riallocazione temporanea dei lavoratori nel settore delle costruzioni, trainato dal superbonus 110%.

Le proteste di questi giorni vanno così interpretate. Non sono proteste di chi preferisce il divano (che, incidentalmente, è un arredo tipico dei salotti borghesi, non di quelli dei percettori di Rdc) al lavoro, ma sono proteste di chi capisce (correttamente) che l’economia italiana – e ancora più il Mezzogiorno –   soprattutto in una fase di imminente recessione, non dispone di una quantità di posti di lavoro tale da assorbire tutti coloro ai quali il sussidio è stato tolto.  E che rischia di precipitare di nuovo nella povertà, per un risparmio per il bilancio pubblico sostanzialmente irrisorio (soli 3 miliardi a fronte dei 60 dati alle imprese per agevolazioni fiscali)

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