*Il caos impera nel Regno Unito, dove la residenza del Primo Ministro a Londra – al numero 10 di Downing Street – si prepara all’ingresso di Rishi Sunak, uno degli uomini più ricchi del paese. Liz Truss conclude così il suo incarico, durato soli 45 giorni, messo in crisi, insieme al suo governo, da un ciclo di scioperi di lavoratrici e lavoratori e dalla mediocrità delle sue politiche. Nella sua mini-finanziaria Truss aveva optato per un assalto neoliberista su vasta scala fatto di riduzioni delle tasse e tagli nascosti ai servizi sociali. Queste politiche hanno sorpreso la classe finanziaria internazionale, il cui ruolo politico è emerso chiaramente quando i ricchi obbligazionisti hanno manifestato la loro perdita di fiducia nel Regno Unito spazzando via i titoli di stato, aumentando così il costo del debito pubblico e quello dei tassi sui mutui per i proprietari di case. È questa ricca classe di obbligazionistə che ha agito come la vera opposizione al governo Truss. Anche il Fondo Monetario Internazionale (FMI) è intervenuto con una dichiarazione forte, affermando che “la natura delle misure del Regno Unito probabilmente aumenterà la disuguaglianza”.
- Il passato coloniale di saccheggio che ha determinato la necessità, per le nuove nazioni sorte nel secondo dopoguerra, di prendere in prestito denaro dai loro ex governanti coloniali.
- Il fatto che prendere in prestito questi soldi per costruire infrastrutture chiave, che non erano state costruite durante il periodo coloniale, significava che i prestiti venivano bloccati in progetti a lungo termine che non si ripagavano da soli.
- La necessità, per la maggior parte di questi paesi, di prendere in prestito più denaro per pagare gli interessi sui prestiti, il che ha provocato la crisi del debito del terzo mondo negli anni ’80.
- L’utilizzo da parte del FMI di “programmi di aggiustamento strutturale” per imporre l’austerità in questi paesi come condizione per poter prendere altri prestiti per ripagare quelli precedenti. L’austerità ha impoverito miliardi di persone, il cui lavoro ha continuato a essere trascinato in cicli di accumulazione ed è stato utilizzato – spesso in modo molto produttivo – per arricchire i/le pochə a spese dei/lle moltə che hanno versato il loro sudore nella catena globale delle merci.
- La minore ricchezza sociale nei paesi del Sud del mondo che è stata determinata dall’impoverimento della popolazione e si è prodotta nonostante la maggiore industrializzazione. Questa diminuzione della ricchezza sociale insieme al saccheggio delle risorse significava sia meno eccedenze per migliorare le condizioni di vita della popolazione sia che i governi di questi paesi dovevano pagare tassi più elevati per prendere in prestito denaro per saldare i propri debiti. Ecco perché dal 1980 i paesi del Sud del mondo hanno visto un deflusso di fondi pubblici per un importo di 4,2 trilioni di dollari per pagare gli interessi sui loro prestiti. Ad aggravare ulteriormente questo saccheggio c’è il fatto che altri 16,3 trilioni di dollari hanno lasciato i paesi del Sud del mondo dal 1980 al 2016 a causa di fatture errate e prezzi errati, nonché perdite nella bilancia dei pagamenti e trasferimenti finanziari registrati.
Questa “geopolitica della disuguaglianza” persiste, anche se la produzione industriale si è spostata dal Nord globale al Sud globale. L’industrializzazione nel contesto della divisione globale del lavoro e della proprietà globale dei diritti di proprietà intellettuale significa che mentre i paesi del Sud del mondo ospitano la produzione industriale, non ricevono i guadagni da questa produzione. “Un caso paradigmatico è quello della regione del Nord Africa e del Medio Oriente, che rappresenta il 185% della produzione manifatturiera del Nord, ma rappresenta solo il 15% del reddito pro capite dei paesi ricchi”, osserva il dossier. Inoltre, “il Sud del mondo produce il 26% in più di beni manifatturieri rispetto al Nord, ma rappresenta l’80% in meno di reddito pro capite”.
L’industrializzazione sta avvenendo nel Sud del mondo, ma “i centri del capitalismo globale controllano ancora il processo produttivo e il capitale monetario che consentono l’avvio di cicli di accumulazione produttiva”. Queste forme di controllo sul sistema capitalista (industria e finanza) portano all’aumento incessante della ricchezza dei miliardari (come il nuovo primo ministro britannico, Rishi Sunak) e, insieme, all’impoverimento dei/lle moltə, che vivono prevalentemente in povertà a prescindere dal fatto che lavorino e da quanto duramente lo facciano. Durante i primi anni della pandemia, ad esempio, “emergeva un nuovo miliardario ogni 26 ore, mentre i redditi del 99% della popolazione diminuivano”.
- La parziale disconnessione delle catene globali. Per questo punto, chiediamo nuovi regimi commerciali e di sviluppo che vedano una maggiore partecipazione Sud-Sud e un maggiore regionalismo invece che essere vincolati a catene di merci globali ancorate alle esigenze del Nord globale.
- La raccolta delle entrate da parte dello Stato. L’intervento concreto dello Stato attraverso la tassazione (o la nazionalizzazione) nella raccolta di entrate (come le rendite fondiarie, nonché le entrate minerarie e tecnologiche) è fondamentale per ridurre la crescita del reddito della classe dirigente.
- La tassazione del capitale speculativo. Le grandi fughe di capitale dai paesi del Sud del mondo non possono essere controllate senza controlli sui capitali o tasse sul capitale speculativo.
- La nazionalizzazione di beni e servizi strategici. I settori chiave delle economie del Sud del mondo sono stati privatizzati e acquistati dal capitale finanziario globale, che esporta i profitti e prende decisioni su questi settori in base ai propri interessi e non a quelli di lavoratrici e lavoratori.
- La tassazione degli utili straordinari di società e individuali. I profitti astronomici delle imprese sono in gran parte destinati alla speculazione piuttosto che alla produzione o per aumentare i redditi e la qualità della vita della maggioranza della popolazione. Imporre una tassa sui super–profitti sarebbe un passo verso la diminuzione di questo divario.
Molte delle proposte delineate nel nostro dossier e perfezionate per la nostra era sono tratte dal NIEO. Il presidente algerino, Houari Boumédiène, sostenne il NIEO alla riunione del NAM del 1973 ad Algeri. L’anno dopo la risoluzione approvata dalle Nazioni Unite, Boumédiène spiegò che il mondo si trovava a un bivio tra la “dialettica del dominio e del saccheggio da un lato, e dalla dialettica dell’emancipazione e del recupero dall’altro”. Se, continuava l’intervento di Boumédiène, il NIEO non fosse passato e il Nord del mondo si fosse rifuitato di trasferire il “controllo e l’uso dei frutti delle risorse appartenenti ai paesi del Terzo Mondo” ne sarebbe risultata una “conflagrazione incontrollabile”. Tuttavia, piuttosto che permettere l’avvio del NIEO, l’Occidente ha guidato una politica che ha creato la crisi del debito del Terzo Mondo, portando alla “trappola dell’austerità” da un lato e alle rivolte anti-FMI dall’altro. La storia, da allora, non è progredita.
Nel 1979, all’indomani dell’archiviazione del NIEO e della nascita della crisi del debito del terzo mondo, il presidente della Tanzania Julius Nyerere disse che c’era bisogno di creare un “Sindacato delle Persone Povere”. Una tale unità politica non è emersa in quel momento, né esiste un tale “sindacato” nel nostro tempo. La sua costruzione, però, rimane una necessità.
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della quarantatreesima newsletter (2022) di Tricontinental: Institute for Social Research.