Oggi il Genepì, il bar della Casa del popolo Le Panche – il Campino, riaprirà dopo 10 giorni di sospensione della licenza. La chiusura è stata decisa dal Questore di Firenze, sulla base di un provvedimento del commissariato di Rifredi. La motivazione sarebbe stata la presenza nel locale di “cittadini nordafricani”, alcuni dei quali con precedenti penali per spaccio. Presenza, a detta degli agenti di polizia, sufficiente a rendere necessaria una misura repressiva giustificata con generiche “ragioni di pubblica sicurezza”.
Una decisione che ci tocca profondamente e che ci indigna, colpendo un luogo che con orgoglio chiamiamo Casa e che con le nostre attività, da anni, contribuiamo ad animare. È proprio perché lo conosciamo così bene che non possiamo accettare che venga dipinto come un luogo pericoloso, una minaccia per il quartiere.
Il Campino è esattamente il contrario! È un’oasi di socialità e inclusione in un deserto che chiamano periferia. Una periferia lontana dalla Firenze-vetrina, ridotta a quartiere dormitorio e letta solo in chiave securitaria, attraverso la lente quanto mai abusata e ambigua del “degrado”.
Si imputa al Genepì di accogliere persone con precedenti penali – un’accusa alla quale francamente non sappiamo come rispondere. Cos’altro avrebbero dovuto fare i gestori del bar, che incontrano quotidianamente centinaia di persone? Chiedere la fedina penale a chi si presenta al bancone? Non solo è un’idea francamente assurda ma è anche – ironicamente – illegale!
Certo, come giustamente recita il comunicato della Casa del popolo, “non siamo miopi e non fingiamo che nel nostro quartiere non esista un problema di spaccio di sostanze. Gli episodi di questo tipo a Rifredi esistono e sono figli di vari fattori: di una crisi sociale e di un’assenza di lavoro stabile, decentemente pagato e sicuro, che rendono difficili i processi di inclusione e di integrazione; della problematica questione abitativa e del caro bollette; della mancanza di luoghi di aggregazione sana per i più giovani, soprattutto nelle periferie”.
E, aggiungiamo, figli – da un lato – di un proibizionismo che lascia in mano alla criminalità il monopolio del commercio di qualsiasi tipo di sostanza (anche di quelle leggere) e – dall’altro – di una società che impone alle persone costanti performance, senza fornirgli prospettive, spingendole alla frustrazione, alla sofferenza psicologica e dunque, talvolta, al circolo vizioso dell’abuso di sostanze.
Affrontare il problema e le sue cause con un atto ritorsivo e intimidatorio nei confronti di uno dei pochi luoghi di aggregazione e di mutuo aiuto del quartiere è del tutto inutile e controproducente. Così si rischia di oscurare e spazzare via il lavoro di una realtà fatta di volontari e volontarie che provano a risolvere le contraddizioni con risposte concrete e costruttive, invece di nasconderle sotto il tappeto.
Una realtà che non solo è il primo argine allo spaccio e alle sue gerarchie, ma che è una risorsa per gli/le abitanti del quartiere e della città. Basti pensare, come recita il Comunicato della casa del popolo, che “negli ultimi tempi, il Campino è rifiorito. Oltre alle iniziative culturali, gli incontri con gli astrofili, il corso di musica, le attività sportive e ricreative, molte sono le attività mutualistiche che svolgiamo. A partire dal primo lockdown, abbiamo attivato il sostegno alimentare con consegna di pacchi per le famiglie in difficoltà. Contestualmente, è possibile usufruire di un guardaroba popolare. I bambini del quartiere possono venire al Campino il sabato a fare i compiti e partecipare alle attività laboratoriali del doposcuola popolare. Numerosi sono gli sportelli: si offre supporto per attivare SPID o fare domande online per richiedere bonus (come ad esempio quello scolastico); c’è l’opportunità di usufruire di una consulenza gratuita per i problemi sul lavoro; inoltre, attraverso la Brigata Basaglia, si offre supporto psicologico. E non è tutto qui: a breve partirà un corso di italiano per stranieri! Perché nessuno, ma proprio nessuno, resti indietro”. Tutte attività che fanno parte di un processo di ricostruzione della comunità – una comunità aperta, che non bada al colore degli occhi e della pelle – del nostro quartiere.
Al contrario con questi provvedimenti la polizia finisce per reprimere e punire – con paradossale ironia – proprio chi più si oppone ai processi di marginalizzazione e sfruttamento che per primi rendono possibili e praticabili i fenomeni di piccola criminalità.
Lasciamo chi ci legge con un invito: venite a vedere con i vostri occhi, partecipate anche voi alla bellissima esperienza della Casa del popolo Il Campino!