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Fanpage: Viola Carofalo ci spiega cos’e Potere al popolo

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Fonte: Fanpage
di Davide Falcioni

Intervista a Viola Carofalo, ricercatrice precaria di 37 anni e portavoce di Potere al Popolo, lista di sinistra che correrà alle prossime elezioni politiche: “Enormi ricchezze sono in mano a pochissime persone. Occorre prendere quei soldi e redistribuirli verso il basso”.

Uno spettro si aggira per l’Italia, e se sarà destinato a rimanere tale o acquisirà corpo e concretezza dipenderà dalle prossime due settimane e dall’esito della raccolta firme necessarie per la presentazione della lista. Lo “spettro” – per citare il Manifesto del Partito Comunista, saggio scritto da Karl Marx e Friedrich Engels tra il 1847 e il 1848 – si chiama Potere al Popolo: un progetto di sinistra, elettorale ma non solo, nato due mesi fa da un appello del centro sociale napoletano Ex Opg “Je So Pazz”: una pazzia, per l’appunto, che però ha avuto conseguenze che probabilmente neppure i promotori si aspettavano, con centinaia di riunioni in tutta Italia, due “sold out” in altrettante assemblee nazionali nei teatri romani e soprattutto una lista costruita effettivamente dal basso. Di Potere al Popolo fanno parte realtà di movimento, partiti come Rifondazione Comunista e PCI e realtà come Eurostop. A capo della lista una donna napoletana di 37 anni, Viola Carofalo.

– Chi è Viola Carofalo, “capo politico” di Potere al Popolo?

– Una persona come tante, che vive una condizione comune a molti della nostra generazione. Quella della precarietà lavorativa ed esistenziale, quella del non sentirsi rappresentati dalla politica attuale, che non dà risposte ai nostri bisogni, che non interviene sulle ingiustizie, anzi, le rinforza. Io ho 37 anni, una passione per lo studio che mi ha portato a fare due dottorati in filosofia, oggi lavoro con contratti precari all’università. Cerco ogni giorno di portare avanti i miei valori: l’onestà, la solidarietà, il rispetto dell’altro. In quanto donna e meridionale sento sulla mia pelle certe forme di oppressione e di discriminazione che mi sembra assurdo ancora vigano nell’Italia del 2018. E le vorrei cambiare. Per questo, più che un “capo politico”, mi sento una “capa tosta”. Perché come tanti non mi rassegno a questa situazione e da più di vent’anni faccio politica nei movimenti sociali per cercare di migliorarla, anche a partire da piccole cose. All’Ex OPG “Je so’ pazzo” di Napoli, il centro sociale che due mesi fa ha lanciato il video-appello per costruire “Potere al popolo!”, mi occupo di mutualismo, di attività per il quartiere, di antirazzismo. Forse per questo mi hanno scelto per essere portavoce del movimento. Dico “portavoce” perché ciò che ci contraddistingue è di essere innanzitutto un collettivo, di rifiutare i personalismi, di mettere al centro le idee e le pratiche, e soprattutto i bisogni delle persone.

– Perché avete scelto questo nome – Potere al Popolo – in una fase storica in cui il populismo di destra è egemonico anche nelle classi sociali popolari?

In realtà “Potere al popolo!” è solo la traduzione letterale della parola democrazia. Oggi molti lo hanno dimenticato, e pensano che democrazia sia andare a votare una volta ogni cinque anni partiti tutti uguali, e per il resto subire le decisioni che vengono prese altrove, non solo in parlamenti che ormai non rispecchiano più il paese, non solo da governi che sono macchine sempre più autoritarie, ma magari in qualche incontro riservato fra banche, finanza, associazioni di impresa, in qualche riunione di tecnocrati dell’Unione Europea…

Con “Potere al Popolo!” vogliamo innanzitutto mandare un messaggio: le decisioni sulla nostra vita e sui nostri territori spettano a noi. Oggi non decidiamo nemmeno dove passeremo la nostra esistenza, visto che per trovare un lavoro andiamo ovunque. Non decidiamo quando avere un figlio, perché dipende dal contratto che qualcuno ci farà. Non decidiamo come gestire il bilancio di una municipalità o di una città, anche perché ce lo tagliano. Figuriamoci se decidiamo su questioni di politica economica e internazionale… Ecco, noi pensiamo che una democrazia sia tale se non è formale ma sostanziale, se è radicale nel senso che parte dalle radici; se le classi popolari possono effettivamente contare ed esercitare il potere. “Potere” può essere anche una bella parola, è la possibilità di fare, di creare. Pensiamo che non debba essere negata ad alcun essere umano, che sia bianco o nero, povero o ricco.

Poiché diciamo queste cose che non dice nessuno, non temiamo di essere confusi con la destra che oggi, nelle varianti di PD, 5 Stelle e Lega/Forza Italia, è di fatto l’unica forza politica. Nessuno di questi partiti vuole una partecipazione reale dei cittadini, nessuno vuole mettere in discussione le basi economiche di questa società, o la disuguaglianza. Quando anche sembrano parlare nell’interesse del popolo, è per ingannarlo, per dividerci e governarci meglio.

Il 4 marzo milioni di persone vedranno sulla scheda elettorale i soliti partiti che fanno gli interessi di vari gruppi imprenditoriali in lotta fra loro. E poi vedranno un movimento nuovo, che manda un messaggio di rottura, non ha dietro nessuno se non le persone che lo stanno costruendo. Ci sembra una bella novità!

– Mai come oggi il “popolo” sembra propenso ad accettare un discorso razzista e securitario: i cittadini comuni sono disposti a scendere in piazza contro inesistenti invasioni di migranti e riscontrano pieno successo petizioni come quelle sul possesso di armi e la “legittima difesa”. Che “popolo” è quello di Potere al Popolo?

– Guarda, noi non pensiamo che il razzismo sia maggioritario in Italia. In generale la barbarie ci sembra più diffusa dall’alto che provenire dal basso. Sono i media e i politici che cavalcano le peggiori pulsioni di questo paese. E questo per uno scopo ben preciso: bisogna dare alle persone qualcuno o qualcosa da odiare. Bisogna creare falsi problemi per distogliere l’attenzione da quelli reali. Così il sistema si può conservare a vantaggio dei pochi.

È chiaro che un popolo terrorizzato, diviso, rassegnato, arrabbiato spesso senza nemmeno sapere perché, finisce poi effettivamente per ammalarsi di odio. E però noi che viviamo i quartieri popolari facciamo anche esperienza del contrario. Il nostro popolo esiste: è quello che resta umano, che anche se è in difficoltà economica aiuta il prossimo, quello degli sfruttati che si riconoscono, dei lavoratori che sui posti di lavoro non abbassano la testa, delle insegnanti che continuano a dare valori ai ragazzi anche quando altri li distruggono, dei cittadini che intervengono quando vedono consumarsi un’ingiustizia, di chi resiste alle mafie e alle prepotenze, di chi ha il coraggio di denunciare…

I razzisti, i fascisti, i mafiosi, sono una minoranza, solo che è una minoranza rumorosa e coccolata dall’alto, che si sente forte e protetta, mentre i buoni si sentono isolati, frammentati. Dobbiamo spezzare questo circolo vizioso che sta portando questo paese al decadimento, dare forza alle energie giovani, alla creatività, alla gentilezza, alle lotte.

– Nel vostro programma vi sono l’abrogazione della riforma Fornero e del Jobs Act, oltre a un grande piano di messa in sicurezza del territorio e la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Si tratta evidentemente di un programma molto ambizioso: dove prendereste i soldi per realizzarlo?

– I soldi ci sono. In dieci anni di crisi sono anche aumentati. Il problema è che sono finiti nelle mani di sempre meno persone. Tutti i dati dicono che se da un lato aumenta la povertà, da un altro lato è aumentata la concentrazione delle ricchezze: l’1% degli italiani detiene il 25% della ricchezza nazionale. Questi soldi non vengono dal cielo, sono il prodotto del lavoro di cui qualcuno si appropria in vari modi (non corrispondendo il giusto salario, con una tassazione iniqua etc). Se vogliamo fare una società più giusta e salvare questo paese, si tratta quindi innanzitutto di andare a prendere questa massa di capitali e redistribuirla verso il basso.

Immaginiamo una serie di misure concrete innanzitutto sulla fiscalità generale, che oggi si configura come un vero furto ai danni della maggioranza. Vogliamo colpire l’evasione fiscale, a partire da quella delle grandi multinazionali, delle rendite e dei capitali finanziari: l’evasione sottrae oltre 130 miliardi ogni anno ai salari e alla spesa sociale. Poi vogliamo una vera tassazione progressiva, come previsto dalla Costituzione. L’Irpef, quando fu introdotta, prevedeva 32 scaglioni di reddito, con l’aliquota più bassa al 10% e la più alta al 72%, mentre ora gli scaglioni sono 5, con la prima aliquota al 23% e l’ultima al 43%.

Ancora, vogliamo il recupero dei capitali migrati verso i paradisi fiscali. E vogliamo una patrimoniale, che è davvero una misura minima di civiltà mentre troppi dei nostri concittadini fanno la fila alla Caritas per mangiare…

Esiste inoltre, come sottolineano anche Podemos, France Insoumise etc, una reale necessità di disobbedire al Fiscal Compact e al pagamento del debito finanziario che ci stritola – di fatto, anche se da anni siamo in pareggio di bilancio, continuiamo a pagare interessi infiniti, una vera e propria usura.

In più, le politiche dei governi Renzi e Gentiloni non hanno fatto altro che regalare risorse alle imprese, oltre 40 miliardi solo negli ultimi tre anni. Questi soldi non sono stati usati per lo sviluppo del paese, tantomeno per garantire stabilità ai lavoratori, ma sono finiti nelle tasche dei datori di lavoro, già ricchi. Per non parlare dei soldi regalati alle banche… Ecco, noi immaginiamo, con tutti questi soldi, di creare lavoro stabile e sicuro, di mettere in sicurezza i territori e gli edifici, di assumere nel pubblico, visto che il servizio pubblico italiano è inferiore quantitativamente e qualitativamente a molti dei più importanti paesi europei.

Infine vogliamo tagliare le spese militari o i programmi inutili e costosi come “strade sicure”. Parliamo di miliardi di euro all’anno usati per riempire le tasche di industrie belliche, di vere e proprie fabbriche di morte. Noi vogliamo la vita, non la morte.

Ripetiamo: i soldi ci stanno, dobbiamo solo toglierli a chi oggi ne ha troppi e metterli a disposizione delle classi popolari per lavorare, studiare, crescere in un paese più funzionante e coeso. In fondo chiediamo soltanto che sia finalmente attuato l’articolo 3 della Costituzione: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

– Perché non avete deciso di confluire in Liberi ed Uguali e rappresentare, in quella lista, l’anima più di sinistra? Non avreste avuto maggiori possibilità di eleggere?

– Non si è mai posto il problema. Non puoi cambiare le cose con chi è parte integrante del sistema. Liberi e Uguali è un PD2: ci sono D’Alema, Bersani, tutti quelli che hanno gestito gli ultimi venti anni di potere, che hanno votato il Governo Monti, il Governo Renzi e le peggiori schifezze, dalla partecipazione alle guerre alla liberalizzazione degli orari di lavoro, dal Fiscal Compact a riforma Fornero, Jobs Act, Sblocca Italia e Buona Scuola… Per non parlare di Grasso, che è andato, fino alla fine, d’amore e d’accordo con Renzi, non ostacolando mai la sua azione. Che credibilità avremmo se per cambiare le cose ci associassimo a questa gente? Che alternativa potremmo mai praticare?

Noi, per età, per genere, per appartenenza sociale, siamo un’altra cosa. Per contenuti e metodi politici, Liberi e Uguali è la continuità con tutto un mondo che ha portato avanti politiche antipopolari. Noi non vogliamo unire il ceto politico della “sinistra storica”, di cui ormai si salva poco o nulla. Noi vogliamo unire le persone, chi sta in basso, le associazioni, i collettivi, i comitati territoriali e ambientali, le reti di solidarietà, le esperienze di lotta sui posti di lavoro e nel sociale. Il nostro problema prioritario non è tanto eleggere qualcuno, ma far partecipare le persone, ricostruire una comunità, un senso di appartenenza, un sentire di essere dallo stesso lato della barricata. Essere utili al nostro popolo, diffondere la pratiche che funzionano, mettere in connessione le competenze e metterle a disposizione di chi ne ha bisogno, per migliorare la loro vita.

Questo è un lavoro che non è iniziato ora, che dentro la crisi è enormemente cresciuto, adesso si tratta solo di farlo vedere a milioni di persone e di organizzarlo sempre meglio. Tutto questo potrebbe produrre anche l’elezione di parlamentari, espressione di un movimento che sta davvero dalla parte del popolo. Ma non abbiamo ansie da prestazione: se anche così non dovesse essere – e sarebbe comprensibile: abbiamo solo due mesi di vita, le persone sono molto disilluse, i nostri mezzi per raggiungerle sono pochi, non abbiamo soldi o grandi nomi… – non è decisivo ai fini del progetto, perché dal 5 marzo continueremo ugualmente, a federare, a crescere, a stare nei territori e nelle strade. E quando le persone vedranno che non eravamo un cartello elettorale, ma una comunità e un’idea di società, non potranno che partecipare, contribuire, e far crescere. E i risultati, anche sul piano della presenza nelle istituzioni, non tarderanno ad arrivare.

– Come sono state composte le liste?

– Con un metodo antico e innovativo: le assemblee aperte e orizzontali. In due mesi sono nate ben 150 assemblee su tutto il territorio nazionale, per un totale di 20.000 partecipanti. Il nostro principio è radicalmente democratico: decidono i territori. E anche nella provincia più sperduta le candidature sono state decise dalla base del movimento, con il metodo del consenso o, dove non fosse possibile, per voto ad ampia maggioranza. I requisiti per le nostre candidature sono diversi da quelle degli altri partiti: non conta quanti soldi o conoscenze hai, che pacchetto di voti porti, ma quanto ti sei dato da fare per difendere i nostri valori. Per noi era importante la parità tra i generi, la bassa età, il radicamento sul territorio, la coerenza tra curriculum del candidato e il programma elettorale…

– Donne, giovani, precari: Potere al Popolo sembra parlare soprattutto a questi soggetti…

– Esatto. D’altronde chi subisce di più gli effetti della crisi sono proprio loro. Sono quelli tradizionalmente esclusi dalla politica. Eppure sono quelli che avrebbero più da dare, proprio perché – da esclusi – sanno cosa vuol dire includere. Il nostro programma parla di questo, e queste figure sono in prima linea. C’è bisogno di rottura e rinnovamento, di levarsi di dosso il “morto” di questo paese. Non è facile, noi pensiamo di aver solo iniziato. Abbiamo ancora migliaia di persone da coinvolgere, per far tornare a fare della politica uno strumento e non una cosa sporca, una possibilità di trasformazione e di riappropriazione della propria vita.

– Sostenete che le elezioni politiche saranno solo un passaggio obbligatorio da attraversare, ma che il progetto andrà avanti a prescindere dal risultato elettorale. Ecco, qual è il vostro progetto politico?

– Un paese lo si cambia innanzitutto se si è presenti in ogni aspetto della società. Se si sa rispondere ai bisogni materiali ma anche costruire un immaginario, fare musica, teatro, cinema. Se si sanno sviluppare pratiche che modificano il funzionamento delle istituzioni. Noi andremo avanti perché non basta un’elezione a fare tutto questo, ma è un lavoro che va portato a fondo, per anni. Le elezioni sono un passaggio che ci permette di fare “massa”, di iniziare a contarci, di uscirne rafforzati. Poi dopo si continua sui territori, a costruire un “partito sociale”.

Qui il mutualismo ha un’importanza fondamentale. Se lo Stato non è in grado di risolvere i nostri problemi, perché ostaggio di interessi di pochi e strutturalmente pensato per difenderli, noi cominciamo ad agire subito con un metodo d’intervento che parte dalle necessità del popolo e che, insieme al popolo, sviluppa coscienza e partecipazione. Mettere su un doposcuola sociale, uno sportello contro il lavoro nero, una palestra, ti permette di fare tante cose: inchiestare la realtà, avvicinarti a soggetti non politicizzati, non fornirgli solo un servizio ma spiegare i motivi, imparare con loro e lottare insieme, sviluppare quindi quegli embrioni di coscienza e di autogoverno senza cui la democrazia non si regge. Non facciamo assistenzialismo, ma protagonismo. Il mutualismo, come il controllo popolare, ci permettono di uscire da quella terribile retorica da eterni sconfitti di cui siamo stufi: ci dimostra che se ci si attiva in maniera intelligente e creativa si può vincere, si può dimostrare materialmente che le istituzioni non fanno abbastanza e quindi possono essere sostituite dal popolo che si organizza, vigila e propone. Chi meglio di chi vive le condizioni di lavoro, di chi usa un servizio, di chi abita un territorio, può dire come intervenire e come migliorare quel servizio?

Queste pratiche non sono solo utili, sono anche molto divertenti. Tirano fuori il meglio delle persone. Le spingono a riflettere e a fare comunità. Ecco, in chiusura possiamo dire che la nostra principale differenza con tutto o scacchiere politico sta tutta qui: anche se siamo esclusi, poveri, e ancora deboli, noi ci divertiamo, sappiamo ridere e gioire, sappiamo pensare e sognare.

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