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LA CONQUISTA, LA GUERRA, LA CARESTIA E LA MORTE COLPISCONO AL CUORE

Di fronte alla carestia incombente, la promessa di Biden di costruire un “molo temporaneo” per consentire l’ingresso degli aiuti a Gaza è vuota, minata dalla complicità del suo Paese nel genocidio di Israele contro la Palestina.

Il 4 marzo Philippe Lazzarini, il Commissario Generale dell’agenzia dell’ONU per i/le rifugiatə dalla Palestina (UNRWA), ha presentato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il suo rapporto sulla situazione a Gaza. In soli 150 giorni, ha detto Lazzarini, le forze israeliane hanno ucciso più di 30.000 palestinesi, quasi la metà bambini e bambine. Coloro che sopravvivono continuano ad affrontare gli attacchi di Israele e sono afflittə dai traumi della guerra. I quattro cavalieri dell’apocalisse descritti nel Libro dell’Apocalisse della Bibbia – Conquista, Guerra, Carestia e Morte – stanno ora galoppando da un capo all’altro di Gaza.

“La fame è dappertutto”, ha detto Lazzarini. “Si profila una carestia prodotta volontariamente”. Pochi giorni dopo che Lazzarini ha diffuso questa valutazione, il Ministero della Salute di Gaza ha riferito che i livelli di malnutrizione infantile nella parte settentrionale della Striscia sono “particolarmente estremi”. Il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per la Palestina, Jamie McGoldrick, ha affermato che “la fame ha raggiunto livelli catastrofici” e che “i bambini muoiono di fame”. Alla fine della prima settimana di marzo, almeno venti bambini erano morti di fame. Tra loro c’era Yazan al-Kafarna, dieci anni, di Beit Hanoun (Gaza nord), morto  a Rafah (Gaza sud) lo stesso giorno in cui Lazzarini ha parlato all’ONU. L’immagine del corpo emaciato di Yazan ha lacerato la coscienza già martoriata del nostro mondo. Una storia dopo l’altra si accumula accanto alle macerie prodotte dai bombardamenti israeliani. Il dottor Mohammed Salha dell’ospedale Al-Awda, dove Yazan è morto, afferma che molte donne incinte che soffrono di malnutrizione hanno dato alla luce feti nati morti o hanno avuto bisogno di tagli cesarei per rimuoverli, molte di queste operazioni sono state condotte senza anestesia.

Un cessate il fuoco non è all’orizzonte. Né c’è un reale impegno a far arrivare aiuti a Gaza, in particolare nel nord, dove la fame ha riscosso il prezzo più alto (il 28 febbraio, il vicedirettore esecutivo del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, Carl Skau, ha dichiarato al Consiglio di sicurezza che c’è una “reale prospettiva di carestia [nel nord di Gaza] entro maggio, con oltre 500.000 persone a rischio se la minaccia si materializzasse”). Finora, circa 155 camion di aiuti entrano a Gaza ogni giorno – ben al di sotto della capacità giornaliera di 500 camion al valico – e solo pochi di questi sono diretti a nord di Gaza. I soldati israeliani sono stati spietati. Il 29 febbraio, quando i camion degli aiuti sono arrivati alla rotonda di Al-Nabulsi (all’estremità sud-occidentale di Gaza City, nel nord di Gaza) e persone disperate si sono precipitate verso di loro, le truppe israeliane hanno aperto il fuoco e ucciso almeno 118 civili disarmati. Un evento che ora conosciamo come il Massacro della Farina. I lanci aerei di cibo non solo sono inadeguati in termini di volume, ma hanno provocato loro stessi ulteriore dolore, con alcuni pacchi che sono atterrati nel Mar Mediterraneo, andando persi, e altri che hanno schiacciato a morte almeno cinque persone.

Come se niente fosse, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 7 marzo che il suo paese avrebbe costruito un “molo temporaneo” nel sud di Gaza per facilitare l’ingresso degli aiuti attraverso il mare. Il contesto di questa decisione, che Biden ha omesso, è chiaro: Israele non permette che il minimo indispensabile di aiuti umanitari passi attraverso i valichi di terra, Israele ha distrutto il porto di Gaza il 10 ottobre e polverizzato l’aeroporto di Gaza a Dahaniya nel 2006. Questa decisione non veniva certo dal nulla e arrivava, oltretutto, nel bel mezzo della campagna all’interno del Partito Democratico degli Stati Uniti per invitare le persone a votare “non impegnatə” (uncommitted) alle primarie, come metodo per far capire che la complicità degli Stati Uniti nel genocidio avrà un impatto negativo sullo sforzo di Biden per la sua rielezione. Anche se una pagnotta è meglio di niente, queste pagnotte arriveranno a Gaza macchiate di sangue.

Quella di Biden è una dichiarazione vuota e superficiale. Ci si chiede per esempio: una volta che gli aiuti arriveranno a questo “molo temporaneo”, come saranno distribuiti? Le principali istituzioni di Gaza in grado di mettere in atto una distribuzione su larga scala sono l’UNRWA – ora definanziata dalla maggior parte dei paesi occidentali – e il governo palestinese guidato da Hamas – che i paesi occidentali hanno deciso di distruggere. Dal momento che nessuno dei due sarà in grado di distribuire aiuti umanitari sul terreno e, come ha detto Biden, “non ci saranno stivali statunitensi sul terreno”, cosa ne sarà degli aiuti.

L’UNRWA è attiva dal momento immediatamente successivo all’approvazione della risoluzione 302 (IV) delle Nazioni Unite  nel 1949, da allora è stata la principale organizzazione che fornisce soccorso alle persone rifugiate dalla Palestina (che erano 750.000 quando l’UNRWA ha iniziato le sue operazioni e oggi sono 5,9 milioni). Il mandato dell’UNRWA è preciso: deve garantire il benessere delle persone rifugiate dalla Palestina, ma non può operare per insediarle permanentemente fuori dalle loro case. Questo perché la risoluzione 194 delle Nazioni Unite garantisce loro il “diritto al ritorno” alle case da cui sono state espulse dallo Stato israeliano. Sebbene il lavoro principale dell’UNRWA sia stato nel campo dell’istruzione (due terzi dei e delle 30.000 dipendenti dell’Agenzia lavorano per le sue scuole), è anche l’organizzazione più preparata per gestire la distribuzione degli aiuti.

L’Occidente ha permesso la creazione dell’UNRWA non perché forsse particolarmente preoccupato per i e le palestinesi, ma perché – come aveva osservato il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti  nel 1949 – le “condizioni di disagio e disperazione avrebbero fornito un focolaio molto fertile per il radicamento del comunismo”. Questo è il motivo per cui l’Occidente ha fornito fondi per l’UNRWA (anche se, dal 1966, questo è stato accompagnato da importanti restrizioni). All’inizio del 2024, la maggior parte dei paesi occidentali ha tagliato i  finanziamenti all’UNRWA sulla base di un’accusa infondata che legava alcuni suoi dipendenti all’attacco del 7 ottobre. Anche se recentemente è venuto alla luce che l’esercito israeliano ha torturato i dipendenti dell’UNRWA, ad esempio attraverso il waterboarding e le percosse, e li ha costretti a fare queste confessioni, la maggior parte dei paesi che hanno tagliato i loro finanziamenti sulla base di questi motivi non li hanno ancora ripristinati (con l’eccezione del Canada e della Svezia, che hanno recentemente ripreso i loro finanziamenti). Nel frattempo, diversi paesi del Sud del mondo, guidati dal Brasile, hanno aumentato i loro contributi.

Filippo Grandi, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati che ha diretto l’UNRWA dal 2010 al 2014, ha recentemente affermato che se “l’UNRWA non è autorizzata a lavorare, o è priva di fondi, non riesco a vedere chi possa sostituirla”. Nessun programma di aiuti umanitari per i e le palestinesi di Gaza è possibile nel breve periodo senza la piena collaborazione dell’UNRWA. Tutto il resto è una farsa di pubbliche relazioni.

Leggendo della carestia a Gaza, mi sono ricordato di una poesia scritta da Wisława Szymborska (1923-2012) sul campo di concentramento di Szebnie a Jasło (Polonia meridionale), dove erano detenuti ebrei polacchi, rom e prigionieri di guerra sovietici dal 1941 fino alla liberazione del campo da parte dell’Armata Rossa nel settembre 1944. Brutali e orribili violenze furono inflitte dai nazisti a Szebnie, in particolare contro le migliaia di ebrei che vi furono uccisi in esecuzioni di massa. La poesia di Szymborska, “Campo di fame vicino a Jasło” (1962), non indietreggia di fronte alla miseria che la circonda, né alla possibilità di umanità a cui anelava.

Scrivilo. Scrivilo. Con inchiostro ordinario
su carta ordinaria: non è stato dato loro da mangiare,
Morirono tutti di fame. Tutti. Quanti?
È un grande prato. Quanta erba
pro capite? Scrivi: non lo so.
La storia azzera gli scheletri.
Mille e uno è ancora solo mille.
Quell’uno sembra non essere mai esistito:
un feto fittizio, una culla vuota,
un sussidiario aperto per nessuno,
l’aria che ride, piange e cresce,
scale per un vuoto che si protende verso il giardino,
il posto di nessuno nei ranghi.

Si è fatto carne proprio qui, su questo prato.
Ma il prato tace, come un testimone che è stato comprato.
Assolato. Verde. Una foresta a portata di mano,
con legna da masticare, gocce sotto la corteccia da bere –
una vista servita ventiquattr’ore su ventiquattro,
fino a diventare cieco. Sopra, un uccello
la cui ombra sbatteva le sue ali nutritive
sulle loro labbra. A bocca aperta,
denti che battevano.

Di notte una falce brillava nel cielo
e mieteva il buio per i pani sognati.
Mani volavano da icone annerite,
ciascuno con in mano un calice vuoto.
Un uomo ondeggiava
su una griglia di filo spinato.
Alcuni cantavano, con la sporcizia in bocca. Quella bella canzone
della guerra che ti colpisce dritto al cuore.
Scrivi quanto è silenzioso.
Sì.

I dipinti e le fotografie di questa newsletter sono stati creati da artisti e artiste palestinesi uccisə a Gaza durante il genocidio israeliano. Sono mortə, ma dobbiamo vivere per raccontare le loro storie.

Con affetto,
Vijay

*Traduzione della undicesima newsletter (2024) di Tricontinental: Institute for Social Research.

Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.

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