Di Mauro Sommella – attivista di Potere al popolo! prima a Bratislava ora ad Amsterdam
Mai come in questa tornata le Elezioni del Parlamento Europeo sono riuscite a restituire la complessità dei sentimenti politici in voga nell’Unione Europa. Dai risultati emergono infatti tante specificità nazionali, spesso in controtendenza con il passato, e poche linee di fondo: una generale avanzata della destra cosiddetta “sovranista” (senza che ci sia stato pero’ “sfondamento”); il riscontro delle recenti mobilitazioni sul clima che si ritrova nella buona affermazione dei partiti Verdi; il continuo arretramento delle famiglie politiche europee tradizionali bilanciato, in molti casi, dalla crescita dei liberali. Tutto questo al netto di importanti eccezioni che riguardano in particolare la Spagna, con la chiara vittoria del Partito Socialista, ed anche l’Italia dove il malcontento, la sofferenza e la disperazione di un paese in continuo declino, hanno trovato in Salvini un nuovo interprete reazionario.
E la sinistra? poche e limitate soddisfazioni, segnale del fatto che la miriade di esperienze collettive che in questi anni hanno messo in pratica i valori della sinistra all’interno della società europea faticano ancora molto a sentirsi rappresentati politicamente dai partiti che hanno preso parte a queste elezioni.
In tale quadro e’ molto interessate osservare più da vicino quanto è successo nei paesi dell’Europa dell’Est, quelli legati dagli Accordi politici ed economici siglati a Visegrad nel 1991. Il primo dato e’ quello che viene sia dalla Polonia, il paese di gran lunga più grande e popoloso dell’area, che dall’Ungheria. È qui infatti che l’ondata sovranista sfonda – ma da queste parti non è una novità – grazie all’affermazione nettissima dei due partiti di governo: il PiS in Polonia (45%) e Fidesz del Presidente Orban in Ungheria (52%). Si tratta quindi non di un voto di protesta ma una sorta di conferma per delle forze che, da un lato, cavalcando la congiuntura economica favorevole, hanno attuato politiche sociali che hanno in parte sostenuto economicamente anche i ceti più poveri, ma che dall’altro lato hanno continuamente ristretto gli spazi di democrazia, segnato passi indietro giganteschi sui diritti civili e soffiato sugli istinti neo-nazisti (in Polonia, tra le altre cose, va segnalato anche un 8% dei partiti di estrema destra Konfederacja e Kukiz’15). Il tutto in un rapporto estremamente ambiguo e contraddittorio nei confronti dell’Unione Europea, tanto bistrattata quando si tratta di dare il proprio contributo su temi chiave come ad esempio la gestione dei flussi migratori, quanto ben accetta quando si tratta invece di ricevere i fondi europei, uno dei principali fattori che ha determinato la straordinaria crescita economica di questi due paesi da più di 10 anni a questa parte.
Sempre in Polonia, però, si afferma anche il raggruppamento elettorale – molto eterogeneo in verità – di Koalicja Europejska (Coalizione Europea) che raggiunge un significativo 38% e qualcosa si muove anche a sinistra, in particolar modo sul tema dei diritti civili e della tutela ambientale: Il neonato partito Wiosna (Primavera) dell’attivista LGBT Robert Biedrón si aggiudica infatti il 6%. Solo l’1,2% invece per la coalizione di sinistra Razem che, come i suoi cugini spagnoli di Podemos, in queste elezioni segna un po’ il passo.
Poca storia invece in Ungheria con Orban che sfonda il 50%, il liberali di sinistra del Demokratikus Koalíció (Coalizione Democratica) staccati al 16% ed i liberali pro-EU di Momentum al 9%.
Situazione un po’ diversa in Repubblica Ceca e in Slovacchia – paesi storicamente meno chiusi nei propri confini rispetto ai cugini sopracitati – dove si stanno sperimentando alcune esperienze interessanti. Il voto dei cechi e’ molto distribuito seppure primo partito risulta nettamente ANO 2011 (letteralmente “Azione dei Cittadini Insoddisfatti”), un movimento populista di centro-destra, moderatamente anti-EU e fondato dal milionario Andrej Babiš sull’onda dell’insoddisfazione, appunto, nei confronti dei partiti tradizionali. Solo 7 punti percentuali separano invece il secondo partito (l’altra formazione di centro-destra ODS, al 14%) dal settimo, il KSČM (Partito Comunista di Boemia e Moravia). Da segnalare la performance del Česká Pirátská Strana (Partito Pirata Ceco), terzo col 14% dei voti ed un programma basato su democrazia diretta, riforma del diritto d’autore e libertà d’informazione.
Nella Repubblica Slovacca, invece, debutta in Europa il giovanissimo partito Progresívne Slovensko (Slovacchia Progressista) della neo Presidentessa della Repubblica Zuzana Čaputová che raccoglie il 20% dei voti. Secondi i socialdemocratici del premier Pellegrini con il 15% ma preoccupa molto il 12% del SNS, partito apertamente neo-nazista, con il suo leader Marian Kotleba che dai suoi si fa chiamare “Duce”.
In un contesto dai paesi di Visegrad così variegato e caratterizzato principalmente da un generale consolidamento dell’estrema destra “sovranista” colpisce anche la sostanziale impermeabilità ai temi ambientali, questo in paesi dove l’inquinamento atmosferico e’ il più alto d’Europa. Allo stesso tempo si registra un netto incremento della percentuale dei votanti in relazione agli aventi diritto che, rispetto alle ultime Elezioni Europee del 2014, passa, in Polonia ad esempio, dal 24% al 43%.
Nel resto d’Europa, l’altra faccia di queste Elezioni per il Parlamento dell’Unione la si può trovare spostandosi ad Ovest, ad esempio in Olanda: un paese che ha un peso specifico relativo eleggendo soltanto 26 deputati ma che storicamente ha sempre influenzato parecchio le politiche di Bruxelles. Qui il primo partito con il 18,9% delle preferenze è quello dei socialdemocratici del PvdA di Frans Timmermans, che è anche il candidato del Partito Socialista Europeo alla presidenza della Commissione. Poco dopo, il partito liberale VVD del premier Rutte con il 14,6% e al terzo posto i popolari del CDA con il 12,1%. Delusione per l’estrema destra anti-islam e anti-EU del PVV (Partito della Liberta’) che non elegge deputati avendone ben 4 uscenti, mentre l’altro partito di destra, il FVD, raggiunge il 10,9%. Stessa percentuale per la Sinistra Verde (GroenLinks) che guadagna 5 punti percentuali rispetto a 5 anni fa, mentre la sinistra radicale del SP (Socialistische Partij) si ferma al 3,4% a differenza del Partito Animalista PvdD che conferma il suo seggio raggiungendo il 4%
Insomma, nessun exploit straordinario in un paese europeista “per natura” ma che dalle Elezioni Europee non si e’ mai lasciato entusiasmare (l’affluenza si e’ confermata bassa, al 42%). Anche qui, nonostante la cultura progressista e libertaria che permea la società olandese la sensazione è quella che manchi ancora una rappresentanza politica in grado di cambiare la natura delle istituzioni europee ingessate in un’opposizione per lo più di facciata tra i fautori del rigore finanziario degli stati e quelli che si illudono di poter risolvere le tensioni sociali ed il crescente impoverimento delle popolazioni europee chiudendo i confini, armando le frontiere e limitando gli scambi trai i paesi membri.