Contributo di Massimo Congiu
Il successo del partito Fidesz alle elezioni europee era ampiamente previsto. I sondaggisti avevano anche detto che avrebbe ottenuto oltre il 50% dei voti, com’è effettivamente accaduto. Il premier Viktor Orbán ha parlato di vittoria epocale, la vittoria degli ungheresi che vogliono prendere in mano il loro destino e far sì che il paese realizzi le sue aspirazioni. “L’Ungheria agli ungheresi e l’Europa agli europei” è il motto che racchiuderebbe il senso della lotta di Orbán e di tutti i cosiddetti sovranisti contro l’immigrazione e per la difesa dell’identità europea che per il primo ministro di Budapest è e non può essere altro che cristiana. Ancora una volta la campagna elettorale del governo ungherese ha avuto al centro la questione dei flussi migratori che secondo il medesimo mettono a repentaglio la sopravvivenza dell’Europa. Quella degli immigrati e dei pericoli che rappresenterebbero per i paesi europei è una carta che Orbán gioca con insistenza dal 2015, anno in cui i flussi verso il Vecchio Continente sono aumentati di intensità in modo considerevole. Da allora agita lo spauracchio dell’invasione di migranti musulmani agevolata dalla tecnocrazia di Bruxelles, dal magnate ebreo-americano di origine ungherese George Soros attraverso una serie di ONG sue o a lui in qualche modo riconducibili, e molta gente gli crede. Non importa che i migranti che quattro anni fa affollavano le principali stazioni di Budapest non avessero nessuna intenzione di restare nel paese ma aspettassero i primi treni per andare in Germania e in Austria, non importa che l’Ungheria non sia un paese di immigrazione, l’allarme è scattato e molti connazionali di Orbán si sono lasciati convincere da una propaganda martellante, continua che è propria dei sistemi autoritari. Una propaganda che, ad esempio, nel caso delle elezioni europee invitava la gente a sostenere il programma di Orbán, consistente nel fermare i flussi migratori, e che in generale indica agli ungheresi i nemici del paese (Soros, i tecnocrati dell’Ue, per esempio) e magnifica le conquiste fatte dall’Ungheria grazie all’attuale sistema di potere: crescita economica, sicurezza, sostegni a favore delle famiglie. Questi messaggi assumono ad esempio la forma di spot e di piccoli e grandi manifesti propagandistici che riempiono le città e le strade del paese. Grazie a questa campagna incentrata sul pericolo migranti ha vinto le politiche dell’anno scorso e le europee di quest’anno. Il governo magnifica le sue conquiste ma vi sono dati secondo i quali ci sarebbero nel paese almeno 3 milioni di poveri e un terzo della popolazione, che conta meno di 10 milioni di abitanti, guadagnerebbe meno di 125 mila fiorini al mese (circa 390 euro). L’esecutivo va dritto per la sua strada e fa del suo meglio per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da questi problemi. Di fronte ha un’opposizione tuttora frammentata e incapace di dar luogo a schieramenti che possano offrire un’alternativa politica concreta. L’opposizione di centro-sinistra ha giocato la carta dell’Ungheria in Europa, democratica e intenta a condividere i valori su cui si basa l’Ue. L’accusa rivolta al governo è di aver spinto il paese verso una deriva sempre più antidemocratica e antieuropea e di aver privato il medesimo di una dialettica degna di ogni sistema autenticamente democratico. In effetti anche stavolta la campagna elettorale si è svolta senza che siano stati organizzati dei contraddittori pubblici fra il governo e i suoi avversari per il semplice fatto che l’esecutivo non degna i suoi oppositori di alcuna considerazione vedendoli come residui ormai inutili di sistemi liberali decaduti e incapaci di dare risposte ai bisogni che i popoli mostrano di avere attualmente. Soprattutto bisogni di sicurezza e di mantenimento delle loro identità, termine quest’ultimo oggi abusato e strumentalizzato dai leader nazional-populisti e dai loro sostenitori. Tornando al voto europeo v’è da dire che qualche sorpresa c’è stata: il balzo al secondo posto della Coalizione Democratica (DK, centro-sinistra), quello in avanti di Momentum, partito giovanile di ispirazione liberale e antiorbaniana che l’anno scorso ha partecipato per la prima volta alle politiche ungheresi fermandosi al 3,08% e quest’anno manda due deputati al Parlamento europeo. In ulteriore perdita di consensi i socialisti dell’MSZP in coalizione con Párbeszéd (Dialogo) e Jobbik. Quest’ultimo è nato come partito di estrema destra e ultimamente è impegnato a farsi percepire come forza politica conservatrice e moderata senza però ottenere risultati convincenti. Insomma, l’Ungheria è sempre in mano al partito governativo Fidesz e il cambiamento sembra ancora lontano.