Il presidente del Consiglio Conte ha annunciato nei giorni scorsi l’imminente entrata in vigore del cosiddetto “Decreto Agosto”, approvato dal Consiglio dei Ministri “salvo intese tecniche”. Si tratta della terza manovra eccezionale varata dal governo Conte bis dallo scoppio della pandemia da Covid-19.
Accomuna questo decreto a quelli precedenti la logica sottostante, e cioè la totale accettazione del principio per cui qualunque provvedimento economico e sociale è pensabile solo a partire dalla convenienza delle imprese. Del resto la stessa recente desecretazione dei verbali delle riunioni del Comitato tecnico-scientifico – che ha reso nota la richiesta, rimasta inascoltata dal governo, di allargare ai primi di marzo la zona rossa ai comuni di Alzano Lombardo e Nembro, cosa che avrebbe portato al lockdown di molte imprese ma anche certamente al maggiore controllo della diffusione del Covid – ha solo confermato, se mai ce ne fosse stato bisogno, quanto decisiva sia stata e sia l’influenza di Confindustria sulle scelte governative.
Più facile notare, esaminando le dichiarazioni, cosa in questa manovra non ci sia. Nessun piano straordinario di potenziamento del servizio sanitario pubblico, nessun intervento strutturale a sostegno della scuola pubblica che rimane in balìa della più totale improvvisazione, nessun ombra di ripresa del controllo pubblico dell’economia a salvaguardia delle risorse strategiche e dei lavoratori, nessuna speranza per un minimo passo verso la redistribuzione della ricchezza, nessuna misura per le lavoratrici e i lavoratori stagionali, drammaticamente colpiti dalla crisi del settore turistico.
Il lavoro di questo governo continua a mettere al centro gli interessi delle imprese, sperando in improbabili e comunque insufficienti effetti di “sgocciolamento” della ricchezza al resto della società, e mancando completamente l’occasione di un ripensamento strutturale della gestione dell’economia nel nostro paese.
12 miliardi, sui 25 totali, andranno infatti a sostegno diretto delle imprese: contributi a fondo perduto, incentivi, bonus e sgravi fiscali di vario tipo, proroga della cassa integrazione, usata nel 30% dei casi, durante il lockdown, da imprese che non avevano avuto alcun calo nel fatturato. Nessun provvedimento per la riduzione dell’orario di lavoro come pure era stato annunciato e soprattutto un altro gravissimo cedimento a Confindustria sui licenziamenti. Che non vengono più bloccati fino a fine anno, ma invece sbloccati a partire dal 15 novembre con il rischio di una vera catastrofe sociale in autunno. È incredibile che CGIL CISL UIL, che pure avevano minacciato lo sciopero generale in caso di mancato rinnovo del blocco, ora approvino una misura che va nella direzione esattamente contraria.
Anche sulla questione del Sud, buona per tutte le stagioni, le solite dichiarazioni di intenti, i soliti parametri delle linee politiche che hanno accentuato drammaticamente, negli ultimi decenni, lo squilibrio interno al paese. Le misure “rivoluzionarie” per il Meridione? Ancora e sempre agevolazioni fiscali alle imprese! “Abbattiamo del 10% il costo del lavoro per tutti i lavoratori, assunti non assunti”, come dice il ministro del Sud Provenzano.
Un piano di provvedimenti che del resto, come esplicitamente precisato dal Ministro dell’Economia Gualtieri, anticipa le misure strutturali del prossimo piano (che il governo presenterà a ottobre) legato al Recovery Fund, ultimo ritrovato dell’Unione Europea la cui logica abbiamo già visto ampiamente all’opera in questi anni: aiuti in cambio di riforme liberiste e austerità e tagli nella spesa pubblica.
In conclusione, un intervento governativo che, nonostante probabilmente i fondi così stanziati “a pioggia” riusciranno per qualche mese a mitigare le ripercussioni più drammatiche della crisi, prosegue in una direzione sbagliata, fatta di provvedimenti di corto respiro, di incentivi alle imprese, rimborsi per pratiche “virtuose” (si veda tutta la questione del cashback), non cogliendo assolutamente la portata della crisi del modello economico e sociale e la necessità di un’inversione di rotta radicale.
Sarebbe infatti il momento di operare una svolta strategica dell’economia italiana, rimettendo al centro il settore pubblico con un piano straordinario di assunzioni a tutti i livelli e di ripubblicizzazione delle risorse strategiche. Noi sappiamo che non c’è uscita dalla crisi di un intero modello di sviluppo senza costruire un’alternativa reale, rompendo con ricette dimostratesi fallimentari, su cui il governo e tutto l’arco politico continuano invece a perseverare.