Nel 1930, Clément Fraisse (1901-1980), un pastore della regione francese della Lozère, fu rinchiuso in un ospedale psichiatrico dopo aver tentato di incendiare la fattoria dei suoi genitori. Per due anni fu tenuto in una cella buia e stretta. Usando un cucchiaio, e poi il manico del suo vaso da notte, Fraisse incise immagini simmetriche nelle pareti di legno grezzo che lo circondavano. Nonostante le condizioni disumane in questi ospedali psichiatrici, Fraisse ha realizzato bellissime opere d’arte nell’oscurità della sua cella. Non lontano dalla Lozère si trova il monastero di Saint Paul de Mausole a Saint-Rémy-de-Provence, dove Vincent van Gogh era stato confinato quattro decenni prima (1889-1890) e dove completò circa 150 dipinti, tra cui diverse opere importanti (tra cui La notte stellata, 1889).
Je so’pazzo, je so’ pazzo.
C’ho il popolo che mi aspetta.
…
Nella vita voglio vivere almeno un giorno da leone.
Oggi, l’Ex OPG è sede di sportelli legali e medici, una palestra, un teatro e un bar. È un luogo di riflessione, un centro popolare che ha lo scopo di costruire comunità e affrontare la solitudine e la precarietà del capitalismo. Si tratta di un’istituzione rara nel nostro mondo, in cui una società esausta è sempre più isolata e dove le persone, rinchiuse in una prigione di aspirazioni frustrate, sperano comunque di usare i loro miseri strumenti (un cucchiaio, il manico di un vaso da notte) per ritagliarsi i loro sogni e raggiungere il cielo stellato.
Se è vero che la pandemia di COVID-19 ha aggravato i problemi di salute mentale in tutto il mondo, questa crisi è precedente al coronavirus. Le informazioni del Global Health Data Exchange mostrano che nel 2019 – prima della pandemia – una persona su otto, ovvero 970 milioni, in tutto il mondo aveva un disturbo mentale, con 301 milioni di persone che lottavano con l’ansia e 280 milioni con la depressione. Questi numeri dovrebbero essere visti come una stima, un quadro minimo della grave crisi di infelicità e disadattamento all’ordine sociale presente.
Ci sono una serie di disturbi che vanno sotto il nome di “disturbo mentale”, dalla schizofrenia alle forme di depressione che possono portare all’ideazione suicidaria. Secondo il rapporto 2022 dell’OMS, un adulto su 200 lotta con la schizofrenia, il che si traduce in media in una riduzione dell’aspettativa di vita da dieci a vent’anni. Nel frattempo, il suicidio, la principale causa di morte tra le persone giovani a livello globale, è responsabile di un decesso su 100 (si tenga presente che solo un tentativo su venti si traduce in un decesso). Possiamo fare nuove tabelle, rivedere i nostri calcoli e scrivere rapporti più lunghi, ma niente di tutto ciò può placare il profondo abbandono sociale che pervade il nostro mondo.
Nel corso dell’ultimo secolo, la risposta ai disturbi di salute mentale è stata prevalentemente individualizzata, con trattamenti che vanno da varie forme di terapia alla prescrizione di diversi farmaci. Parte del fallimento nell’affrontare la gamma di crisi della salute mentale – dalla depressione alla schizofrenia – è stato il rifiuto di accettare che questi problemi non sono solo influenzati da fattori biologici, ma possono essere – e spesso sono – creati ed esacerbati dalle strutture sociali. La dottoressa Joanna Moncrieff, una delle fondatrici del Critical Psychiatry Network, scrive che “nessuna delle situazioni che chiamiamo disturbi mentali è stata dimostrata in modo convincente derivare da una malattia biologica”, o più precisamente, “da una specifica disfunzione di processi fisiologici o biochimici”. Questo non vuol dire che la biologia non abbia un ruolo, ma semplicemente che non è l’unico fattore che dovrebbe plasmare la nostra comprensione di tali disturbi.
Nel suo classico La società sana di mente (1955), Erich Fromm (1900-1980) si basò sulle intuizioni di Karl Marx per sviluppare una lettura precisa del panorama psicologico in un sistema capitalista. Le sue intuizioni meritano di essere riconsiderate (perdonate l’uso da parte di Fromm dell’uso maschile della parola ‘uomo’ e del pronome ‘suo’ per riferirsi a tutta l’umanità):
Il fatto che l’individuo sia sano o meno non è in primo luogo una questione individuale, ma dipende dalla struttura della sua società. Una società sana promuove la capacità dell’uomo di amare i suoi simili, di lavorare in modo creativo, di sviluppare la sua ragione e la sua oggettività, di avere un senso di sé che si basa sull’esperienza delle proprie forze produttive. Una società malsana è quella che crea ostilità reciproche, diffidenze, che trasforma l’uomo in uno strumento di utilità e di sfruttamento per gli altri, che lo priva del senso di sé, se non nella misura in cui si sottomette agli altri o diventa un automa. La società può avere entrambe le funzioni; può favorire il sano sviluppo dell’uomo e può ostacolarlo; In realtà, la maggior parte delle società fa entrambe le cose, e la domanda è solo fino a che punto e in quali direzioni viene esercitata la loro influenza positiva e negativa.
“La depressione è noiosa, credo”, scriveva la poetessa Anne Sexton (1928-1974). “Farei meglio a fare un po’ di zuppa e illuminare la grotta”. Quindi prepariamo la zuppa in un centro comunitario, prendiamo chitarre e bacchette, balliamo e balliamo e balliamo fino a quando non arriverà a tutti e tutte l’irrefrenabile desiderio di unirsi alla guarigione della nostra umanità spezzata.
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della trentanovesima newsletter (2024) di Tricontinental: Institute for Social Research.
Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.