La vicenda dei lavoratori e delle lavoratrici del contact center GSE va avanti da dieci anni e ancora non sembra trovare pace.
Si tratta di un caso assai importante, le cui caratteristiche riassumono i problemi degli ultimi 30 anni.
All’inizio degli anni ‘90, infatti, con l’erosione del welfare, lo Stato inizia ad essere utilizzato ad esclusivo beneficio del capitale, prima economico e dopo finanziario, e la sorte dei lavoratori e delle lavoratrici appare segnata e destinata ad una deriva di regressione.
Vengono messe in atto azioni finalizzate a comprimere i salari e a distruggere i diritti duramente conquistati in anni di lotte. Persino il mondo del lavoro statale o para-statale fu progressivamente colpito da privatizzazioni ed esternalizzazioni.
Furono gettate così le basi per il sodalizio tra lo Stato e l’impresa privata. Il primo finanziava il secondo tramite appalti cuciti su misura, sussidi e agevolazioni fiscali.
I soldi pubblici andavano così ad incrementare i profitti di poche persone e ad aumentare la concentrazione della ricchezza, aprendo le porte ad una crisi dalla quale, ad oggi, non siamo ancora riusciti ad uscire.
Anche in questi ultimi mesi in cui si parla con insistenza di transizione ecologica, posta in teoria al centro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), vediamo che la logica purtroppo non cambia.
Il Gse – Gestore servizi energetici – è un Ente controllato al 100% dal Ministero Economia e Finanze e passato da poco sotto la guida del nuovo Ministero per la Transizione Ecologica, è il quarto Ente italiano e gestisce un giro di affari di circa 14 miliardi di euro all’anno, che arrivano dalle nostre bollette, voce oneri (circa il 21% del totale).
Nonostante la disponibilità delle risorse del Pnrr, piano che prevede importanti investimenti nelle fonti rinnovabili, il Contact Center non è messo nella condizione di lavorare per fornire assistenza alla sua utenza nelle nuove sfide che il futuro delle rinnovabili prospetta.
Facendo un passo indietro è opportuno ricordare che la storia del Contact Center è una storia di appalti e subappalti che per anni hanno sballottato i lavoratori da un’azienda a un’altra, passando da concordati, fallimenti e affitti di ramo di azienda. I dipendenti però sono sempre gli stessi, così come la sede in cui hanno operato per la maggior parte di questi anni. Un’incredibile storia di matrioske e scatole cinesi in cui le aziende private intascavano soldi pubblici, senza di fatto metterci nulla, mentre i lavoratori venivano mantenuti in uno stato di costante precarietà.
Nel 2015 però i lavoratori decidono di intraprendere una battaglia giudiziaria contro la stazione appaltante GSE denunciando l’illiceità dell’appalto.
Il ricorso diviso in due gruppi dal Tribunale stesso, seguiti dallo stesso avvocato, quindi assolutamente identici, ha avuto esiti opposti.
Una parte dei lavoratori ha vinto il ricorso, venendo internalizzata da GSE e, pochi mesi fa, la Corte di Appello di Roma ha riconfermato con dispositivo la sentenza di primo grado e ha ribadito nuovamente che l’appalto è illecito.
L’altra parte dei lavoratori, finita con Almaviva ad oggi 72 dipendenti della sede di Roma quelli “infungibili” (ovvero insostituibili), hanno avuto esito dal Tribunale di Roma diametralmente opposto.
Nel frattempo altre 4 sentenze hanno stabilito che l’appalto fosse illecito. Insomma ad oggi abbiamo 4 sentenze che confermano quanto asserito e denunciato dai lavoratori, ovvero, che l’appalto è illecito.
Nel 2016 Almaviva Contact – la stessa azienda che nel dicembre 2016 licenzia 1666 lavoratori della sede di Roma – si aggiudica l’appalto con il GSE.
Occorre aggiungere che in quasi 2 anni di pandemia Almaviva Contact ha applicato percentuali di ammortizzatore che toccano picchi del 50%, e crea sconcerto il fatto che GSE riversi soldi pubblici a fornitori privati, i quali socializzano i loro costi (rischio d’impresa) attraverso gli ammortizzatori sociali.
Insomma il privato ci guadagna 2 volte, con la commessa e con la cassa integrazione, il pubblico paga 2 volte per la commessa e per finanziare la cassa integrazione.
I conti come sempre non tornano!
Tutto questo con il beneplacito della stazione appaltante che ricordiamo essere Gestore dei servizi energetici GSE S.p.A. società per azioni interamente partecipata dallo Stato.
I lavoratori e le lavoratrici sono in sciopero ormai dal 13/12/2021 dopo aver appreso la notizia del rigetto del ricorso in Corte d’Appello e dell’apertura, da parte di Almaviva Contact, della procedura di cassa integrazione ordinaria.
Dopo aver appreso che lo stanziamento di base della nuova gara d’appalto è pari a 15.000.000,00 di Euro in cinque anni – il precedente bando stanziava come base un importo pari a 35.500.000,00 Euro – con la clausola sociale che ad oggi prevede l’assorbimento delle risorse in forze alla commessa ma che non garantisce il mantenimento dei diritti (stesso CCNL ,stesso livello, anzianità, Art.18 etc etc).
Il nuovo bando prevede un importo base che è un terzo del precedente ed è facile comprendere che si vuole staccare la spina, si vuole ridurre il numero di operatori impiegati sulla commessa obbligandoli a fare una scelta al ribasso, una scelta alla rinuncia che non è una scelta.
Il Gse sta mettendo in atto un’opera di digitalizzazione del servizio spersonalizzante e a scapito del servizio reso gli utenti finali e che vede come vittime i lavoratori, personale che in dieci anni ha acquisito competenze tecniche specifiche difficilmente sostituibili da un algoritmo.
E’ necessario un profondo cambio di rotta che coinvolga le istituzioni, le imprese e la collettività tutta, è necessario comprendere i valori di un’economia sostenibile, e per sostenibile non intendiamo il solo aspetto di basso impatto ambientale, ma anche sociale.
Innovare e costruire un mondo più giusto, equo e sostenibile non può essere contrapposto alla precarietà e non può essere realizzato sulla pelle dei lavoratori.
Non può essere realizzato arricchendo i privati, non può essere raggiunto aumentando le disuguaglianze.
Non si può pensare alla sostenibilità ambientale basandosi su un sistema di appalti che elude la responsabilità delle vite dei lavoratori e dei diritti.
Le lavoratrici i lavoratori sono in sciopero a oltranza per l’internalizzazione del servizio, una lotta portata avanti con caparbietà perché, anche in una situazione di emergenza come è la pandemia che ci coinvolge tutti, pur con la responsabilità che sembra essere prerogativa più dei lavoratori che dei padroni, si può e si deve lottare per i propri diritti.
Una ingiustizia fatta a uno è una minaccia per tutti.
#insorgiamo.