In Belgio siamo quasi alla terza settimana di confinamento e già dai primi giorni abbiamo capito che questa crisi avrebbe avuto un impatto doloroso sulle nostre vite, sui nostri bassi salari e sui nostri pochi risparmi. Per questo ci siamo chiesti: possiamo essere utili pur non potendo avere un contatto diretto con chi sta messo come noi? Alla fine non sappiamo se risultiamo, ma ci striamo provando.
Ci siamo fin da subito messi in ascolto dei nostri compatrioti immigrati in Belgio e le storie che abbiamo raccolto sono le stesse che possono sentirsi in Italia. Ci sono persone costrette ad andare a lavoro senza essere protette adeguatamente, altre che sono state messe in cassa integrazione perdendo parecchi soldi, altre che manco a quella hanno diritto. Anche chi lavora da casa, per quanto riesca a tutelare salute e reddito, si ritrova in una condizione di disagio: lavorare da casa, in spazi piccoli, magari con bambini a seguito, sta determinando diversi casi di affaticamento estremo.
Alla luce di questo, abbiamo cercato di raccogliere informazioni pratiche e suggerire strade percorribili a tutti. Tuttavia ci siamo dedicati con maggiore attenzione ai
• cassaintegrati che hanno visto il proprio reddito scendere drasticamente e che non riescono ad arrivare a fine mese;
• lavoratori a nero, agli studenti e alle persone in cerca d’impiego, tutti esclusi da qualsiasi forma di prestazione contributiva (malattia, disoccupazione “classica”, cassa integrazione).
Non sono storie di marginalità. Sono le nostre storie: quelle di lavoratori e lavoratrici, spesso immigrati, sul cui sfruttamento si reggono interi settori produttivi, come la ristorazione, l’edilizia, i servizi di cura e le pulizie. In seguito all’emergenza del Covid-19 e alla sua gestione priva di prospettiva sociale, siamo proprio noi a pagare il prezzo più alto.
Tuttavia, almeno sulla carta, qui in Belgio, i cittadini che si ritrovano senza risorse proprie, hanno diritto ad esigere le prestazioni assistenziali – una sorta di reddito di cittadinanza – presso un ufficio del proprio Comune di residenza (CPAS/OCMW). Diciamo in teoria perché negli ultimi anni l’OE (Office des Etrangers, l’ufficio degli stranieri che dipende dal Ministero dell’Interno) spesso e volentieri ha espulso – amministrativamente, non in maniera coatta – i cittadini comunitari che hanno osato avanzare questa richiesta d’aiuto. Espulsi perché reputati come dei “pesi irragionevoli” per lo stato belga che non può, per usare un mantra che ha fatto breccia anche a sinistra, “accogliere tutta la miseria del mondo”. Senza entrare nello specifico di come si articola la normativa europea sulla libertà di circolazione, la legislazione sociale belga e la pratica dell’OE, noi abbiamo fatto le nostre inchieste fino a risalire alla fonte: l’ufficio degli stranieri ci ha confermato che nel corso dei primi 3 mesi d’aiuto dato dai Comuni al cittadino bisognoso, il dossier non viene “attenzionato” dall’OE. Che poi, anche qualora venisse analizzato, difficilmente l’OE potrebbe fare granché, per due ragioni. Da un lato, la libertà di circolazione è sospesa quindi non si può lasciare il suolo belga; dall’altro, davanti un ricorso, un giudice valuterebbe ragionevole l’aiuto concesso al cittadino quando il mercato del lavoro è, in parte, bloccato.
Tutte queste informazioni non sono divulgate pubblicamente dall’OE e questo ha un doppio effetto: chi è a conoscenza di questo diritto per paura di farsi espellere non lo richiede, mentre chi non ne è a conoscenza continua a rimanere senza informazioni. Abbiamo quindi lanciato una campagna per dare concretezza a questo diritto, senza che rimanga lettera morta! Abbiamo pensato che visto che i soldi e i canali per distribuirli ci sono, non avesse senso lanciare nuove parole d’ordine.
Tutto questo lo abbiamo fatto per una questione di salute pubblica: più persone sono tutelate e possono restare a casa per limitare il contagio, meglio è per tutti i lavoratori della sanità e per la popolazione. E per una questione sociale: dobbiamo evitare che queste persone siano costrette ad andare a vendersi al primo offerente, pur di avere un briciolo di reddito, determinando una concorrenza al ribasso a scapito dei propri colleghi (non sorprende trovare sponsorizzazioni fb che recitano “sei cassaintegrato? Vieni a lavorare per noi in questo magazzino”).
In sintesi:
– abbiamo inchiestato, raccogliendo testimonianze e denunce e mettendo i nostri canali di comunicazione a disposizione delle persone che ci hanno fatto domande e raccontato le loro storie.
– stiamo facendo mutualismo indicando come e perché esigere i diritti previsti dalla sicurezza sociale. Stiamo dando costantemente informazioni chiare sul sistema, sulle sue contraddizioni, sui suoi pregi, difetti e sulle sue zone d’ombra.
– stiamo esercitando controllo popolare. Stiamo contattando giunte e consigli comunali, a cui ricordiamo che esercitano le loro funzioni anche grazie ai voti dei cittadini stranieri. Mai come ora dovrebbero semplificare e promuovere le procedure per concedere questo diritto all’assistenza sociale.
– stiamo portando avanti una rivendicazione: anche se si tratta di una misura di urgenza e parziale, faremo di tutto per ottenere una comunicazione pubblica da parte dell’OE che affermi nero su bianco quanto ci hanno confermato per telefono: anche se è un diritto temporaneo, lo si può richiedere e lo si deve concedere.
– una gran parte di questo lavoro lo stiamo facendo “aggredendo” i social network: la nostra pagina è attiva costantemente, rispondiamo quasi all’istante ai messaggi che ci arrivano, carichiamo i nostri post sui diversi gruppi di emigrati in Belgio.
Una volta passata la crisi dovremo organizzarci per far pagare i veri responsabili. Potremo così rifinanziare la sicurezza sociale, estenderla e investire nei servizi pubblici, dirigendoci insieme verso una società più giusta e solidale. Potere al popolo!