Giorgio Gori, alla Fiera dei Librai di Bergamo, è stato chiaro: “Troppe case popolari agli immigrati”. Questo è un punto di non ritorno. Il sindaco mostra incapacità nel leggere un problema reale che marchia la vita di migliaia di famiglie in città e provincia, che come Comitato di Lotta per la Casa denunciamo da anni: non è certamente legato all’assegnazione, ma alla strutturale mancanza di case da mettere a disposizione di chiunque ne abbia bisogno, che sia nato a Bergamo o meno.
Ma non solo. Queste parole fanno emergere violenza insita nelle parole stesse perché sono intrise di un nemmeno troppo strisciante razzismo che fa delle persone migranti cittadini di serie B e rende evidente la totale assenza di volontà nel costruire politiche che siano capaci di rispondere ai bisogni delle persone.
Senza dilungarci troppo nello spiegare che i parametri di assegnazione per vedersi attribuita una casa popolare, il criterio è costruito semplicemente per agevolare coloro che stanno peggio: coloro che hanno uno sfratto esecutivo che rischia di mandarli a vivere per strada o coloro che hanno perso il lavoro.
Vogliamo però ricordare che tra i tanti requisiti c’è quello che prevede 5 anni di residenza consecutivi in Lombardia: i migranti che possono far domanda di casa popolare sono persone perfettamente inserite nella nostra società, persone che lavorano o hanno lavorato in questa città, che mandano i propri figli a scuola e che contribuiscono, come tutti gli altri, a fare di Bergamo la città che conosciamo.
Se tra le 1200 famiglie che si presentano ogni anno agli sportelli per chiedere una casa ci sono persone che non sono nate qui è dovuto solamente al fatto che, come sempre, i primi a pagare sulla propria pelle la crisi e l’opportunismo di un sistema economico malato sono i soggetti più deboli, meno tutelati: guarda caso i migranti.
Il sistema di assegnazione è sicuramente migliorabile: lo diciamo e chiediamo da anni. Ma migliorarlo significa rispondere a chiunque ne abbia bisogno non solo ad alcuni, perché diversamente da così non solo sarebbe incostituzionale, ma si trasformerebbe in quella discriminazione istituzionale che veicola e legittima movimenti, partiti e azioni che hanno come scopo la emarginazione, l’esclusione e la ghettizzazione. E tutto ciò non sarebbe dissimile da quanto affermato da Fontana durante la campagna elettorale per le regionali.
Se le decine di milioni di euro che sono stati spesi in housing sociale – ovvero case che sulla carta dovrebbero rispondere alla classe media ma che nella realtà non lo fanno perché affittate a canoni di mercato e con requisiti di accesso che tagliano fuori il 90% di coloro che hanno necessità – fossero stati spesi nell’implementazione del numero di case popolari a disposizione, il problema della casa oggi sarebbe molto meno accentuato.
Ma la ringraziamo per quest’affermazione. Infatti è da un po’ di tempo che il pensiero e le pratiche della compagine della destra populista italiana (perfettamente interpretata dalle sparate continue di Salvini e Fontana) e di quella che si dichiara di sinistra (del PD suo, di Renzi e di Nardella) sono sempre meno distinguibili e pericolosamente vicine. Ora più di prima, è perfettamente chiaro come non esista nessuna differenza di vedute e di pensiero tra chi si dichiara di sinistra e chi di destra.
Ecco perché è necessario costruire, dal basso e concretamente, un’alternativa reale. Un’alternativa capace di individuare problemi, responsabili e soluzioni. Un’alternativa capace di spazzare via questa classe politica così inopportuna, offensiva e, come ci ha dimostrato, razzista.