
Leggere i documenti del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) mi rende cupo. Tutto sembra terribile. Ciò è dovuto in gran parte ai processi sociali messi in moto dal capitalismo, compreso lo sfruttamento intensivo della natura e la dipendenza dai combustibili fossili. Ad esempio:
1. Degli otto milioni di specie di piante e animali presenti sul pianeta, un milione è a rischio di estinzione.
2. La principale minaccia per la maggior parte delle specie a rischio di estinzione è la perdita di biodiversità causata dalla produzione capitalista dell’agroalimentare.
3. La produzione agricola – che attualmente rappresenta oltre il 30% della superficie terrestre abitabile – è responsabile dell’86% delle perdite previste di biodiversità terrestre a causa della conversione dei terreni, dell’inquinamento e del degrado del suolo.
Questi sono solo tre dei centinaia di punti che potrebbero essere sollevati da altrettanti documenti scientifici. È importante sottolineare il fatto che il degrado ambientale non è stato causato dagli esseri umani in generale, ma da un determinato sistema di organizzazione della società che chiamiamo capitalismo.
Il problema del termine Antropocene (iniziato ad essere utilizzato prima nelle scienze naturali, poi nelle scienze sociali) è che implica che gli esseri umani – come un insieme indifferenziato – abbiano creato la crisi ecologica che stiamo affrontando. Ciò minimizza il ruolo del sistema capitalista e delle divisioni di classe e nazioni che lo accompagnano. Tuttavia, i dati mostrano che l’umanità sta utilizzando l’equivalente di circa 1,7 Terre per sostenere i nostri attuali livelli di consumo. In altre parole, stiamo consumando le risorse naturali a un ritmo 75% più veloce di quello con cui la natura è in grado di rigenerarle ogni anno. A meno che non troviamo un altro pianeta abitabile, non esiste un modo aritmetico per risolvere il problema. Non si tratta solo di una questione climatica, ma anche dello stress ambientale che abbiamo causato alla Terra (ad esempio attraverso la deforestazione, la pesca eccessiva, l’uso eccessivo di acqua dolce e il degrado del suolo).
Se scomponiamo questo concetto indifferenziato di umanità per Paese, emergono divisioni nette. Se tutti vivessero come una persona media negli Stati Uniti, avremmo bisogno di cinque Terre. Se tutti vivessero come una persona media nell’Unione Europea, avremmo bisogno di 3 Terre. Se tutti vivessero come un indiano, avremmo bisogno di 0,8 Terre. Se tutti vivessero come una persona dello Yemen, avremmo bisogno di 0,3 Terre. Un concetto indifferenziato di umanità nasconde le grandi differenze esistenti nel mondo e sopprime il bisogno di alcuni popoli, come quello yemenita, di aumentare i propri consumi per poter vivere in modo dignitoso.
Il concetto di Antropocene nasconde più di quanto riveli.
Tra pochi mesi, i jet privati atterreranno a Belém, in Brasile, per la COP30. Situata all’estuario del fiume Amazzonia, Belém è il luogo ideale per il trentesimo anniversario della Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Negli ultimi venticinque anni, la regione amazzonica ha sofferto una terribile deforestazione: solo l’Amazzonia brasiliana ha registrato una perdita totale di foreste pari a 264.000 chilometri quadrati tra il 2000 e il 2023, equivalente alla superficie complessiva della Nuova Zelanda e del Regno Unito. L’intenso programma di conservazione portato avanti dal presidente brasiliano Lula da Silva ha compiuto notevoli progressi nell’invertire questa tendenza, ma è necessario andare oltre. Tenere la COP30 a Belém sarà un messaggio forte non solo per salvare l’Amazzonia, ma anche per mettere in evidenza il futuro del pianeta e dell’umanità.
Il nostro team in Brasile sta attualmente lavorando a una serie di pubblicazioni sulla crisi capitalista del clima e dell’ambiente che saranno distribuite alla COP30. Dalla nostra analisi emerge già chiaramente che non c’è alcuna soluzione nel “capitalismo verde”; come ha scritto Jason Hickel in una delle nostre newsletter panafricane, è il capitalismo stesso il problema che dobbiamo affrontare. Di seguito trovate alcune richieste preliminari che vanno oltre la facciata del capitalismo verde.
1. Il dibattito sul clima e l’ambiente deve essere democratizzato. Non c’è spazio per riunioni a porte chiuse finanziate da aziende che hanno un interesse diretto nella distruzione dell’ambiente e del clima. Ad esempio, la COP29 di Baku, in Azerbaigian, è stata in parte finanziata da compagnie petrolifere come ExxonMobil, Chevron, Octopus Energy, la Compagnia petrolifera statale della Repubblica dell’Azerbaigian e TotalEnergies, nonché dalla Camera di commercio degli Stati Uniti e dal Forum Economico Mondiale WEF (a sua volta in parte finanziato dal governo statunitense). Chi paga il pifferaio sceglie la melodia, un adagio che non è privo di significato quando si tratta di denaro e potere. Una conferenza delle Nazioni Unite di questo tipo deve essere finanziata dai governi e garantire la trasparenza delle discussioni che si svolgono in tutte le riunioni.
2. I governi mondiali devono rafforzare i propri accordi e gli obblighi previsti dai trattati. È importante notare che, a causa delle pressioni esercitate dagli Stati Uniti e dall’Unione europea, nessuno dei principali accordi sul clima ha adottato un linguaggio forte in materia di risarcimento, o di ciò che è noto come “perdite e danni” (cioè riparazioni climatiche). I contributi al fondo per le perdite e i danni sono volontari, come dimostrano una serie di processi e trattati, dalla UNFCCC del 1992 al Meccanismo internazionale di Varsavia del 2013, all’Accordo di Parigi del 2015, al Patto di Glasgow sul clima del 2021 e all’accordo sul Fondo per le perdite e i danni del 2022.
3. Deve esserci un piano di transizione energetica equo e democraticamente definito. Tale piano deve includere la fine dei sussidi governativi alle aziende private che producono combustibili fossili. Questi fondi devono invece essere utilizzati per promuovere un nuovo mix energetico e proteggere le comunità dagli effetti negativi del cambiamento climatico e delle catastrofi ambientali.
4. L’economia globale deve essere riformata attraverso una riforma agraria. Tale riforma deve privilegiare un’agricoltura democratica e scientifica che protegga il suolo, l’acqua e l’aria. I governi devono condurre studi per valutare cosa significhi ristrutturare l’agricoltura al fine di affrontare la catastrofe climatica e ambientale. Abbiamo bisogno di nuove forme di mappatura agro-climatica e di dati che ci aiutino a capire come sfruttare le conoscenze delle comunità locali per proteggere l’ecosistema naturale, trovando al contempo modi per utilizzare in modo sostenibile le risorse naturali a beneficio di tutti. Tale mappatura ci aiuterà a capire meglio come combattere la deforestazione e promuovere il rimboschimento, come sfruttare correttamente le risorse idriche per il nostro consumo e per la produzione di energia e come regolamentare le attività minerarie per estrarre risorse dalla terra senza causare catastrofiche distruzioni sociali e ambientali. Possiamo, ad esempio, impegnarci a raggiungere la deforestazione netta zero entro il 2027?
La fotografia qui a fianco è del nostro amico Sebastião Salgado (1944-2025), scomparso il 23 maggio. Salgado ha ritratto la classe operaia e i contadini con dignità e senza romanticizzare il loro sfruttamento. È sempre stato solidale con le loro lotte e le loro organizzazioni. Dopo il massacro di Eldorado do Carajás del 1996, in cui furono uccisi diciannove attivisti legati al Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra (MST) nel sud del Pará, Salgado, insieme al cantante Chico Buarque e allo scrittore José Saramago, ha realizzato un libro intitolato Terra, il cui ricavato è stato devoluto all’MST. Questo, insieme alla donazione di alcune delle sue fotografie da parte di Salgado, ha contribuito alla costruzione della Scuola Nazionale Florestan Fernandes dell’MST.
Salgado apprezzava molto il lavoro di Tricontinental e di tanto in tanto inviava una nota di apprezzamento per il materiale che produciamo. Ci inchiniamo in segno di rispetto per il suo grande contributo all’umanità.
Nel 1843, un uomo di nome Julio Cezar Ribeiro de Souza nacque a Belém, dall’altra parte dell’Amazzonia rispetto alla Vale do Javari fotografata da Salgado. Souza amava osservare il volo degli uccelli, e fu proprio questa attenta osservazione della natura a fornirgli l’ispirazione per inventare la mongolfiera manovrabile, imitando l’aeronautica degli uccelli. Forse dovremmo coltivare questo ethos: la natura non ha bisogno di essere conquistata, ma deve essere studiata e vissuta.
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della ventitreesima newsletter (2025) di Tricontinental: Institute for Social Research.
Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.