Da ormai cinque settimane il popolo algerino scende in piazza contro il quinto mandato del presidente in carica Abdelaziz Bouteflika e per la giustizia sociale. Le piazze algerine non vogliono arrestarsi e i cortei del venerdì diventano sempre più partecipati. Uno sguardo sulle basi economiche dell’Algeria e sul carattere socio-politico del movimento possono fornire degli elementi per capire la sua tenacia.
Un’economia in agonia
Le piazze algerine chiedono sì l’abbandono dell’attuale presidente Bouteflika, tuttavia non si tratta di una rivendicazione strettamente politica. Il popolo algerino chiede anche un cambiamento economico e sociale e questo per ovvie ragioni. Oggi in Algeria la disoccupazione media ufficiale è al di sopra del 11%, un giovane su tre è senza lavoro e quasi il 54% della popolazione ha meno di trent’anni. Lo sviluppo economico si basa esclusivamente sul petrolio e sul gas, due prodotti che costituiscono il 97% di tutto l’export algerino e quasi il 70% delle entrate dello Stato.
L’Algeria è un esempio quasi perfetto di un paese che vive un’abbondanza di risorse naturali, ma allo stesso tempo un declino dell’industria locale e quindi un calo dell’esportazione di altri prodotti. Fin quando i prezzi del petrolio e del gas sono alti o perfino in aumento e la ricchezza viene ridistribuita tra le classi sociali (anche se in modo disuguale), questa struttura socio-economica riesce a sopravvivere. Infatti, tra l’elezione di Bouteflika nel 1999 e il 2014, la ridistribuzione delle rendite petrolifere è stata lo strumento principale del regime per alleviare le crisi sociali, soprattutto durante le primavere arabe del 2011.
Ma il problema è scoppiato nel 2014, quando il prezzo del petrolio è crollato e quindi le risorse statali sono erose. La reazione del regime Bouteflika: attingere alle proprie riserve, far aumentare il deficit e limitare le importazioni per compensare il calo dell’export. Queste misure hanno approfondito la crisi del sistema produttivo algerino.
L’altro grande problema dell’economia algerina è quello del clientelismo, strettamente legato alla dipendenza dagli idrocarburi: la rendita petrolifera ha favorito soprattutto gli ambienti economici vicini al governo. Le restrizioni delle importazioni inoltre hanno portato all’arricchimento dei cosiddetti grossisti che, attraverso i loro legami politici privilegiati, ottengono licenze di importazione e stabiliscono le loro posizioni monopolistiche.[1]
Dopo la crisi del prezzo del petrolio a partire dal 2014, invece di portare avanti riforme che mirano a diversificare l’economia, il regime ha scelto di stampare moneta per un valore del 20% del PIL, aumentando in questo modo il rischio di un’iperinflazione. E anche negli anni successivi non sono state introdotte riforme strutturali. Gli esperti oggi affermano: “L’Algeria è un’economia in agonia. Tanto che la domanda non è se crollerà, ma quando“[2].
I conflitti interni all’apparato di potere algerino
Il regime algerino e alcuni osservatori internazionali dopo le prime settimane di mobilitazione popolare non hanno esitato a disegnare immagini catastrofiche e a paragonare le proteste con le “primavere arabe”, ricordando i rischi di violenza che – secondo loro – si nascondono dietro a questo movimento. Si tratta però di allarmismi che cercano di provocare una smobilitazione del popolo algerino, richiamando alla mente sia gli orrori della guerra civile algerina degli anni ‘90, sia appunto gli sviluppi recenti in Libia, in Siria e in Egitto. Ma non è solo il regime di Bouteflika ad insistere sulla “stabilità politica”, anche gli interessi stranieri in Algeria, specialmente quelli francesi, chiedono una “transizione pacifica”. In altre parole: Le possibilità di sfruttamento neo-coloniale devono essere garantite e le porte del Mediterraneo verso l’Europa devono rimanere chiuse ai migranti[3].
Il carattere del movimento popolare e le reazioni del regime algerino danno delle indicazioni preziose per capire che il popolo algerino difficilmente accetterà una transizione verso la “democrazia” gestita dalla “vecchia politica” e che le prospettive scongiurate di violenza difficilmente si avvereranno. Perché?
Il regime di Bouteflika non è un regime dittatoriale, ma un regime autoritario con una facciata democratica. Il governo algerino ha sicuramente ridotto le libertà in situazioni di crisi di legittimità politica, ma allo stesso tempo è stato anche capace di concedere terreno alle rivendicazioni sociali in fasi di “prosperità”. Visto il carattere del movimento di protesta (non violento, di liberazione “nazionale” e non regionalista o comunitario, autonomo e non diretto “dall’estero”), l’opzione repressiva e violenta non sembra essere un’opzione per il regime, soprattutto il questa fase delicata per la tenuta interna al Fronte di liberazione nazionale (FLN).
Infatti, delle contraddizioni significative all’interno del regime e all’interno del potere stesso sono sorte, e questo non solo da quando si sono riempite le piazze algerine. Da diversi anni ormai assistiamo a una forma di ristrutturazione del rapporto di forza interno. I cambiamenti nella direzione e la ristrutturazione del servizio di informazioni nazionale DRS (Département du Renseignement et de la Sécurité), il licenziamento e l’arresto di diversi generali militari negli scorsi anni e le discussioni accese nel FLN rivelano sia l’opacità, sia importanti linee di divisione all’interno di tutto l’apparato di potere dell’Algeria. Il cambio del premier a metà marzo e le dichiarazioni del capo dell’esercito in favore del movimento ne sono un’espressione. Il movimento popolare non poteva che approfittare di queste divisioni, esacerbandole scendendo in piazza con la determinazione vista nelle ultime settimane. Una parte dell’apparato statale quindi simpatizza con o perfino sostiene il movimento, ma tutto in modo opportunistico e in prospettiva alla transizione della governance algerina.[4]
Una generazione contro “la cultura della guerra”
Per il momento però il movimento popolare sembra rompere con tutta la generazione di “padri fondatori” dell’Algeria e non accettare nessuna mediazione che prevede una continuità politica nella transizione verso la “democrazia”. Lo slogan “dégagez tous” è l’espressione proprio di questa volontà.[5]
Le piazze algerine stanno dimostrando una impressionante maturità politica rifiutando qualsiasi ingerenza esterna da parte delle potenze imperialiste (cosa che ha devastato la Libia e la Siria e che ha condotto i due paesi in conflitti armati con migliaia e migliaia di morti). Le piazze algerine infatti si sono rivolte esplicitamente contro Emmanuel Macron: Dopo che il presidente francese aveva salutato la decisione di Bouteflika di rimandare le elezioni presidenziali, il movimento aveva risposto: “Macron, occupati dei tuoi gilets gialli”.
Inoltre, il movimento algerino – composto in primo luogo dalle giovani generazioni – non si può caratterizzare come strettamente “spontaneo”. Per decenni la gente ha criticato, in modo disorganizzato e diffuso, la mancanza di una vera libertà politica, il deterioramento delle proprie condizioni di vita causate da un neoliberismo clientelista e l’impossibilità di costruirsi una vita degna. E diversi settori di lavoratori hanno scioperato durante gli ultimi anni. Quando il movimento è esploso, non si è trattato di piccoli movimenti che hanno semplicemente espresso il loro rifiuto di un quinto mandato, ma di un intero popolo che esprime tutte le sue aspirazioni a vivere liberamente in una democrazia e nella giustizia sociale.
La natura pacifica del movimento e l’incapacità del regime di reprimerlo ha liberato delle dinamiche di auto-organizzazione che si stanno diffondendo sia tra gli studenti, che tra altre categorie professionali. Ma anche il tentativo strategico di riappropriazione della confederazione sindacale UGTA (Union générale des travailleurs algériens) da parte dei lavoratori sindacalizzati può giocare un ruolo decisivo per il cambiamento dell’Algeria. Ne sono l’espressione lo sciopero generale organizzato il 10 marzo[6] e la manifestazione del 26 marzo a Tizi Ouzou durante la quale i lavoratori hanno chiesto che Abdelmadjid Sidi-Saïd, segretario generale dell’UGTA in carica da vent’anni e strettamente legato al regime di Bouteflika, lasci il posto e che il sindacato sia restituito ai lavoratori[7].
Le dichiarazioni del 26 marzo da parte del capo di Stato maggiore, Ahmed Gaïd Salah, secondo cui il presidente in carica non è più in grado di guidare il paese a causa delle sue gravi condizioni di salute, e la richiesta di applicare l’articolo 102 della Costituzione che prevede di proporre al Parlamento di dichiarare l’infermità del presidente, non cambierà certamente la determinazione del movimento: la piazza è consapevole che Salah e Bouteflika fanno parte dello stesso e identico sistema contro il quale milioni di algerini manifestano da ormai 33 giorni e che nessun “salvatore della patria” cambierà le ambizioni del popolo algerino.
Il movimento algerino è composto da una generazione sulla quale “la grande narrazione nazionale” non opera più. Si tratta di una generazione nata nel decennio della violenza e cresciuta in mezzo a profonde polemiche politiche durante il periodo post guerra civile (1991-2002), una generazione che ha imparato a vivere in mezzo a mille contraddizioni economiche, politiche, sociali. Ed è proprio per questa sua maturazione che rifiuta la “cultura della guerra”[8] delle generazioni precedenti. La sua lotta non è quella di consolidare un’indipendenza acquisita con le armi, ma di costruire un nuovo spazio politico-sociale comune.
Ed è proprio in questo che risiede la sua forza.
[1] https://www.franceculture.fr/emissions/les-nouvelles-de-leco/les-nouvelles-de-leco-du-mercredi-20-mars-2019
[2] https://www.latribune.fr/opinions/tribunes/le-chaos-economique-algerien-808649.html
[3] https://www.nouvelobs.com/chroniques/20190224.OBS0735/l-algerie-le-cauchemar-de-macron.amp?__twitter_impression=true
[4] https://www.elwatan.com/edition/actualite/libye-syrie-vs-algerie-ce-que-le-pouvoir-ignore-peut-etre-22-03-2019
[5] Per un’analisi degli slogan di piazza, vedi https://laviedesidees.fr/A-l-ecoute-de-l-Algerie-insurgee.html
[6] http://nena-news.it/bouteflika-torna-in-algeria-sciopero-generale/
[7] https://www.liberte-algerie.com/actualite/sidi-said-rejete-par-sa-region-natale-312364
[8] https://www.elwatan.com/edition/actualite/abderrahmane-moussaoui-professeur-en-anthropologie-universite-lyon-2-lumiere-le-mouvement-populaire-nest-pas-le-fait-dune-generation-spontanee-20-03-2019