Sappiamo bene cosa significhi un terremoto. Sappiamo cosa significhi piangere le vittime, soccorrere i feriti, osservare impotenti la propria casa distrutta, gli oggetti della quotidianità persi per sempre. Sappiamo anche cosa significhi la paura che non se ne va più, che ti porta magari a non riuscire più a sopportare la ristrettezza di un ambiente chiuso. Sappiamo bene cosa significhi convivere con attacchi di panico.
Lo sappiamo per averlo vissuto sulla nostra pelle, su quella dei nostri genitori, dei nostri cari. Il 23 novembre commemoravamo il terremoto in Irpinia del 1980. Una tragedia immane dalla quale, 39 anni dopo, il territorio e chi lo abita (o lo abitava), ancora non si è ripreso. Perché la tragedia non si ferma alla conta delle vittime. Prosegue nel tempo e fa di “ricostruzione” una parola maledetta, che significa enormi ricchezze per pochi speculatori e ulteriore sofferenza e frustrazione per tutti gli altri.
Per questo sentiamo la sofferenza di chi oggi in Albani piange le già 15 vittime, soccorre i più di 600 feriti, proviamo la stessa ansia di chi si affanna per dare una mano, per mettere in piedi la solidarietà degli ultimi, quella di chi porta una coperta, una tazza di caffè, un pacco di biscotti, una torcia, un rotolo di carta igienica, uno spazzolino, e così via.
I terremoti sono eventi naturali. Fuori dalla nostra portata. Ma la messa in sicurezza del territorio, un’edificazione attenta e non l’abuso incontrollato di suolo, un’urbanistica rivolta alla costruzione di città sostenibili per tutti e tutte e non mirata alla speculazione potrebbero se non altro evitare molte tragedie e vittime. Le vite degli esseri viventi e non i profitti dovrebbero avere sempre la priorità.
Ora è il tempo del pianto, della tristezza e della rabbia. È il tempo della solidarietà, di mille mani che si stringono per salvare vite, per far sì che si salvi il salvabile. Potere al Popolo! è con chi oggi, in Albania, piange, si dispera, lotta per la vita, offre la propria mano alle sorelle e ai fratelli. E lo sarà anche domani, quando le telecamere si spegneranno e le sofferenze di queste donne e di questi uomini saranno lasciate alla solitudine più tremenda