In Colombia il governo di Duque sta scatenando l’inferno contro il suo stesso popolo.
Mentre scriviamo, una macabra conta parla di 21 cittadini ammazzati, 208 feriti, di cui 18 con lesioni agli occhi. 503 i detenuti, 10 casi denunciati di violenza sessuale, mentre sono 42 le aggressioni ai danni di attivisti dei diritti umani e giornalisti indipendenti. Il tutto in pochi giorni.
È il 28 aprile quando in Colombia uno sciopero generale contro la riforma fiscale promossa da Duque diventa il punto di rottura. Questa riforma prevedeva l’aumento dell’Iva dal 16 al 19% sulle bollette (gas, acqua e altro) e l’inserimento di alcuni beni di prima necessità come uova, latte e caffè nel paniere sottoposto all’Iva. Già oggi una famiglia colombiana in media spende la metà dello stipendio esclusivamente per le spese alimentari.
Questa riforma veniva annunciata in un contesto socio-economico tutt’altro che semplice per la classe lavoratrice colombiana: oltre settantaduemila morti covid da inizio pandemia, più della metà della forza lavoro occupato nel settore informale, quattro milioni di disoccupati (cioè quasi il 10% della popolazione) e un settore agricolo totalmente abbandonato a se stesso.
Dal 1 maggio dunque il governo di Bogotà dichiara il coprifuoco, minaccia la legge marziale. Intanto annuncia il ritiro del contestatissimo progetto di riforma. Ma non basta. Il popolo colombiano teme che possa essere ripresentato sotto altra forma. Ma, sopratttutto, le manifestazioni cominciano a cambiare segno. Al centro delle rivendicazioni non c’è più solo il rifiuto della riforma fiscale, bensì di un intero ordine sistemico, fondato sul neoliberismo e sulla violenza.
Fosse successo a Cuba o in Venezuela quello che sta accadendo nelle città colombiane, avremmo i giornali pieni di titoli per denunciare la “dittatura”, il sangue nelle strade, la violazione dei più elementari diritti umani. E, invece, avendo luogo nel Paese che è il cane da guardia degli USA nel “patio trasero” (cortile di casa) latinoamericano, gran parte dei media tace troppo a lungo e solo nelle ultime ore cominciano a farsi strada le notizie.
Potere al Popolo è al fianco del popolo colombiano.
Non solo solidale contro la repressione, ma accanto a quegli uomini e a quelle donne che combattono contro un regime neoliberista ingiusto e violento. Che è lo stesso che, sotto altre forme, continua a fare danni in mezzo mondo e anche qui.
“Se un popolo va a protestare nel mezzo di una pandemia, è perché il governo è più pericoloso del virus”
Di seguito il comunicato di solidarietà scritto come Assemblea Internazionale dei Popoli e che invitiamo a diffondere!
Tutta la nostra solidarietà internazionalista al popolo colombiano
Dall’Assemblea Internazionale dei Popoli esprimiamo la nostra solidarietà internazionalista allo sciopero nazionale ad oltranza che il popolo colombiano sta portando avanti da ormai 6 giorni contro il modello neoliberista e uribista in crisi. Condanniamo la brutale repressione messa in campo dal governo nazionale guidato da Iván Duque contro milioni di manifestanti che sono scesi in piazza e hanno legittimamente utilizzato il loro diritto costituzionale alla protesta. Inoltre, rifiutiamo l’annuncio fatto dal governo colombiano nella notte del 1° maggio di schierare l’esercito nelle strade, nei punti chiave della mobilitazione e dello sciopero.
La situazione che la Colombia sta attraversando in questo momento è estremamente grave, ed è l’effetto di una profonda crisi sociale, politica, economica, sanitaria e umanitaria prodotta dal governo di Iván Duque, un alleato chiave degli interessi imperialisti degli Stati Uniti in America Latina. Il governo Duque è inoltre un destabilizzatore degli equilibri politici in tutto il continente latinoamericano, e ha giocato un ruolo particolarmente importante negli attacchi contro la Rivoluzione Bolivariana.
Solo nei primi mesi del 2021, in Colombia sono stati assassinati 57 leader sociali e difensori di diritti umani per motivi politici, sono stati compiuti 33 massacri contro diverse popolazioni e sono stati assassinati 23 firmatari dell’accordo di pace dell’Avana tra le Farc, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, e il governo colombiano. Si tratta di una drammatica crisi umanitaria aggravatasi con la repressione statale negli ultimi 6 giorni. Ad oggi sono stati commessi più di 35 assassinii di civili in diverse città del paese da parte della polizia, centinaia di manifestanti sono stati arrestati senza essere informati sul luogo della loro detenzione e senza alcun rispetto di un regolare processo legale.
Tutto questo è avvenuto con la silenziosa complicità della comunità internazionale che sta voltando le spalle alla violazione aperta e sistematica dei diritti umani in Colombia, dove membri delle forze di sicurezza, su ordine del presidente e dell’ex presidente Álvaro Uribe, sparano indiscriminatamente contro la popolazione civile. Ancora una volta la comunità internazionale dimostra di preoccuparsi dell’America Latina solo quando si tratta di creare uno spettacolo dell’indignazione parlando di diritti umani in Venezuela.
Per queste ragioni e in quanto organizzazioni, movimenti e piattaforme che a livello internazionale compongono l’Assemblea Internazionale dei Popoli, chiediamo che cessino immediatamente gli assassinii di manifestanti in questo sciopero nazionale, il rispetto delle minime garanzie democratiche e il ritiro immediato della decisione da parte del presidente Iván Duque di schierare l’esercito nelle strade. Non permetteremo la militarizzazione delle città e dei territori e non arretreremo nel condannare le flagranti violazioni dei diritti fondamentali del popolo colombiano che protesta per chiedere una vita dignitosa.
3 maggio 2021, Segreteria Internazionale dell’Assemblea Internazionale dei Popoli