La vicenda della Gkn è al centro della questione ambientale. Non si può scegliere tra il lavoro e la vita!
Questa vertenza è necessariamente POLITICA.
Non possiamo più giocare con le loro regole:
Le vertenze recenti (GKN, Vitesco, Timken o Giannetti Ruote) riguardano fabbriche di componentistica auto perfettamente funzionanti, che i titolari hanno deciso di chiudere o sono in fase di forte ridimensionamento.
Queste vertenze si collocano tutte all’interno dell’automotive, ossia di un settore pienamente investito dalla svolta ecologica: In Italia il settore dei trasporti è da solo responsabile del 25% delle emissioni totali di CO2.
È chiaro quindi che occorre intervenire direttamente sulla produzione dei mezzi di trasporto per ridurre le emissioni.
Per far sì che la transizione ecologica non resti solo uno slogan vuoto o un elenco di desideri, ma sia effettiva, bisogna dotarsi della possibilità concreta di decidere cosa produrre, come farlo, e come distribuirlo.
Non possiamo lasciare che siano le multinazionali dell’auto a guidare la “conversione” dell’automotive, anzi, è più che mai necessario che i protagonisti siano lavoratori, lavoratrici, e più in generale chi abita il territorio.
Contro un fondo di investimento che vuole portarsi via lavoro e macchinari, solo il Governo può impedire d’urgenza che ciò accada e solo il Parlamento può cambiare regole vecchie di trent’anni, che oggi lasciano carta bianca alle multinazionali.
Gli operai stanno facendo uno sforzo mobilitativo enorme dal 9 luglio dentro e fuori i cancelli; in più sono riusciti a mettere su carta e presentare una legge giusta, scritta non “sulle” loro teste, ma “con” le loro teste, una legge a cui abbiamo avuto l’onore di contribuire grazie al team legale del Telefono Rosso.
i nostri governi e l’Unione Europea permettono alle multinazionali di trasferirsi e muoversi liberamente mentre i diritti dei lavoratori e le leggi a tuteta dell’ambiente, quando ci sono, sono rinchiusi entro i confini nazionali, ciò innesca un peggioramento potenzialmente infinito delle condizioni di lavoro e di vita in generale, in tutti i paesi.
In più, una fabbrica che chiude comporta una perdita di competenze, macchinari e tecnologie, spesso all’avanguardia, e una perdita di comunità umana, composta dai lavoratori e dalle lavoratrici, vitali per la più grande sfida che abbiamo davanti, quella della svolta ecologica.
Invece di continuare a riempire di soldi l’industria privata con la vana speranza che questo si traduca in continuità produttiva e occupazione, occorre che lo Stato obblighi le aziende non in crisi che vogliono andare via e licenziare, a lasciare stabilimento e macchinari sul territorio, cedendo allo Stato stesso il ramo d’azienda che si intende “tagliare”.
E’ questo quello che prevede la legge antidelocalizzazioni scritta “con” gli operai GKN.
La crisi dell’automotive si può tradurre in un’occasione per un rinnovato intervento pubblico nell’economia e sulla crisi climatica, non a fini di consenso elettorale, come era stato negli anni Settanta e Ottanta, né come greenwashing, ma controllato dal basso, ossia dagli operai che hanno interesse diretto a veder funzionare quest’opzione!
Assorbire fabbriche abbandonate dai loro vecchi padroni dentro un polo della produzione trasportistico nazionale a guida pubblica non avrebbe solo l’effetto, certamente positivo, di garantire continuità occupazionale, ma anche quella di dotare il nostro paese di una capacità di intervento nella trasformazione ecologica, che vada nel senso di produrre non solo auto per il mercato privato, ma soprattutto autobus, treni, tram, biciclette o auto per il car-sharing metropolitano. Una produzione che non guardi necessariamente alla QUANTITÀ
Non si tratta di utopia perché già oggi noi abbiamo la possibilità tecnologica di fare questo, mettendo a disposizione non solo i macchinari, ma anche le comunità lavorative dei lavoratori e delle lavoratrici dell’automotive.
La transizione all’ecologico si deve e si può fare.
È evidente l’assenza di una volontà politica da parte dei partiti attualmente al governo
Da qui la necessità di costruire una mobilitazione che ci coinvolga tutti noi: lavoratori, lavoratrici, studenti e i movimenti ecologisti di questo paese!
Il 30 Ottobre ci saremo, insorgiamo per il nostro futuro!
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