La drammatica esperienza di marzo non ha insegnato niente a nessuno.
Il collasso della sanità territoriale della Lombardia è stata una delle cause della morte di innumerevoli anziani.
L’invito a rimanere a casa finché le condizioni non fossero state davvero gravi, ha determinato la morte di centinaia di persone, decedute a casa oppure in ospedale dove si erano recate quando le condizioni respiratorie erano già drammatiche.
L’ospedalizzazione tardiva, con condizioni respiratorie gravi, ha ridotto le possibilità, pur scarse, di cura o di sopravvivenza degli anziani, ma anche delle persone più giovani.
Il 9 marzo 2020 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto-Legge 9 marzo 2020, n. 14 – Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all’emergenza COVID-19.
All’articolo 8 del predetto decreto era prevista l’istituzione delle Unità speciali di continuità assistenziale – USCA.
Per brevità si trascrive quanto statuito al citato articolo 8:
“Al fine di consentire al medico di medicina generale o al pediatra di libera scelta o al medico di continuità assistenziale di garantire l’attività assistenziale ordinaria, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano istituiscono, entro dieci giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, presso una sede di continuità assistenziale già esistente una unità speciale ogni 50.000 abitanti per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da COVID-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero.”
L’istituzione delle USCA, costituite da personale protetto dai dispositivi di protezione individuali, completi di scafandri e doppia mascherina, avrebbe consentito di intercettare i pazienti prima del ricorso a cure ospedaliere, ovvero prima che manifestassero una sintomatologia respiratoria importante, e per i quali era indispensabile una valutazione medica immediata con esecuzione del tampone a domicilio, ecografia polmonare, esami ematologici, elettrocardiogramma, saturazione emoglobinica arteriosa.
L’istituzione delle USCA è stata possibile in poche Regioni, ovvero quelle nelle quali pur fra mille difficoltà, la sanità privata non ha completamente surclassato la sanità pubblica.
Con l’istituzione delle USCA a macchia di leopardo, si sono registrate situazioni completamente differenti.
A Pescara, in Abruzzo, ad esempio, le USCA eseguono l’ecografia polmonare domiciliare per valutare gli esiti e lo stadio della polmonite interstiziale.
In altre Regioni, come la Lombardia o la Liguria, le USCA sono state istituite ma in misura talmente esigua che non è possibile considerarle soluzioni rilevanti o utili.
Nel Lazio il rifiuto di istituire le USCA ha determinato situazioni paradossali.
Nel mese di marzo 2020 il Presidente della Regione Lazio Zingaretti ha istituito le USCAR, Unità speciali di continuità assistenziale regionale, con la collaborazione volontaria di 800 medici che tuttavia sono rimasti fermi perché non sono stati dotati dei dispositivi di protezione né sono stati minimamente organizzati.
In compenso le USCAR hanno avuto il via libera alla collaborazione con l’OSA, una cooperativa di Operatori Sanitari Associati, che appalta personale precario in tutta Italia, ma in special modo nel Lazio, attuando una autonoma tipologia di intervento assolutamente distante e inutile rispetto a ciò che invece si dovrebbe fare.
Nel 2018 Giuseppe Milanese, presidente dell’OSA affermava: “Con Zingaretti riscriveremo le regole del settore salute” e il covid è diventata una occasione irripetibile per consolidare la collaborazione sulla precarietà.
Gli operatori delle USCAR hanno attuato un sistema di comunicazione mediatico che vale come il fumo negli occhi: si fanno fotografare in giro per il Lazio a fare tamponi nelle case di cura e di riposo, senza che venga istituzionalizzato il sistema di controllo a domicilio dei malati.
Nel frattempo associazioni sindacali dei Medici di Medicina Generale fanno ricorso al TAR perché Zingaretti si decida a istituire le USCA, tanto che alla fine la Regione è stata costretta ad avviare le procedure di indizione di un bando di concorso.
I medici e gli infermieri che hanno risposto, sono stati avviati ad un corso di preparazione sulla vestizione e sulla svestizione e tutto si è arenato a questa procedura.
Si ha notizia di qualche visita a domicilio, di medici contagiati perché senza protezioni, e di file chilometriche per accedere ai drive-in che si sono protratte anche per 15 ore prima di poter eseguire un tampone.
I pazienti positivi devono sostanzialmente monitorare i sintomi da soli, in assenza assoluta di intervento domiciliare da parte delle USCAR e dei medici di medicina generale, e le ASL non rispondono più nemmeno al telefono.
Abbiamo di nuovo anziani che stanno a casa da una settimana con la febbre alta senza che nessuno li vada a vedere, fra la telefonata del medico di medicina generale e la sirena del 118 che ti porta in ospedale non c’è niente, se non la propria paura di dover aspettare il peggio.
Intanto Francesco Vaia, direttore sanitario, ha annunciato che “nei prossimi giorni partirà un progetto che si chiama ’10 per 10′, in collaborazione con i medici di famiglia e la Asl Roma 3: ciascun medico di famiglia prenderà in carico dieci device (dispositivi elettronici) per dieci pazienti per portarli a casa delle persone: gli misureranno tutti i parametri vitali, pressione, elettrocardiogramma, saturimetro, faranno l’ecografia polmonare e potranno portare a casa anche i farmaci sperimentali che si fanno in ospedale, questo è importantissimo”.
Va bene il 10 x 10, ma degli 800 medici volontari per le USCA continua a non esserci traccia. E perché 10 x 10, e perché non 3 per 2? Oppure 2 per 5? Il criterio qual è?
Ecografia polmonare e farmaci sperimentali a casa è quanto chiediamo da marzo!
Al momento abbiamo notizia solo di anziani soli a casa con la febbre, anche per una settimana, di dimessi ancora malati che si devono auto-monitorare controllandosi la saturazione e la forza fisica con il solo sostegno del medico di medicina generale che dovrebbe improvvisamente trasformarsi in USCA senza mezzi e senza protezioni, in attesa di chiamare il 118 quando stanno veramente male.
“L’annuncite” è l’unica certezza in tema di sanità, e serve a coprire l’imbarazzante taglio delle attività della sanità pubblica, mentre si foraggia il privato.
Ma quando Zingaretti decide di non fare una cosa non la fa.
E’ un uomo di parola.